18 Febbraio 2022 - 9.18

Lo chiamavano Alpe Madre: Loris Giuriatti torna a raccontare la montagna e la Grande Guerra

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Loris Giuriatti torna a casa per farci camminare ancora una volta sui passi della storia, nel suo amato Grappa. Quella montagna che l’ha accolto e dove la memoria si fonde alle emozioni in una storia fatta di coraggio, tenacia, amicizia e passione. A dieci anni dal suo primo Angelo del Grappa, arriva in tutte le librerie “Lo chiamavano Alpe Madre”, il nuovo romanzo edito da Rizzoli. Tra osti leggendari, malgari, “recuperanti” e personaggi poco raccomandabili che hanno perso il rispetto per la comunità di cui fanno parte, Angelo e i suoi amici faranno luce su una vicenda di più di cento anni prima. Pagina dopo pagina, tra Vienna e il Grappa, scopriremo una storia legata a doppio filo con un amore contrastato e un mistero che risale alla Prima guerra mondiale. L’insegnamento più importante? Quello di non dimenticare ciò che è stato, né tanto meno di dubitare mai di quell’amore che trova la forza di superare anche gli ostacoli più grandi, viaggiando nel tempo e nello spazio. Ne parliamo con l’autore.

Loris, perché lo chiamavano Alpe Madre?
«Il primo nome del Monte Grappa è stato Alpe Madre. Solo dalla metà del Settecento hanno cominciato a chiamarlo con il nome di oggi. Ho scelto questo titolo perché mi piaceva il contrasto tra l’aspetto del Grappa che tutti conoscono di più, quello legato alla guerra più maschile e più cruento, e l’idea della montagna degli anziani che invece lo chiamavano Alpe Madre. Un’immagine femminile che poi è anche una parte importante del romanzo».

Che ruolo hanno i personaggi femminili all’interno della storia?
«Troviamo donne di due epoche distinte: la figura dell’eroina del secolo scorso e quella dei giorni nostri. In entrambi i casi, sono persone di carattere che si dimostrano determinanti in più situazioni durante l’evolversi della storia. Si tratta di donne coraggiose che sono fondamentali e vanno avanti sempre e comunque, nonostante tutto. Per me era importante valorizzare la donna in una guerra maschile. Nei grandi testi le donne purtroppo sono state sempre tenute poco in considerazione, ma se facciamo un’attenta analisi della Prima guerra mondiale, il mondo è andato avanti perché le donne lo portavano avanti. Certo, la guerra era combattuta dagli uomini, ma mentre gli uomini erano al fronte le donne si occupavano dei campi, delle fabbriche e così via. Se si è potuto tornare alla normalità dopo la guerra è stato anche perché c’erano le donne».

Come è nata l’idea di questo secondo romanzo?
«Ho sempre pensato che “L’angelo del Grappa” fosse un romanzo completo: il lettore quando finisce il libro conclude un percorso. Non avevo pensato ad un seguito, ma in qualche modo “Lo chiamavano Alpe Madre” lo è diventato in maniera naturale. Per me è stato semplice scegliere Angelo come protagonista. A distanza di dieci anni troviamo un Angelo più grande, così come è cresciuto il romanzo e chi l’ha scritto. È un modo di raccontarmi e di raccontare il Grappa in maniera più matura».

Amore e guerra sono due concetti per certi versi contrapposti, per altri vicini se pensiamo per esempio all’amore per la patria. Si può ancora parlare di amore per la patria ai giorni nostri?
«Il senso della patria di oggi e il senso della patria di cent’anni fa sono due cose differenti. Penso che in questo momento storico sia più legato al senso di conservazione e tutela. Amare la patria significa in qualche modo amare e difendere un territorio, facendo il possibile perché mantenga inalterata la sua biodiversità. È un concetto molto diverso da quello di cent’anni fa: al tempo, per l’amore di patria, si andava anche a sacrificare un territorio. Se ci pensiamo la guerra ha devastato luoghi come l’Altopiano dei Sette Comuni, il Grappa, le Dolomiti».

Storia e finzione. Nel libro racconti di alcuni episodi realmente accaduti durante la Prima guerra mondiale. Quali sono?
«Racconto dell’assalto del maggio del 1918, un fatto fondamentale anche ne “L’angelo del Grappa” ma dalla visione opposta, dalla parte dell’esercito austroungarico. Questa scena è stato il frutto di dieci anni di studi che mi hanno portato a leggere e cercare visioni differenti di quella che è stata la Grande Guerra, anche sul Grappa. È stato interessante scoprire e conoscere anche l’altra faccia della medaglia. Racconto poi del cinquantesimo anniversario di Ca’ Tasson e immagino un dialogo tra Ettore Viola e Aurelio Rosa che, a distanza di cinquant’anni, si prendono in giro e si sentono amici, anche se sono partiti da due mondi molto differenti. Uno era capitano e uno tenente. Sebbene all’anniversario rivestano dei gradi superiori continuano a chiamarsi come un tempo, come se la storia si fosse fermata cinquant’anni prima per loro».

Al di là dei personaggi storici, per gli altri personaggi del libro ti sei ispirato a persone realmente conosciute?
«Ho fatto di peggio: li ho pure nominati con il loro nome. Utilizzare i nomi reali delle persone è sempre un rischio, ma volevo che questo libro potesse spingere i lettori di tutta Italia a salire sul Grappa a conoscere i personaggi del libro. Un modo per aiutare una microeconomia, quel micromondo che descrivo nel libro dove tutti si aiutano e si danno una mano. Il libro vuole essere anche un’occasione di visibilità per un territorio che amo. Non è meno importante raccontare la storia di montagna di oggi rispetto a quella di cento anni fa».

Il Monte Grappa per te cosa rappresenta?
«Rappresenta una parte importante della mia vita ed è un po’ casa mia. Trovo curioso che ogni volta venga scelta per il retro di copertina una frase che ha proprio a che fare con il fatto che sono una sorta di cantastorie di questo Grappa. Sento un dovere morale inconscio nei confronti di questa montagna. Come se fossi predestinato a tenere viva la memoria. Il Grappa mi ha accolto, e io cerco di dargli voce. La prima volta che sono salito sul Grappa non l’ho capito. Il primo pensiero può essere che il Grappa sia una strada che porta su a Cima Grappa, poi ti giri e torni indietro. Un po’ alla volta ho fatto tante deviazioni, che poi sono quelle che vi racconto nei vari capitoli. Ce ne sarebbero ancora tante da raccontare».

Per tutto il mese di marzo sono previste numerose presentazioni con l’autore nella provincia di Vicenza, ma non solo. Ecco tutte le date:

  • 26/02 Libreria Palazzo Roberti, Bassano
  • 2/03 La Feltrinelli, Padova
  • 4/03 Libreria Ubik, Mirano
  • 5/03 Libreria Massaro, Castelfranco Veneto
  • 11/03 Centro polifunzionale Zagorà, Zugliano
  • 16/03 La Feltrinelli, Verona
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