31 Gennaio 2022 - 10.45

I mugugni dei veneti contro Capitan Salvini

di Umberto Baldo

Accade talvolta che qualche leader politico ad un certo punto sembri avere il cosiddetto “tocco magico”, che lo rende di colpo simile ad un novello re Mida, capace di trasformare in oro tutto quel che tocca.
In fondo è quello che è successo a Matteo Salvini, che in pochissimi anni ha saputo archiviare la vecchia Lega Nord di Umberto Bossi, superando le vecchie priorità del partito basate sul federalismo e sull’autonomia del Nord, per assumere una dimensione “nazionale”. In estrema sintesi l’aver trasformato la Lega da partito “nordista” in un partito nazionalista e sovranista, portandola dal 4,08% del 2013 al 34,33% delle Europee del 2019.
Ma cosa succede se il Capo improvvisamente sembra perdere il tocco magico?
Se cioè comincia ad apparire un po’ appannato, fragile, vulnerabile, non più l’invincibile tribuno destinato ad unire l’Italia nel segno della “Lega per Salvini premier?
Succede che, come mi è capitato negli ultimi due giorni, quando la mattina presto mi reco in edicola a prendere i giornali, sotto le mascherine si sentono mugugni, giudizi sferzanti, domande del tipo “ma dove vuole portarci?”, o affermazioni come “non si capisce mai come la pensi, quale sia il suo obiettivo”, oppure “non ha saputo trattare, e ci ha portato a sbattere, ad ingoiare il rospo della rielezione di Mattarella!
Qualcuno cerca anche di elaborare un ragionamento più articolato, basato sulla rivalutazione del “Bossi pensiero”, rispolverando la questione settentrionale, “senza la risoluzione della quale non si può risolvere neanche quella meridionale”. E qui si arriva inevitabilmente al tema dell’autonomia, “colpevolmente snobbato da Salvini”, autonomia che “se conquistata libererebbe risorse al Nord che adesso vengono drenate in maniera inutile verso un sistema assistenzialista, verso gli sperperi che si vedono ogni giorno, a partire da una delle più grandi cazzate della storia repubblicana, il reddito di cittadinanza votato anche dal Capitano”.
Sfoghi da edicola, delusioni, critiche a mezza voce che non hanno alcun costrutto?
In parte è sicuramente così, visto che la presa di Salvini sulla “Liga veneta” è ancora ben salda, come le vicende del sindaco di Noventa Padovana Marcello Bano stanno a dimostrare, perchè tutti sanno che su chi dissente è pronta a calare la minaccia dell’espulsione.
E visto che sono anni che il dualismo fra “Liga Veneta” e “Liga Lombarda” si trascina stancamente, senza che da parte dei veneti traspaia la pur minima intenzione di rivendicare per la componente veneta del partito quel principio “paròni a casa nostra”, mai dimenticato dai vecchi militanti.
Certo viene facile etichettare i malumori che ho descritto come parole in libertà, chiacchiere da bar dello sport o appunto da edicola, ma credo che Salvini, che indubbiamente dovrebbe avere le sue “antenne” in Veneto, e quindi dovrebbe conoscere in questa fase lo sconcerto e le irrequietezza della base e dei militanti, farebbe bene a non trascurarli.
Perchè la disaffezione, la disillusione sono una brutta bestia, sono come un tarlo che si insinua nelle menti, che a lungo andare può far vacillare anche i leghisti più convinti, ed i risultati si potrebbero vedere già quest’anno alle amministrative, ma ancor di più nel 2023 alle politiche.
Certo ad analizzare più freddamente la vicenda del rinnovo del Presidente della Repubblica, Salvini, per usare un eufemismo, non ha certo giganteggiato.
Si è mosso ad un certo punto come una trottola impazzita, bruciando come in un tritacarne personalità di spicco quali Pera, Nordio, Moratti, Cassese, Frattini, Casellati, Belloni, dando l’impressione di non aver mai ben chiaro quali fossero i disegni reconditi, e le mosse degli altri leader.
Certo si potrebbe anche invocare a sua discolpa l’ingenuità tipica della prima esperienza da kingmaker, ma purtroppo l’ingenuità in politica non è una scusante, anzi!
E lo dimostra il fatto incontrovertibile di un Enrico Letta che, senza mai aver proposto un nome, ha saputo fare tesoro e capitalizzare l’esperienza ed i consigli che derivano dalla cultura democristiana, incassando alla fine l’elezione di un vecchio Popolare come Sergio Mattarella.
Il problema, a mio modesto avviso, è che Salvini in questo frangente si sia fidato della sua mentalità da “uomo solo al comando”, dalla sua logica da “muoia Sansone con tutti i filistei”, e di conseguenza non ha saputo, o voluto, un confronto con gli uomini che costituiscono la vera ricchezza della Lega, quei Governatori delle Regioni, che per il loro ruolo istituzionale sono quelli che meglio di ogni altro sono in grado di percepire ed interpretare gli umori della base leghista, e dei loro cittadini.
E probabilmente non li ha convolti, perchè Salvini sapeva bene che il nord produttivo non ha mai fatto mistero di preferire Mario Draghi al Quirinale, e ciò è tanto vero che Luca Zaia si era lasciato scappare con Aldo Cazzullo la frase: “Meglio intestarsi Draghi, che subirlo……..”.
Quindi, fossi Salvini, la prima cosa che farei è quella di ricucire la spaccatura con i Governatori, visto che i rapporti freddi sembrano interessare non solo Zaia, magari visto come un possibile concorrente data la popolarità di cui gode, ma anche Fontana, Fedriga e gli altri.
E poi deve sbloccare i congressi a tutti i livelli, perchè i militanti, dopo anni di commissariamenti, vogliono discutere, vogliono fare sentire le loro idee, vogliono contare, vogliono eleggere i propri rappresentanti locali.
Solo così potrà recuperare un Partito che al momento è costretto a manifestare i mugugni nelle edicole o nei bar, mettere fine alle chat bollenti, arginare un malessere che, se non controllato, rischia degenerare in tumulto, con tutto quel che ne potrebbe conseguire per la sua leadership.
Umberto Baldo

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