30 Gennaio 2020 - 10.06

EDITORIALE – Brexit, ritratto di una separazione

di Umberto Baldo

Alla fine sta succedendo davvero!   Il tormentone che ci ha accompagnato negli ultimi anni, Brexit si, Brexit no, si sta concludendo con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Si sta sciogliendo un “matrimonio” durato ben 47 anni, celebrato con il tipico understatement britannico il 1° gennaio 1973.In realtà la sposa, considerando tale l’Inghilterra, non mostrò neanche in quell’occasione un entusiasmo particolare, tanto che all’epoca il quotidiano The Guardian scrisse testualmente: “La Gran Bretagna è entrata pacificamente in Europa ieri sera, a mezzanotte, senza alcuna celebrazione speciale. Difficile dire che sia accaduto qualcosa di importante”.  

Direi che non si poteva proprio parlare di “trasporto” verso le Istituzioni comunitarie. E’ inutile ripercorrere le tappe di questo “divorzio” che, come nei film di appendice, è stato lungo, travagliato, pieno di colpi di scena.   Un percorso a ostacoli in cui le Istituzioni britanniche ci hanno  mostrato probabilmente il loro lato peggiore, con Governi incerti, partiti di opposizione che non sapevano che pesci pigliare, ma soprattutto una Camera dei Comuni a lungo in balia di mosse e contromosse degne più di una rivista di avanspettacolo che di uno dei più antichi Parlamenti del mondo. Ma alla fine, dopo averci tenuti sospesi per tre anni e mezzo in un limbo di incertezze, da quel 23 giugno 2016 in cui il Si prevalse sui No,  il 31 gennaio 2020, alle ore 11, ora di Londra (a Bruxelles sarà mezzanotte) il Regno Unito sarà ufficialmente fuori dall’Unione Europea. E così sarà compiuta la Britain Exit. Come avviene in tutti i casi di avvenimenti “divisivi”,  la notte del 31 gennaio ci sarà chi festeggerà, e chi invece si rammaricherà.Il premier Boris Johnson, vero vincitore della partita, venerdì sera terrà un discorso in televisione, e poco prima delle 23 verrà proiettato un “conto alla rovescia” al n. 10 di Downing Street, storica residenza dei Primi Ministri britannici. A sottolineare il momento storico non ci saranno però i rintocchi del Big Ben, perché lo storico campanile è attualmente chiuso per manutenzione.

Fra i più felici ci sarà sicuramente Nigel Farage, il politico inglese che più di ogni altro si è battuto per la Brexit, tanto da sottolineare l’evento del 31 gennaio 2020 con queste parole: “Alla mezzanotte di questo venerdì passiamo il punto di non ritorno. Per noi è probabilmente la cosa più importante da quando Enrico VIII ha portato il Paese fuori dalla Chiesa di Roma. Un momento significativo”.

Il paragone fra l’Uscita dalla Ue e quella dalla Comunità cattolica con lo Scisma d’Inghilterra, la dice lunga sul sentiment di Farage e dei suoi sostenitori.  Il gruppo di lobby Leave Means Leave ha in animo una celebrazione pubblica nella Piazza del Parlamento, e “farà risuonare i rintocchi del Big Ben, ovviamente registrati, attraverso un eccellente sistema di altoparlanti”.

Ma c’è chi considera la Brexit una sciagura, ed infatti i Remainers hanno programmato una sorta di veglia funebre in un pub di Londra, denominata “Eurotrash Final Countdown commiseration drink”.  Alle ore 23 i partecipanti al  drink ascolteranno l’Inno alla Gioia, l’inno dell’Unione Europea.

Ovviamente questi oppositori della Brexit ritengono che non ci sia nulla da festeggiare, e Tony Greaves, un membro liberaldemocratico pro-UE della Camera dei Lord, ha dichiarato che festeggiare “per celebrare qualcosa che vuole solo la metà del paese … è completamente sbagliato. Dicono che ora c’è bisogno di riunire il Paese. Questo è proprio l’ultima maniera di farlo”. Comunque c’è poco da fare.   A suo tempo gli inglesi avevano votato a favore della Brexit.  Johnson ed i conservatori hanno cercato in ogni modo di rispettare quel voto.

A questo punto i giochi sono fatti, ed il suggello è stato messo dal Parlamento europeo, che il 30 gennaio 2020 ha votato a favore dell’accordo di uscita del Regno Unito.

Quindi guardare indietro non serve a nulla ed è opportuno vedere cosa accadrà il 1 febbraio 2020. Meglio dirlo subito; in realtà, a parte le feste, non succederà molto. Perché dopo 47 anni di permanenza all’interno dell’Unione europea non è pensabile che di punto in bianco si possa cancellare tutto con un colpo di spugna.

