20 Aprile 2022 - 9.41

La guerra in Ucraina, la crisi del grano e l’ “effetto farfalla”

Mentre noi cittadini dei Paesi dell’Occidente europeo ricco ci stiamo domandando se fra un mese o due dovremo rinunciare all’aria condizionata, o se il prossimo inverno ci toccherà tenere il riscaldamento più basso, c’è una parte consistente del mondo per la quale si prospetta un problema ben più serio: quello alimentare.
Quello del pane, tanto per essere chiari, visto che per fare questo alimento serve il grano, tenero o duro non importa, e nello scenario di un mercato globalizzato e fortemente interdipendente, giova ricordare che la Russia esporta il 20% del grano mondiale, e l’Ucraina il 10%.
In altre parole Mosca e Kiev contribuiscono per quasi un terzo alle esportazioni di grano a livello globale, e insieme alla Cina riforniscono in tutto 2,5 miliardi di persone.
Come è noto in tutte le cose del mondo c’è sempre un problema di priorità, e mentre per noi sono cruciali gli approvvigionamenti di gas, petrolio, materie prime, con cui far girare le nostre economie, in altre parti del globo la priorità è invece quella di garantire ai cittadini di poter mettere in tavola qualcosa da mangiare.
La guerra in corso, che ha semi-bloccato le esportazioni di grano dall’Ucraina (dai 20 milioni di tonnellate previste ne sono state esportate 5), e che mette in dubbio i futuri raccolti, vista la sistematica distruzione delle strutture agricole ucraine operata dei russi, ha per di più reso più difficili gli approvvigionamenti di fertilizzanti, di cui la Russia è quasi monopolista.
Ma mentre questa “tempesta perfetta” a noi europei potrà portare al massimo qualche difficoltà a trovare negli scaffali il tipo di pasta preferita, ma che saremo comunque in grado di acquistare sia pure a prezzo maggiorato, nei Paesi del Grande Medio Oriente e del Nord Africa il problema rischia di diventare esplosivo.
Oltre mezzo miliardo di persone, dal Marocco all’Iran, rischia di vedere raddoppiato o triplicato il costo del pane, un bene che nei Paesi arabi ha provocato rivolte anche in tempi recenti, cui accennerò più avanti, per un motivo molto semplice: i prezzi dei cereali al livello mondiale potrebbero aumentare anche dell’80-100 per cento rispetto ai livelli pre-Covid.
Tanto per fare qualche esempio l’Egitto, che in altri tempi era il granaio di Roma imperiale, dipende per il suo fabbisogno per il 45% dalla Russia e per il 26% dall’Ucraina, e al momento avrebbe scorte di grano per 3/5 mesi.
Anche la Tunisia che dipende dal grano prodotto dai due Paesi in guerra per oltre il 50% delle sue importazioni, rischia di essere particolarmente colpita.
E le conseguenze di questa ennesima crisi, che si aggiungono a quelle derivanti da un anno siccitoso, potrebbero essere imprevedibili e destabilizzare ulteriormente paesi già in difficoltà come Algeria, Libia, Yemen, Bangladesh, Somalia, Eritrea, Mongolia, Kazakistan, Libano (nel Paese di cedri i beni alimentari sono aumentati del 350%), Nigeria, Indonesia, Filippine, e addirittura la Turchia.
La storia è piena di rivolte nate proprio per la scarsità od il costo insostenibile del pane.
“Al forno al forno” gridavano i milanesi nei Promessi Sposi, mentre si dirigevano inferociti verso il famoso “Forno delle grucce” nel novembre del 1628.
E tutti abbiamo studiato la frase forse erroneamente attribuita a Maria Antonietta d’Asburgo Lorena: “Se non hanno più pane, che mangino brioches”, che sarebbe stata pronunciata alla vigilia della Rivoluzione francese.
Ma venendo ai giorni nostri, immagino ricordiate le proteste note come Rivoluzione dei Gelsomini, che nel 2011 partì dalle piazze tunisine e che ebbe fra le sue motivazioni anche la carenza di grano.
La rivolta, tuttavia, non si fermò alle frontiere tunisine, si diffuse in breve tempo in molti altri paesi del Nord Africa e del Medio-Oriente, e nel giro di qualche mese, le proteste popolari si propagarono in Algeria, Egitto , Libia, Siria, con un andamento tipico delle onde d’urto, ridisegnando gli assetti sociali e istituzionali di un’intera porzione di globo.
Ad una decina d’anni da quelle rivolte, passate alla storia come “Primavere Arabe”, una nuova crisi alimentare globale si affaccia all’orizzonte di questa tormentata parte del mondo, minacciando di destabilizzarla nuovamente.
Questa crisi Ucraina conferma che guerra e fame sono due fenomeni intimamente connessi, che si sviluppano secondo il noto “effetto farfalla”.
E così il classico esempio della teoria del caos secondo cui il “battito d’ali di una farfalla può generare un uragano a migliaia di chilometri di distanza”, trova conferma nel fatto che un evento pur drammatico come la guerra in Ucraina, però limitato ad un’area circoscritta, possa innescare effetti inaspettati in aree del pianeta molto lontane, ponendo le basi per crisi gravi e durature.
Certo di fronte a queste prospettive drammatiche l’Occidente potrà anche tentare di fare qualcosa per contenere gli effetti negativi delle carenze cerealicole sulle economie più fragili, ma ragionevolmente si può prevedere che la scarsità di prodotto manterrà alti i prezzi anche per i prossimi tre/cinque anni, con conseguenze terribili per i Paesi più poveri, impossibilitati a rendersi maggiormente autonomi anche per i costi dell’energia alle stelle, e per la carenza di fertilizzanti.
Non illudiamoci che si tratti di problemi di Paesi lontani che in fondo ci interessano marginalmente, perchè le crisi alimentari sono da sempre la causa principale delle migrazioni, e fatalmente gli effetti si scaricheranno su di noi con l’aumento esponenziale di coloro che tenteranno la sorte sulle carrette del mare per approdare sulle nostre coste, alla ricerca di “pane”, e di un futuro migliore.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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