22 Maggio 2024 - 9.38

Pillola di Economia: Il debito non è ricchezza!

Umberto Baldo

Con la cultura (si fa per dire eh!) sempliciotta, più avvezza alle tematiche da provincia italica piuttosto che a quelle dell’economia globale, di cui sono mediamente dotati i nostri Demostene (qualcuno fa eccezione, s’intende, ma sono pochi, e solitamente inascoltati dai Capi), a Roma e dintorni devono essere evidentemente convinti che il mondo si fermi al di qua delle Alpi.

Ne consegue che, mentre sono tutti impegnati in una lotta senza quartiere all’ultimo voto, ovviamente tutta concentrata su tematiche interne, non si rendono conto che un certo scetticismo nei confronti della credibilità italiana comincia a diffondersi nei mercati internazionali e nelle Istituzioni europee.

Certo al momento tensioni non se ne vedono, lo spread sembra sotto controllo a livelli accettabili, ma un certo scetticismo comincia a essere palpabile leggendo gli scenari elaborati da agenzie di rating e Banche d’affari.

E cosa disvelano questi scenari?

Che in poco più di tre anni l’Italia potrebbe avere il rapporto debito/Pil più alto in Europa, peggiore addirittura di quello greco.

Ciò fa del Belpaese il “malato d’Europa”, visto che dei famosi Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) sembra rimasta nell’occhio del ciclone solo l’Italia, e ciò sarebbe confermato nel report pubblicato da Scope Ratings, l’agenzia di rating europea nata in Germania, che rivela che il debito pubblico italiano salirà al 143,7% del Pil entro il 2028 (dal 137,3% del 2023), staccando quindi la Grecia che dovrebbe fermarsi al 140%.

La Grecia al momento ci precede ancora quanto a livello del debito, ma  il dato ellenico, tuttavia, mostra una dinamica assai migliore di quello italiano: nel prossimo biennio è previsto  che scenda di oltre dieci punti percentuali, mentre il nostro dovrebbe salire di circa 5 punti.

Se questa è la situazione, che non è nuova, perché veniamo da un inarrestabile quarantennale costante accrescimento del debito pubblico, uno sarebbe portato a pensare che una classe politica accorta dovrebbe aver finalmente capito che la crescita spinta delle “spese fiscali” è solo una pia illusione.

Un’illusione buona per accalappiare qualche voto clientelare, ma pur sempre un’illusione. 

Che, oltre tutto, ha un effetto puramente settoriale ed immediato, nel senso di limitato nel tempo.

Ne volete la prova più eclatante, anche perché la più vicina nel tempo?

Con il Superbonus 110%, che qualunque persona sana di mente dovrebbe definire a mio avviso “una sfida al buon senso”, si è provocata una crescita esponenziale dei materiali, e ciò a causa delle gratuità apparente legata al meccanismo dello sconto in fattura e della cessione del credito.

Ma quella gratuità è stata effettiva solo per il beneficiario (colui che si è rifatto la casa) ma non per il bilancio pubblico, che non è cosa astratta, perché in senso figurato siamo tutti noi contribuenti.

Non c’è dubbio che per i benestanti che hanno potuto realizzare opere importanti nelle proprie case senza preoccuparsi dei costi (tanto pagava Pantalone), ci siano stati effetti positivi, come pure ci sono stati per le imprese edili, molte delle quali hanno anche beneficiato di fatture gonfiate e di extra-entrate generate da un giro d’affari che senza il Superbonus non ci sarebbe stato.

Non parlo poi di tutte quelle imprese criminali che approfittando della totale assenza di controlli (voluta dagli estensori della legge!!!) hanno messo in piedi di  tutto di più, rubando letteralmente i soldi dello Stato; ma questo della pervasività della criminalità organizzata è un altro doloroso capitolo mai risolto dalla Repubblica di Pulcinella.

Non voglio darvi l’impressione di essere ossessionato dal Superbonus di Conte, ma riprendendo il filo, credo sia innegabile che, relativamente al progressivo degrado delle finanza pubblica,  “nessun partito possa scagliare la prima pietra”, perché da decenni è invalso un vero e proprio malcostume, che taglia trasversalmente tutte le aree culturali, che non tiene neppure nel debito conto le prescrizioni della Costituzione.

