29 Gennaio 2016 - 16.36

EDITORIALE – Statue coperte: tanta demagogia e caccia al capro espiatorio

statue-coperte

di Marco Osti

Continuano le polemiche per la scellerata decisione di oscurare le statue classiche nei Musei Capitolini, in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani.
Una scelta che ha giustamente indignato, perché deve esistere un limite anche nella volontà di compiacere un ospite straniero ed è quello di non mettere mai la dignità del nostro Paese e della nostra cultura in posizione minoritaria.
Non vanno imposti agli altri, come qualcuno vorrebbe, ma certamente nemmeno vilipesi da noi stessi, anche se per presunta buona educazione.
Purtroppo questo è avvenuto e tutti i commenti che si leggono in cui si ribadisce il valore della grandezza del patrimonio artistico e culturale italiano sono certamente condivisibili.
Tutto ciò però diventa fuori luogo quando scade nell’ipocrisia e nella demagogia spicciola.
In primo luogo è importante non esagerare.
È stato compiuto un grossolano errore, che come tale va rimarcato e denunciato, anche perché non abbia a ripetersi, ma non per questo l’Italia si è piegata al mondo islamico, come in tanti accusano.
Molto più pragmaticamente va chiaramente detto che il nostro Paese ha compiaciuto, seppur in modo pacchiano, il presidente iraniano, che peraltro sembra non avesse avanzato la richiesta di nascondere le statue, in nome degli enormi interessi economici al centro degli incontri tenuti a Roma con il Governo.
Si stima in circa 7 miliardi di euro l’ammontare degli scambi commerciali che l’Italia può intrattenere con lo stato guidato da Rouhani, circa 6 in più di quelli attuali, crollati a tale livello a seguito delle sanzioni economiche internazionali che erano state applicate all’Iran e ora sono in via di eliminazione, a seguito degli accordi con Europa e Stati Uniti sul nucleare.
Se non si parte da questo elemento, che era al centro della visita a Roma del presidente iraniano, tutto sembra assurdo.
È evidente che ogni valutazione morale, etica e nazionalistica ha una ragione, che però deve anche essere considerata rispetto ai brutti sporchi e cattivi interessi economici del nostro Paese, che esistono e costituiscono una variabile da considerare nelle valutazioni su questa vicenda.
L’errore, come detto, è stato esagerare e concedere più di quanto pare fosse stato addirittura richiesto dai nostri ospiti stranieri.
Quello che stupisce è che non si sia imparato da sbagli analoghi avvenuti in passato, ad esempio quando un Governo guidato da Silvio Berlusconi accolse a Roma il leader libico Gheddafi, in modo anche più eclatante di quanto non sia stato fatto con Rouhani, consentendogli addirittura di occupare i giardini di Villa Pamphili con una enorme tenda beduina, in cui venne ospitata la sua corte e il suo schieramento di amazzoni.
Allora ci furono le stesse polemiche, alimentate quella volta dal centro sinistra, che oggi al Governo viene attaccato dall’opposizione e da esponenti di centro destra che militavano nell’Esecutivo che accondiscese ai capricci di Gheddafi.
Roberto Maroni era ministro dell’Interno di quel Governo e oggi, rispetto alla visita di Rouhani, sostiene che sia stata fatta una “figura di m…. internazionale”.
Quello stesso Maroni che non si è accorto evidentemente della eco negativa che ha avuto nel mondo la sua iniziativa di sponsorizzare a Milano il Family Day con le luci del palazzo sede della regione Lombardia.
Un utilizzo di parte di un luogo pubblico istituzionale, che appartiene a tutti e quindi dovrebbe essere imparziale su un tema che divide oggi il mondo politico di fronte alla discussione su una legge che riconosca le unioni civili.
Non era necessario illuminarlo con i colori dell’arcobaleno, che richiamano l’idea per cui ognuno ha diritti che devono essere rispettati, come è stato fatto in moltissimi palazzi pubblici in Europa e nel mondo, bastava restare rispettosamente neutrali.
Maroni non lo ha fatto, era nel Governo che compiacque Gheddafi, ma non si esime dal condannare l’attuale Esecutivo, peraltro da una posizione anch’essa istituzionale quale presidente di Regione, e non di esponente politico con ruolo di partito.
Ma questo è il livello.
Chi in passato ha compiuto errori uguali, se non peggiori, finge di dimenticarsene, e di non conoscere le motivazioni, soprattutto economiche, per cui si fanno certe scelte e appena può si scaglia contro la parte avversa con motivazioni uguali e contrarie.
Naturalmente tutto si può ribaltare alla prossima occasione a parti invertite.
Fa parte del clima di costante campagna elettorale che caratterizza il nostro Paese, che impedisce spesso di affrontare le questioni andando alla loro essenza, senza demagogie e strumentalizzazioni.
In questo gioco non devono cadere le analisi degli osservatori e in tal senso colpisce che subito dopo l’incidente delle statue il Governo, dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al premier Matteo Renzi, si sia tirato fuori dalla responsabilità di quanto accaduto e abbia fatto partire la caccia al colpevole.
Giusto che si capisca cosa è successo, ma, anche se l’errore è stato di un singolo, l’Esecutivo e il suo presidente del Consiglio sono comunque responsabili, perlomeno perché evidentemente non hanno dato indicazioni chiare, posto che fossero veramente all’oscuro di tutto e ogni decisione sia stata assunta in autonomia dalla capo del cerimoniale di Palazzo Chigi, Ilva Sapora.
Una ipotesi che stupisce, in quanto pare improbabile che una donna esperta nel suo mestiere non si sia confrontata rispetto a una questione così delicata, a meno che non abbia applicato protocolli già esistenti, quindi conosciuti da tutti, Governo compreso, cui si è adeguata, magari peccando di valutazione critica rispetto al contesto, ma non sbagliando in via di principio.
Tutto ciò certamente emergerà dalla doverosa indagine conoscitiva avviata sulla vicenda, ma la sensazione sgradevole che emerge è che la stessa non sia fatta per capire cosa sia avvenuto e per trovare opportuni correttivi per il futuro, ma per identificare un colpevole su cui si possa scaricare ogni colpa, per lasciare immacolato l’operato di premier e ministri.
Un’operazione per cui, come al solito, si darebbe maggiore importanza all’immagine e all’apparenza rispetto alla sostanza, perdendo anche in questo caso l’occasione per trasformare determinati eventi in un’opportunità per innescare un dialogo fra opinioni diverse con l’obiettivo di costruire un Paese migliore.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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