28 Settembre 2019 - 14.55

Editoriale- Suicidio assistito? Tutte balle

Mente sapendo di mentire chi afferma, spesso con toni apocalittici, che la Corte Costituzionale con la sentenza del 25 settembre sul fine vita abbia liberalizzato il suicidio assistito.
Mente sapendo di mentire in quanto a livello legislativo non è cambiato nulla. La Corte non ha dichiarato incostituzionale l’art. 580 del codice penale che punisce con una pena da 5 a 12 anni chi agevola il suicidio di un’altra persona.
La Corte ha ribadito, per la seconda volta visto l’inutilità della prima indicazione, che sul tema è “indispensabile” un intervento del legislatore, che regoli la materia con una legge ad hoc.
Ma nel fare questo i Giudici della Costituzione hanno elencato una serie di condizioni imprescindibili perché colui che agevola il suicidio possa essere considerato non punibile ai sensi dell’art. 580, e cioè che il paziente deve essere «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
La Corte nella sua decisione si è ancora rivolta al “grande assente” di questa vicenda: il Parlamento italiano.
Ben undici mesi fa, dopo che il Tribunale di Milano aveva sollevato l’eccezione di incostituzionalità sul caso Cappato/Dj Fabo, la Corte Costituzionale aveva invitato il Parlamento ad affrontare il problema, fissando la decisione quasi un anno dopo, proprio per consentire alla politica di fare il proprio dovere.
Ma il Parlamento, per polemiche strumentali e divisioni ideologiche non ha saputo, ma io penso non abbia voluto, rispondere.
Non è la prima volta che, a fronte di temi divisivi, i nostri Parlamentari preferiscono assumere l’atteggiamento di Pilato. Solo che qui non c’era da scegliere fra il mandare a morte Gesù o Barabba; c’era semplicemente da prendere coscienza che il problema del fine vita, sempre più sentito fra i cittadini, deve inevitabilmente essere regolato da una legge, per non costringere i malati terminali a viaggi in Paesi in cui la politica il suo dovere l’ha fatto. Magari sbagliando, magari non in modo perfetto, ma l’ha fatto, prendendosi la responsabilità di una decisione per quanto difficile.
Non è la prima volta che accade, e non sarò neanche l’ultima, perché i nostri politici sono in generale più portati a pratiche di sottogoverno che ad affrontare problematiche di tipo etico, in grado di individuare un confine preciso fra fede e libertà. C’è da dire che, obiettivamente, sia pure in una generale “eclissi del sacro”, come diceva il compianto Sabino Acquaviva, che interessa un po’ tutta la società italiana, la nostra politica è ancora fortemente condizionata dalla presenza del Vaticano entro i nostri confini. Con il rischio che anche su questo tema lo Stato non riesca ad imporre la sua “laicità”, cedendo ai confessionalismi ed ai movimenti per l’obiezione di coscienza, così come successo con la legge sull’aborto volontario, pur confermata dal 68% degli italiani in un Referendum.
E sì che il problema è ben presente da anni nella nostra società, e mi riferisco al caso della povera Eluana Englaro, una nostra concittadina che, a seguito di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte per cause naturali sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutriziona artificiale. Il suo caso divenne una lunga vicenda giudiziaria tra la famiglia sostenitrice dell’interruzione del trattamento e la giustizia italiana, divenendo alla fine un caso politico. Eluana è morta nel 2009, e non c’è alcuna scusante per una politica che in dieci anni non ha saputo compiere scelte adeguate, venendo incontro alla disperazione di malati e famiglie in condizioni simili.
Ma andando avanti con il ragionamento, oltre ad aver indicato i soggetti che potrebbero usufruire del diritto di porre fine alla loro vita di sofferenze, la Corte Costituzionale ha fatto di più, specificando che la non punibilità di chi agevola il suicidio è subordinata alle «modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del Comitato etico territorialmente competente». Su questo punto l’ordine dei medici vorrebbe un confronto con il governo. «Chiediamo che a raccogliere le volontà di fine vita del paziente e a somministrare il farmaco sia un pubblico ufficiale e non un sanitario, fermo restando il dovere del medico di assistere il malato fino alla fine per alleviarne la sofferenza con cure palliative o antidolorifici”.
