19 Febbraio 2022 - 11.00

Elisabetta la Grande o Elisabetta l’Ultima?

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Ha suscitato un certo clamore un articolo di Polly Toynbee sul Guardian, titolato “Chiaramente la Gran Bretagna perde più di quanto guadagni dalla monarchia”.Si tratta di un editoriale in cui si sviluppa un’analisi piuttosto impietosa dell’Istituzione monarchica inglese, di fatto invitando la Regina Elisabetta II ad approfittare del suo “giubileo di platino” per togliere le tende, e “ritirarsi dalla vita pubblica per trascorrere i suoi anni di declino in dignitosa tranquillità e consentire una successione programmata a Charles”. Già perchè, nel bene e nel male sono 70 anni che “Lilibet”, questo il soprannome familiare di Elisabetta, siede sul millenario trono di San Giacomo.Vi rendete conto di cosa sono 70 anni di regno?  Un’eternità, che la pone, al momento, al quarto posto nella storia dei monarchi più longevi.Più di lei hanno regnato Luigi XIV (il re Sole) che fu re per 72 anni e 110 giorni, Bhumidol Adulyadej di Tahilandia (70 e 126 giorni), e Giovanni II del Liechtenstein (70 anni e 91 giorni).A quanto pare la Regina inglese non manifesta però alcuna intenzione di togliere le tende, e chissà che non miri a strappare la “medaglia d’oro” di sovrano più longevo a “le Roi Soleil”. L’articolo pone comunque il problema su quanto senso abbia ancora l’istituzione monarchica in un Paese moderno come la Gran Bretagna.Il tema è come un fiume carsico che ogni tanto riaffiora, e mette in discussione l’anacronismo delle carrozze dorate, delle cerimonie con corona in testa e scettro in mano, dei castelli, dei cappellini colorati, ed in generale di un simbolismo che affonda le sue radici nel medio evo più profondo. Non è che in Inghilterra non ci sia chi propugna l’ideale repubblicano, ma fino ad ora questo sentimento anti-monarchico non ha mai veramente fatto breccia nel popolo, che sembra anzi voler continuare ad intonare il mitico “God save the Queen”.Qualcuno cerca di giustificare l’utilità della monarchia per le entrate che genera allo Stato, ma come giustamente fa notare la Toynbee questa non è una motivazione valida, perchè, sottolinea giustamente la cronista, “Versailles riceve molti più visitatori, e anche Legoland in fondo alla strada dal Castello di Windsor”.No, ci deve essere qualcosa di più, di più profondo, se il popolo che per primo in Europa tagliò la testa ad un Re, Carlo I Stuart nel lontano 1649, continua a bearsi nel seguire le vicende, purtroppo spesso piuttosto venali e pecorecce, della famiglia Windsor (fra l’altro di origine tedesca, tanto che fu proprio Elisabetta II a cambiare per se ed i propri discendenti il cognome Sassonia-Coburgo-Gotha appunto in Windsor)Qualcosa di inspiegabile, se nel 2022 si continua a tenere in piedi un costosissimo anacronismo, che azzera il principio meritocratico in nome della patinata carica ereditaria.Può essere che sia il rimpianto dei fasti di una Gran Bretagna che non c’è più, dell’Impero le cui cannoniere sfrecciavano sui mari di tutto il mondo, dell’epoca in cui Churchill sedeva con Roosevelt e Stalin per disegnare la cartina del mondo post bellico.Perché non si può dimenticare che quella inglese è una monarchia imperiale che discende da Dio, e sebbene sia in pratica una monarchia costituzionale, presenta ancora un retaggio da monarchia assoluta. Diversa dalle monarchie del Benelux o dei Paesi scandinavi. In quei Paesi il monarca, all’atto dell’incoronazione, giura di rispettare la Costituzione e di servire la democrazia, mentre in Inghilterra sono i cittadini che dovrebbero giurare fedeltà alla Corona. E così un deputato eletto dal popolo alla Camera dei Comuni non potrebbe effettivamente dirsi eletto finché non abbia prestato giuramento alla Regina, cioè ad una persona che occupa quel posto “Per grazia di Dio”. Non è un particolare da poco!Sicuramente Elisabetta II ha il merito di aver demolito certa retorica che circondava Buckingham Palace, ma non è escluso che la sua longevità sul trono abbia frenato il rinnovamento dell’immagine di una monarchia che sembra imbalsamata nei suoi riti e nei suoi gossip, dal colore dei cappellini ai matrimoni e tradimenti dell’immediato entourage reale.Purtroppo tempus fugit per tutti, ed il filo delle Parche scorre anche per l’inossidabile Elisabetta II.Ed il suo stato di salute, che appare sempre più precario, risveglia la domanda che l’opinione pubblica e i giornali si pongono da tempo: cosa succederà alla monarchia inglese dopo la morte di Sua Maestà? In teoria la risposta è semplice: il trono passerà al principe Carlo. La realtà, invece, è molto meno scontata. Perchè balza agli occhi che la credibilità e la popolarità del principe di Galles non è quello dell’augusta madre, ed il futuro regno di Carlo, e della sua Camilla che sembra peraltro una coetanea della Regina, rischia di essere niente altro che un periodo intermedio, una fase di transizione schiacciata tra l’epoca dell’attuale Regina e quella del principe William. Sicuramente Elisabetta II, nei suoi sette decenni di regno non ha mai commesso gravi errori, tranne nel caso della tragica morte della principessa Diana, quando la sua ritrosia a mostrare cordoglio le alienò le simpatie dei sudditi, e ci volle l’intervento di Tony Blair, allora primo ministro, a farle mutare atteggiamento (gli obbedì, ma non gliel’ha mai perdonata, rifiutandosi di assegnargli l’Ordine della Giarrettiera, come vorrebbe la prassi per tutti gli ex-premier, e di invitarlo al matrimonio del nipote William con Kate).Ma è la popolarità dell’Istituzione ad essere in graduale seppur lento declino. E quando Elisabetta non ci sarà più, l’ascesa al trono di un re come Carlo, molto meno popolare, ed anziano, avendo già compiuto 72 anni, potrebbe innescare una discussione sulla forma di governo più adatta: monarchia o repubblica. Puntando così i riflettori sul fatto innegabile che l’ordinamento monarchico inglese ha di fatto consegnato le “prerogative reali” al primo ministro (che nomina persino l’Arcivescovo di Canterbury), senza alcun controllo od equilibrio, tranne una Camera dei Lord debole quasi quanto il monarca per la stessa ragione: essere priva dell’autorità che proviene da un’elezione. Senza contare il rischio che il Regno Unito si possa nel frattempo “disunire”, perdendo due delle sue quattro regioni, la Scozia e l’Irlanda del Nord. Come si vede il futuro della “favola” della monarchia inglese appare piuttosto incerto, e pur considerando che il Guardian è un giornale apertamente filo-repubblicano, non si può sottacere che nell’articolo in questione Polly Toynbee scrive senza tentennamenti che Elisabetta II potrebbe passare alla storia non come Elisabetta la Grande, come vorrebbero i suoi agiografi, bensì come Elisabetta l’Ultima.Onestamente non credo che il crollo sia imminente, ma non c’è dubbio che il futuro della monarchia britannica sarà deciso nei prossimi tre o quattro decenni, e dipenderà da quanto la popolazione sentirà la sua rilevanza.Umberto Baldo

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