24 Aprile 2020 - 16.28

25 aprile e riaperture: l’Italia Una e ‘Divisibile’

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di Gianni Ripa 


Riaprire, ripartire, muoversi, tornare a vivere. Le parole d’ordine di questi giorni sono tutte improntate alla necessità di uscire dalla quarantena, quella che effettivamente sembra essere riuscita a salvare la sanità del Veneto, mentre ancora Lombardia e Piemonte fanno i conti con dati che non sono davvero così rassicuranti.

Nel frattempo si fanno avanti ipotesi che mettono i brividi. Muoversi sì, ma solo per andare a lavorare, muoversi con alcune aziende che potrebbero avere il via libera a partire dal 27 aprile, ma con una situazione del Veneto che vede già almeno il 40 per cento delle attività produttive di fatto già riaperte ormai da settimane.

Dal quattro maggio, poi, ulteriore alleggerimento del lockdown con un ritorno generalizzato al lavoro ma con le scuole chiuse e il problema di dover lasciare i bambini e i ragazzi a casa: non si sa con chi.

Infine una prospettiva di riapertura anche per locali pubblici e attività di cura delle persone (dai parrucchieri alle estetiste) ma con problemi che potrebbero essere insormontabili: distanziamento di tavoli, barriere di plexiglass, prenotazioni, e addirittura santificazione degli abiti una volta che il cliente li abbia provati ma non comprati. 

In questa vera e propria marea di dubbi, con ristoratori e negozianti che stanno valutando se davvero valga la pena di riaprire un locale dimezzando i tavoli ma trovandosi di fronte agli stessi costi fissi, si inserisce anche la solita e vorrei dire ormai drammatica contrapposizione fra regioni e zone del paese. Domani si festeggia il 25 aprile, data fondativa della nostra Repubblica, festa non solo della liberazione dal nazi-fascismo, ma momento di catarsi collettiva, di riscatto. Gli Italiani, lo sappiamo bene, sono stati fascisti, hanno approvato o semplicemente accettato le leggi razziali, hanno appoggiato la dittatura. Per superare la tragedia della guerra e della dittatura bisogna far riferimento a quei pochi – o tanti – che hanno scelto di combattere dalla parte giusta, quella dei partigiani, rifiutando quella sbagliata. Se dal 25 aprile nasce la Repubblica, al risorgimento si fa derivare la Nazione, unita. La Nazione, appunto, che l’articolo 5 della Costituzione definisce “Una e indivisibile”.

Sarà davvero così?

Di fronte ai progetti di uscita dalla quarantena ipotizzati semplicemente dai presidenti delle regioni del Nord, Lombardia e Veneto su tutte, ecco che l’unità entra subito in crisi. Chi ha vissuto con meno drammaticità la bufera del contagio si chiede se davvero valga la pena di far riprendere la circolazione di persone e merci attraverso l’intero territorio nazionale, con il rischio di esportare verso zone “tranquille” la tragedia vissuta a Bergamo o a Padova, a Brescia come a Vicenza. Ecco allora arrivare la minaccia del presidente della regione Campania, De Luca, che non si fa scrupoli a dire che potrebbe chiudere i confini regionali alle persone in arrivo dal Nord. Caro presidente Vincenzo De Luca, la Costituzione repubblicana, quella che deriva direttamente dal 25 aprile, questo non lo consente. In primo luogo non lo consente il già citato articolo 5, quello che definisce la Nazione “Una e indivisibile”, vi osta anche il principio di solidarietà che si ritrova nell’articolo 2 della Carta Fondamentale, sinceramente inconciliabile con qualunque chiusura egoistica e particolare. Sarebbe davvero un controsenso giuridico pensare che ogni singola regione possa limitare gli spostamenti da e verso altre regioni. Pensarlo è semplicemente ridicolo, esattamente come era ridicolo quando a vagheggiarlo erano alcune frange estremiste di movimenti del Nord che sognavano di mettere un confine sul Po, ridicolo come quando circolavano slogan elettorali come “Vota el leon che magna el teron”. Del tutto diverso il discorso se ad imporre limitazioni fosse ancora una volta lo Stato, magari con un provvedimento dotato di maggior spessore rispetto all’ormai iper-sfruttato Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm). Nel dosare la quantità di libertà di movimento assegnato ai cittadini è possibile, e in questo momento è anche ipotizzato, di fermare la circolazione all’interno dei confini di ciascuna regione. Questo si può fare, certo, ma non senza problemi. Pensiamo alle merci, alle aziende che oggi hanno orizzonti europei più che nazionali, alla necessità di spostarsi, mettersi in rapporto e far funzionare l’economia. Non credo che un limite regionale sia praticabile, se non a costo di una serie di eccezioni alla regola generale che potrebbero finire per consentire di fare quello che formalmente si vieta.

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