In attesa che il Parlamento decida, perché è indegno che la Corte Costituzionale sia dovuta intervenire in sua supplenza, quali sono le norme attualmente in vigore?
Ai sensi della legge 219 del 2017 in tema di «Disposizioni anticipate di trattamento» (Dat), il malato cosciente può esprimere la volontà di interrompere le terapie di sostegno vitale (ventilazione o alimentazione artificiale), con o senza sedazione profonda. La decisione rimane valida anche qualora il paziente dovesse non essere più cosciente.
Nell’ambito delle cosiddette cure palliative (antidolorifici in caso di patalogie irreversibili) è poi consentita la cosiddetta «sedazione palliativa»: il paziente viene reso incosciente, e quindi non in grado di percepire sofferenza, fino al termine naturale della sua vita.
E’ chiaro che quella del fine vita, ed a maggior ragione del suicidio assistito, è materia delicata, con risvolti etici, che non può essere trattata con superficialità.
Ma i Signori che siedono ben pagati a nostre spese a Montecitorio ed a Palazzo Madama dovranno pur degnarsi di rispondere alle invocazioni di chi soffre e di chi gli sta vicino, e si chiede: ma fino a quando è lecito prolungare una vita che non è più vita?
Questa in parole povere è la “domanda delle domande”, e la mediazione della politica serve appunto a trovare il confine fra l’atto di liberazione dalla sofferenza, e l’arbitraria interruzione della vita.
Il problema è ben presente anche fra alcuni uomini di chiesa. Ad esempio padre Alberto Maggi, teologo di fama, quando in vista di un intervento chirurgico pesante gli venne prospettata la possibilità di lesioni cerebrali permanenti, non ebbe alcun dubbio, e diede disposizioni ai propri confratelli che in quel caso “dovevano staccare la spina”.
Credo che l’importanza, e la drammaticità del tema richieda un’immediata presa di coscienza della classe politica, che si può definire tale solo se in grado di rispondere con atti concreti ai bisogni di tutti i cittadini, anche i più sfortunati.
Chiudendo, si fa ovviamente per dire, il nostro ragionamento, qualcuno può pensare che la sentenza della Consulta sia stata emessa per “salvare” Marco Cappato, il leader radicale che ha creato il caso Dj Fabo autodenunciandosi dopo averlo accompagnato in Svizzera a morire.
Non è così.
Intanto perché i principi di non punibilità decisi dalla Corte non sembrano poter riguardare una vicenda che si è svolta in Svizzera.
I giudici costituzionali si sono limitati a dire che nel processo in corso a Milano a carico di Cappato «rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate».
Quindi non tutto è scontato nel processo di Milano, e teoricamente Cappato potrebbe anche essere condannato ai sensi dell’art. 580.
Ma credo non vadano dimenticate al riguardo le parole del Pubblico Ministero dott.ssa Tiziana Siciliano che disse, fra le lacrime, “Io mi rifiuto di essere la parte dell’accusa. Io rappresento lo Stato. E lo Stato è anche Marco Cappato”. È una di quelle frasi che, al di là delle cronache giudiziarie di questi giorni, sarebbe da scrivere nei libri di scuola, al capitolo del coraggio che, come diceva Manzoni, “uno non se lo può dare”.
Perché, questo è il mio pensiero, se lo Stato è l’Ente che deve occuparsi dei propri cittadini, del loro benessere e della loro dignità, allora Tiziana Siciliano e Marco Cappato sono concittadini dello Stato che vorrei.
Io non sono in grado di decidere che condizione sia degna per un uomo di essere vissuta.
Ma credo vada rispettata la scelta di Dj Fabo, e di coloro che chiederanno e decideranno nel futuro di morire con dignità.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA