19 Gennaio 2024 - 8.54

Gli Houthi lanciano missili; Usa e England rispondono. L’Europa schiera Luigi Di Maio?

Spesso interpretare il sentiment degli operatori dei finanziari, dei mercati come si usa dire, è veramente difficile.

Perché sono non solo imprevedibili, ma spesso indecifrabili, nel senso che sfuggono a qualsiasi logica comune.

Così ad esempio, in questi giorni in cui le navi americane ed inglesi stanno intensificando gli attacchi contro le basi degli Houthi in Yemen, con un concreto rischio di allargamento del conflitto medio-orientale, i mercati sembrano più interessati al calo dell’indice dei prezzi alla produzione negli Usa, e danno per scontati tagli dei tassi da parte della Fed e della Bce, apparentemente non attribuendo alcun  peso ai rischi per l’economia globale che potrebbero derivare dallo scontro nel Mar Rosso.

Hanno ragione a continuare a prevedere un calo dell’inflazione ed una tenuta dell’economia globale, sia pure con un dolce rallentamento?

Francamente non lo so, ma qualche dubbio al riguardo io ce l’ho!

Per il semplice motivo che dallo stretto di Bab al-Mandab (poco più di 32 chilometri tra Gibuti e lo Yemen), che congiunge il mar Rosso con l’Oceano Indiano, transita il 10%/12% del commercio globale, di cui un 10% circa del petrolio, l’8% del gas naturale liquefatto, ed il 20/30% delle navi container”.

E credo non sfugga a nessuno come per noi europei il transito da Suez sia fondamentale per i commerci fra il nostro Continente e l’Asia. 

E ciò è tanto più vero, come vedremo, per noi italiani!

La situazione attuale ci dice che pochi estremisti islamici (eterodiretti dall’Iran che vuole la guerra all’Occidente senza essere coinvolto direttamente),stanno volutamente mettendo in crisi l’economia globale, tanto che ormai da settimane le navi porta-container vengono dirottate verso il Capo di Buona Speranza, sulla punta meridionale dell’Africa. 

Non so se vi rendete conto!  

E’ come se improvvisamente il Canale di Suez non fosse mai stato costruito, e l’unica  rotta percorribile  fra Asia ed Europa sia ritornata quella inaugurata (meglio dire scoperta) da Vasco da Gama alla fine del 1400, quella che circumnaviga l’intero Continente africano.

Ma questa “deviazione”, per usare un eufemismo, comporta da otto a dodici giorni in più di navigazione, il che si traduce in più consumo di energia, maggiori costi di assicurazione, tempi di immobilizzazione più lunghi per equipaggi e navi.

Detto in altre parole un consistente aumento dei costi, perché è evidente che  se il costo del trasporto di un container da 40 piedi dal Sud Est Asiatico all’Europa è passato in poche settimane da tremila a seimila/ottomila euro, di fatto quasi triplicato, le merci trasferite alla fine costeranno di più, e di conseguenza aumenteranno i prezzi finali, quelli al consumo (attenzione: ciò non vale assolutamente per le merci prodotte in Europa, e di conseguenza gli aumenti annunciati in questi giorni per alcuni prodotti sono pura speculazione!!!)

E se ad aumentare fosse anche il prezzo del petrolio  (imponendo di fatto alle nostre economie una nuova “tassa Houthi”), francamente faccio fatica a comprendere la tranquillità dei mercati, perché la realtà potrebbe essere molto meno rosea di quella immaginata gai guru della finanza. 

E questa realtà ci dice che la Shell, buona ultima dopo altre compagnie, ha sospeso ogni transito di petroliere attraverso il Mar Rosso e Suez.

E’ vero che l’economia mondiale è appena uscita dal biennio Covid, e non si è ancora del tutto ripresa; è vero che per certi aspetti le guerre regionali fanno ormai parte della normalità degli scenari mondiali (e quindi sono ormai considerate un rischio collaterale scontato), ma è altrettanto vero che per ingrippare ancora i meccanismi dei mercati non servirebbe una nuova esplosione dell’inflazione; perché basterebbe che o il costo della vita calasse meno di quanto ipotizzato, o peggio  si creasse un piccolo rigurgito inflattivo (magari anche uno zero virgola), per convincere i Signori delle Banche Centrali (Fed e Bce in testa) a fermare o ritardare i tagli dei tassi, e così deludere le aspettative dei mercati. 

Ed in tal caso nuove nubi sui cieli delle Borse e dei Bond sarebbero a mio avviso garantiti.