La nostra Carta prevede infatti all’art. 81 terzo comma che: “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.

Se questo principio fosse rispettato non avremmo aumento del debito.

In realtà tutti, ma proprio tutti, sia che siano in maggioranza o all’opposizione, se ne fregano altamente, tanto è vero che spesso a copertura di nuove spese viene indicata la “lotta all’evasione fiscale”.

Che in Paese dove si evadono allegramente 100 miliardi di tasse l’anno assume il sapore di una “barzelletta”. 

Non è facile uscirne, perché servirebbe un vero “salto culturale” della politica nel su complesso, che nessuno dei nostri Demostene mostra non solo di avere in animo di fare, ma di non sentirne neppure la necessità.

In estrema sintesi  l’unica soluzione non risiede né nei bonus per tutti e per tutto, e tanto meno nei Supebonus.

Occorre ridurre l’ambito di intervento dello Stato, il cui ruolo non è quello di fare l’imprenditore, foraggiando settori produttivi o merceologici,  o scegliendo le priorità degli investimenti privati agendo sulla leva fiscale o sui regolamenti. 

Oltre tutto ridurre i bonus a pioggia equivarrebbe ad abbassare la spesa pubblica, e ciò, oltre che un successivo taglio delle tasse, avrebbe anche l’ulteriore effetto positivo di sottrarre risorse alla classe politica e burocratica; in altre parole alle clientele ed alle lobby.

Non volendo accanirmi solo sugli ex Grillini, ora Contiani, non posso non rilevare che i famosi ottanta euro di Renzi hanno rappresentato una sorta di paradigma delle mance per scopi elettorali, poi copiato e portato al parossismo dai governi grillini, che si reggevano proprio su questo scambio tra mancette ai nullafacenti e consensi elettorali al Movimento Cinque Stelle. 

Ed un esempio eclatante di deriva clientelare provocata da un intervento dello Stato è rappresentato senza dubbio dal Reddito di cittadinanza, soprattutto in alcune aree del sud, dove il fenomeno della disoccupazione si è addirittura aggravato, senza provocare alcuno stimolo né alla formazione professionale né alla crescita di nuove imprese. 

E pensare che il post Covid gestito da una classe politica competente e lungimirante (alla De Gasperi per capirci) avrebbe potuto essere una sorta di “nuovo dopoguerra” per l’Italia.

Purtroppo per noi, invece di risvegliare l’economia, si è preferito anestetizzarla con la cultura dei sussidi, dei bonus e Superbonus, dei redditi di cittadinanza, dei soldi del Pnrr a debito.

Ma a nessuno dei Demostene interessa (o forse è ciò che vogliono)  che in questo modo si genera solo sudditanza economica e morale allo Stato e al “Potere”.

Concludendo, con la guerra in Ucraina, la crisi energetica , e l’arrivo dell’inflazione, la Bce ha dovuto  rialzare il livello dei tassi e smettere di acquistare titoli di Stato. 

In un simile contesto, che diventerà ulteriormente più complicato con l’attivazione del nuovo Patto di Stabilità europeo,  dovrebbe essere chiaro, anche agli occhi dei più ostinati, che il debito è diventato un problema.

E per capirlo basta fare il conto della serva; nel 2026 dovremmo spendere circa 100 miliardi per il servizio del debito, ovvero per remunerare chi ci ha prestato i soldi. 

Si tratta di una cifra che è superiore a quella destinata all’istruzione (circa 70 miliardi) e di un poco inferiore a quella per la sanità (circa 130 miliardi). Pertanto, le risorse che vengono utilizzate per pagare gli interessi sono sottratte ad altri usi, ovvero il finanziamento dei servizi pubblici come la scuola o i trasporti, con un danno che inevitabilmente si scarica sulle classi meno abbienti.

L’unico che al momento sembra essere consapevole della serietà della situazione è il Ministro dell’Economia Giorgetti, relativamente al quale si sussurra che sia stanco, sfiduciato, e che forse mediti di lasciare per dedicarsi ad altro.

Potrebbe rappresentare un‘ottima occasione per una riflessione collettiva di tutta la classe politica, ma siate certi che tutti gli “altri”, à droite come à gauche, continueranno imperterriti a sostenere la spesa…. a debito.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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