Il 31 gennaio segna comunque un punto fermo: indietro non si torna.   Ciò vuol dire che, a partire dalle prime ore di sabato, il Regno Unito non potrà più revocare l’articolo 50, e cesserà di far parte della Ue.  In particolare uscirà da qualsiasi centro decisionale dell’Unione, Johnson ed i Ministri britannici non verranno più invitati ai vertici Ue, i 73 eurodeputati inglesi decadranno e verranno sostituiti.

Dal 1° febbraio inizia un periodo di transizione che durerà 11 mesi, che dovrebbe servire a smussare gli angoli dei dossier più spinosi collegati al divorzio inglese, come la mobilità transnazionale, i diritti dei cittadini, le politiche commerciali, le politiche di immigrazione e molti altri.In questi 11 mesi di trattativa i rapporti commerciali non subiranno alcuna modifica: Il Regno Unito resterà nel mercato unico e nell’unione doganale, e Londra dovrà ancora rispettare le regole europee, comprese le sentenze della Corte di Giustizia europea.   Ma dovrà anche continuare a pagare la sua “quota di partecipazione” alla Ue, proseguendo per la durata del “periodo di transizione” a contribuire al budget comunitario. Ma quindi non cambia nulla? Ho accennato sopra che anche due coniugi che si separano hanno bisogno di tempo per fissare le nuove regole di convivenza.   Figuriamoci se il divorzio riguarda uno Stato! Di fatto dal 1° febbraio tutto viene in certo qual modo “congelato”, in attesa che le “diplomazie” cerchino di trovare nuovi accordi che regoleranno le relazioni future fra l’Unione e l’Inghilterra, soprattutto relativamente ai rapporti commerciali ed alla sicurezza.  I tempi sono già stati tutti fissati. Il periodo di transizione scadrà il prossimo 31 dicembre 2020, ed una proroga potrà essere chiesta dal Regno Unito entro e non oltre il 31 luglio 2020, cioè fra sei mesi.

Boris Johnson, che probabilmente sa bene che i tempi sono estremamente stretti, ha già messo le mani avanti, escludendo qualsiasi possibilità di proroga.Dal punto di vista degli accordi commerciali quasi sicuramente l’Unione offrirà un’intesa che non preveda dazi né quote su alcun tipo di prodotto.  Ciò a patto che il Regno Unito si impegni a rispettare una serie di condizioni: i diritti dei lavoratori, gli elevati standard ambientali europei, e le norme sugli aiuti di stato.   

Capite bene che il timore degli “europei” è che il regno Unito possa fare concorrenza sleale alle aziende comunitarie trasformandosi in una sorta di paradiso per le multinazionali, con stipendi più bassi, poche tasse, e standard igienici meno rigorosi. Ma i settori in cui bisognerà trovare un’intesa sono molti di più, e vanno dalla reciprocità di trattamento dei cittadini, alla partecipazione ai programmi cultural-scolastici come l’Erasmus, alla questione delle regole doganali, il che si declina  soprattutto come  “Irlanda del Nord”. A credere che questo processo possa concludersi entro il 31 dicembre, ma in realtà vista la necessità di ratifica dei Parlamenti il termine vero è metà novembre, sono in pochi. E se non ci sarà un accordo? Di fatto ciò per l’economia e le imprese britanniche equivarrebbe ad una no deal-Brexit, e ciò vorrebbe dire barriere e controlli fra la Ue ed il Regno Unito, con tutte le relative conseguenze.Sempre durante il periodo di transizione l’accordo in vigore consente ai cittadini del Regno Unito di continuare a ricevere assistenza sanitaria e pensioni fuori dai confini inglesi.  E come contraltare i cittadini della Ue che vivono nel Regno Unito avranno il diritto di soggiorno permanente, il quale non potrà più essere revocato. L’unica cosa che cambia veramente per gli inglesi è il passaporto.  Infatti i documenti attuali, come le patenti di guida, rimarranno validi, ma dal 31 gennaio il passaporto britannico non darà più diritto alla cittadinanza comunitaria. Le autorità inglesi hanno già iniziato a rilasciare ai propri cittadini i nuovi passaporti privi della dicitura “Unione Europea”, i quali non saranno più di colore bordeaux, bensì blu. In conclusione possiamo dire che il 31 gennaio 2020 rappresenta più il momento in cui inizia l’uscita che l’uscita vera e propria, ed è evidente che un conto sono la retorica ed i proclami di Johnson, un conto la realtà, che evidenzia che passerà ancora molto tempo prima che la Gran Bretagna riesca a sganciarsi definitivamente dalla Ue.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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