Ho già accennato che questa “crisi del Mar Rosso” rischia di pesare in particolare sull’economia del nostro Paese, e del nostro Nord Est in particolare, considerato che il Far East è una rotta marittima che pesa per il 50% del traffico delle nostre aziende.

Quella è la rotta del petrolio e del gas, oltre che delle materie prime, e dei manufatti prodotti in Cina e nel Sud est asiatico. 

E se invece delle 8mila miglia consuete, per arrivare in Europa una nave ne deve percorrere 12 mila, quanto meno i tempi degli approvvigionamenti si dilatano.   E se i tempi si allungano, è matematico che servano molte più navi per trasportare la stessa quantità di cose.  Ma sarebbe anche l’intera logistica dei porti ad essere sconvolta, con navi in rada che aspettano, navi in banchina, navi che erano attese e non arrivano, e navi che hanno circumnavigato l’Africa e cominciano ad arrivare. 

Intendiamoci, a meno di una estensione del conflitto, non sarà mai una crisi paragonabile a quella del Covid, quando le fabbriche asiatiche erano ferme per i lockdown, ma se la situazione non si sblocca in qualche modo, dovremo mettere in conto costi più alti.

Non è un caso che già adesso Tesla abbia sospeso la produzione a Berlino per due settimane, per mancanza di pezzi di ricambio.

Tornando all’Italia, il cambiamento delle rotte genera diverse problematiche.

Nell’immediato problemi nelle esportazioni: il valore dell’import-export italiano marittimo che transita per il canale di Suez ammonta a oltre 150 miliardi di euro. 

E dover dirottare le navi implica inevitabili ritardi in carico e scarico anche per i porti italiani, in particolare quelli di Genova, Trieste e Gioia Tauro, i principali scali nazionali per container e carichi energetici.

Già adesso questi porti presentano l’immagine emblematica delle banchine vuote per mancanza di navi da scaricare. 

Ma in prospettiva i problemi potrebbero essere ben maggiori, perché  se non si risolverà la situazione Houthi, nel medio periodo ci potrebbe essere un cambio di rotte “strutturale”.

E’ infatti evidente che una nave che circumnaviga l’Africa in maniera sistematica non avrebbe più interesse a fare un’altra deviazione per raggiungere il Mediterraneo orientale o l’Adriatico, e punterebbe invece direttamente sui porti del Nord Europa, da Rotterdam ad Amburgo, che paradossalmente dalla crisi di Suez trarrebbero un beneficio. 

In tal caso sarebbe l’intero comparto portuale italico ad andare pesantemente in crisi, perché tagliato fuori dai flussi marittimi più battuti.

Venendo alle contromisure, che alla fin fine vuol dire “tagliate le unghie” agli Houthi sostenuti dall’Iran degli Ayatollah, finora ci hanno pensato, come al solito, gli americani e gli inglesi.

Ma poiché è impensabile che l’Europa non partecipi  direttamente alla difesa di questa via d’acqua strategica e  vitale per il Vecchio Continente, a Bruxelles hanno deciso proprio ieri di mettere in campo una “missione navale europea”, alla quale credo sia impensabile non partecipi l’Italia, visto che siamo il Paese potenzialmente  più danneggiato. 

A tal riguardo non mi stancherò mai di dire che i “pacifisti” di casa nostra, quelli che rifiutano le armi, quelli che vorrebbero un’Italia ”mettete dei fiori nei vostri cannoni”, non capiscono una cosa fondamentale.  Quella che le minacce ibride di questo secolo verranno soprattutto da quel “global common”, da quel bene comune, che è il mare. 

Ma se questo è vero, per contare sui tavoli geo-politici bisogna avere una flotta adeguata e soprattutto le portaerei, e su questo non siamo certamente fra i paesi all’avanguardia.

Ma poiché appena si parla di difesa e di riarmo, nel Belpaese si alzano le solite polemiche, non ci resta che sperare che il lavoro sporco lo facciano gli Yankee. 

Umberto Baldo

PS: nelle grandi crisi internazionali spesso a fare la differenza è la qualità dei politici coinvolti. Pensate che l’Europa ha a suo tempo schierato quale proprio Inviato Speciale nella regione che comprende: Oman, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar. Bahrein, Kuwait, Iran e Iraq, niente popò di meno che: Luigi Di Maio.    Un vero Metternich!!!   

Uno la cui nomina fu così commentata da Le Monde: “Le sue competenze, soprattutto la sua conoscenza da debuttante dell’inglese, e la sua scarsa esperienza nel Golfo, rendono curiosa questa scelta”.   

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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