21 Maggio 2016 - 17.46

EDITORIALE- I politici che odiano le donne

donne tradimento

di Marco Osti

Un’inchiesta del New Yotk Times, realizzata sentendo 50 donne che hanno avuto rapporti a vario titolo con Donald Trump, il più probabile candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, delinea un personaggio che utilizza metodi denigratori e umilianti verso il genere femminile, considerato evidentemente solo come accessorio di bellezza e piacere.
Barbara Res, sua collaboratrice per anni, con incarichi anche di rilievo, quale quello di seguire direttamente la costruzione della Trump Tower, simbolo dell’impero economico del magnate statunitense, ha dichiarato che lui le ripeteva che “le donne sono inferiori agli uomini, ma quando ne capita una in gamba è meglio”.
Questa affermazione è tipica dell’armamentario ideologico degli uomini che teorizzano la superiorità del genere maschile verso l’altro sesso e mettono strumentalmente una donna in ruoli di vertice quando vogliono dimostrare il contrario.
In realtà è il massimo esempio di una concezione autoritaria, secondo la quale la donna, per ricoprire determinati incarichi, deve essere intelligente, autonoma economicamente e dal punto di vista famigliare, quindi meglio senza figli, possibilmente bella e soprattutto determinata e affamata di successo.
Insomma deve essere come gli uomini, come i peggiori uomini, in special modo come quelli senza scrupoli negli affari, con la differenza che per loro essere brave e intelligenti è indispensabile requisito per farsi notare, non richiesto necessariamente ai maschi.
Molte donne, soprattutto negli anni Novanta e agli inizi del Duemila, hanno accettato questa impostazione, alla quale sono state costrette da un mondo maschilista, non rendendosi conto che comunque stavano rispondendo a una imposizione degli uomini e a un loro modello.
Non è l’8 marzo e non siamo in prossimità di questa ricorrenza, quindi possiamo parlarne senza rischi retorici e anche con l’obiettivo di non ricordarsi del a condizione femminile solo in occasione di una festa.
In quest’ambito va detto che le donne, con la loro forza, la loro voglia di famiglia e di maternità, la loro umanità, la convinzione fornita dalle lotte degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso hanno reagito a questo schema, che in ogni caso i maschi tendono se possibile a reiterare.
Le donne, però, per poter reagire hanno bisogno di una società che ne comprenda le loro necessità, le ambizioni e i desideri, nella piena convinzione che la parità esiste quando le si giudica sulle stesse basi con cui si valuta l’operato dell’uomo, in termini di capacità e di esigenze famigliari e sociali.
Ancora oggi una donna che deve correre a casa dal figlio malato è considerata poco funzionale alle esigenze del lavoro e non adatta per determinati ruoli.
Ma questo avviene anche perché gli uomini non assumono determinate incombenze, soprattutto quando anch’essi sono in un contesto sociale e lavorativo che non accetta tale comportamento, e perché ancora sono pochi i meccanismi legislativi e gli strumenti che favoriscono una positiva conciliazione di tempi di vita e lavoro.
Sebbene siano stati fatti passi avanti ne servono ancora e importanti, in particolare sotto il profilo culturale, perché la questione riguarda tutti, anche naturalmente l’Europa e quindi l’Italia.
La concezione della donna di Trump non è infatti solo bullismo machista, non comunque meno grave, ma non è isolata e rappresenta un punto centrale di una idea sociale arcaica, che vuole l’uomo superiore, a volte predatore, comunque padrone.
La logica medioevale che teorizza la superiorità dell’uomo sulla donna è infatti trasversale a più culture e non appartiene solo al mondo musulmano, come spesso all’Occidente piace pensare, come dimostrano le notizie sempre più frequenti di violenze e omicidi che colpiscono le donne, specialmente in ambiente famigliare.
Fatti di cronaca che spesso riguardano anche l’Italia, dove non va mai dimenticato che fino a poche decine di anni fa era ancora accettato il delitto d’onore e lo stupro è diventato un reato contro la persona solo nel 1996, mentre prima era considerato unicamente reato contro la morale.
L’elezione di Trump sarebbe quindi un segnale negativo nel percorso di sviluppo civile e sociale di una nazione come gli Stati Uniti, che rappresenta un riferimento nel mondo.
Le donne in questo senso sono solo un aspetto di un Paese, dove prevarrebbe un’idea di società che vuole escludere invece di includere, che vuole dividere invece che unire, che sta dalla parte dei più forti invece che dei più deboli.
Non esistono spazi di dialogo nel mondo di Trump, non esistono con le donne, come non esistono con il mondo musulmano e con tutte le minoranze, che siano etniche, sociali o linguistiche.
Allora la questione delle donne può essere paradigma di una più ampia e profonda, sulla quale è in atto uno scontro anche all’interno delle destre occidentali.
Un’ampia parte dei repubblicani americani è contraria all’ascesa di Trump, che invece trova proseliti in quell’America rurale e sottoproletaria che ama le armi, odia il diverso ed è convinta che le sue difficoltà economiche e sociali siano colpa degli stranieri e di tutto ciò che viene individuato come estraneo.
Non c’è molta differenza con quanto viene detto in Italia da Salvini, in Francia dalla Le Pen, da Austria e Ungheria nel momento che costruiscono muri, attraverso le idee autoritarie con cui è governata la Turchia.
Non è un caso che nel mondo occidentale Trump trovi proseliti in chi ha analoghe visioni manichee su cosa è buono e giusto e su cosa non lo è, in chi abbraccia una idea politica e di società fondata sulle divisioni, in cui una parte deve prevalere sull’altra e imporre le proprie idee a chi non le condivide.
Questa destra sta prendendo il sopravvento su una destra liberale che ha basi solide nella democrazia e nel liberalismo, non si lascia ogni giorno irretire da pulsioni nazionaliste e populiste, in Europa crede nei processi di integrazione tra i popoli e negli Stati Uniti cerca il dialogo con le minoranze e con i democratici.
La vittoria della destra di Trump favorirebbe invece una radicalizzazione delle divisioni, tra modelli culturali, opinioni e visioni sociali, aumentando il rischio di contrapposizioni e conflitti.
Anche su scala mondiale.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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