3 Novembre 2022 - 8.42

PILLOLA DI ECONOMIA – Come sarà il nuovo Patto di Stabilità europeo?

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La sua modifica era prevista già nel 2019, ma le difficoltà economiche innescate prima dalla pandemia, e poi dalla guerra in Ucraina, ha costretto l’Unione Europea a numerosi rinvii.

Di cosa parlo?

Ma del “Patto di stabilità”, quell’accordo internazionale siglato nel lontano 1997, finalizzato a vigilare sul deficit e sui debiti pubblici degli Stati membri dell’Unione.

Quante volte avete sentito parlare dei “parametri di Maastricht”?

In poche parole si tratta proprio di questo.

Adesso sembra proprio che i rinvii siano finiti, e fra qualche giorno, il 9 novembre, la Commissione Europea presenterà appunto il progetto di riforma del “Patto di stabilità e crescita”.

I dettagli ovviamente non sono noti, ma qualcosa è trapelato sui media, ed il quotidiano tedesco Handelsblatt ne ha addirittura pubblicato una presunta bozza.

Credo ricordiate quante discussioni si sono aperte nei decenni scorsi su questo accordo, in particolare fra i Paesi cosiddetti “frugali” (Germania, Olanda e Paesi del Nord Europa), e quelli definiti “spendaccioni” (Italia in testa).

Ma vediamo nel dettaglio quali sarebbero le novità del nuovo Patto, alla stesura del quale si sono applicati i Commissari Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni, sempre tenendo presente che al momento siamo ancora alle illazioni, ai “si dice”.

Il punto di partenza sarebbe la necessità di definire regole “coeve”, capaci cioè di rispondere alle esigenze di questa fase storica, e non più a quelle di vent’anni fa.

Il vecchio Patto di stabilità prevedeva che lo Stato che avesse rapporto debito/Pil superiore al 60% dovesse ridurre l’eccesso di un ventesimo ogni anno (tanto per dare un’idea per l’Italia si tratterebbe di tagliare la spesa di almeno 50 miliardi l’anno).

Finalmente si è capito che si tratterebbe di interventi ormai inattuabili per gran parte degli Stati membri, compresa la Francia. 

Quindi quel mitico 60% forse rimarrà ancora sulla carta, ma sarà introdotto una sorta di “nuovo parametro”: il 90% nel rapporto debito-Pil, che costituirà la nuova soglia oltre la quale il debito sarà considerato ad “alto rischio”.

Questo 90% del rapporto debito/Pil sarà una sorta di spartiacque, superato il quale la Ue dovrà accendere i fari e intervenire, prevedendo un iter di risparmi cogente. 

Certo che se a Roma qualcuno sperava che il Patto di stabilità europeo fosse un qualcosa di ormai superato, da consegnare alla storia, avrà un brutto risveglio.

Non dimenticate che con il suo rapporto debito/Pil intorno al 150% per cento l’Italia è, dopo la Grecia, la “pecora più nera” d’Europa, per cui è evidente che la trattativa che si aprirà il 9 novembre costituirà un passaggio cruciale per il futuro del nostro Paese.

E non si pensi che gli altri abbiano intenzione di farci sconti, perché nelle trattative preliminari per definire la proposta, i “frugali” del nord Europa per alzare la soglia al 90% hanno chiesto qualcosa in cambio: un “enforcement” sui criteri di vigilanza. 

Che in altre parole significa un rafforzamento delle misure sanzionatorie a carico dello Stato che non stia nelle regole. 

E queste misure consistono in estrema sintesi nel fatto che i Paesi con debito eccessivo dovranno concordare un piano di rientro quadriennale con la Commissione.

Il che vuol dire che fra un anno, dal primo gennaio 2024, quando cesserà la sospensione del  vecchio Patto di Stabilità, l’Italia dovrà presentarsi a Bruxelles e concordare con la Commissione come ridurre il debito nei successivi quattro anni. 

Non proprio una buona notizia per Giorgia Meloni , e per la Padania School of Economics che richiede aumenti di spesa a più non posso, perché è vero che questo patto quadriennale di rientro dal debito non sarà ufficialmente un Commissariamento, non segnerà l’arrivo a Roma della mitica Troika, ma certo la politica economica nazionale con le nuove regole avrà dei margini di autonomia molto limitata. 

E non è un caso che alcuni rappresentanti dei Paesi frugali abbiano detto ironicamente “E’ finita la pacchia”, sicuramente facendo riferimento ad un comizio in cui l’attuale premier aveva usato la stessa espressione con riferimento all’Europa (bisogna sempre stare attenti a quello che si dice, perché ti si può ritorcere contro!)

Spero vi sia chiaro che se la nuova versione del Patto alla fine verrà approvata, per l’Italia, e gli altri Paesi ad alto debito, ci sarà un esame da superare ogni anno, ogni volta che si presenterà la legge di Bilancio,  analogamente a come previsto per il Pnrr, con verifiche costanti e l’indicazione di un percorso di aggiustamento fiscale finalizzato a rendere sostenibile il debito.

E qualora la tabella di marcia concordata con la Commissione non dovesse essere rispettata, allora partirà immediatamente la procedura di infrazione, e se del caso l’intervento della vera Troika.

Va comunque specificato che ogni passo dovrà essere adottato dal Consiglio europeo, quindi dai leader dei 27, e non all’unanimità.

Vi è chiaro adesso perché Mario Draghi si sia strenuamente opposto nei mesi scorsi a qualsiasi “scostamento di bilancio”, richiesto a gran voce da Matteo Salvini?
Perché sapeva di questa trattativa, e voleva che il nostro Paese non si presentasse con le “pezze al culo” (grazie a lui la Meloni potrà esibire un rapporto deficit/Pil inferiore al 150%, ed una crescita economica tra le migliori dell’Eurozona).  

Per l’Italia dunque, se il progetto della Commissione diventerà realtà, ed il proposito è di approvarlo entro il 2023, si presenterà la necessità di negoziare quasi tutto. 

Considerando che anche sul Pnrr c’è un esame semestrale, dal 2024 il test sarà doppio (per la serie gli esami non finiscono mai).

E non pensiate che sarà una trattativa facile, e a dimostrarlo ci sono gli avvertimenti lanciati in questi giorni dai ministri delle Finanze di Germania e Paesi Bassi, Christian Lindner e Sigrid Kaag (per iscritto quest’ultimo), contro la tentazione di rendere le regole fiscali dell’Ue troppo blande per i paesi molto indebitati.

Ricordate che appena eletta premier Giorgia Meloni ha telefonato al Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, alla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, e al Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola?

Perché la nostra premier è politicamente avveduta, e sa bene che pensare di  fare i “sovranisti alla padana”,  di agire cioè senza avere buoni rapporti con Bruxelles, può diventare davvero pericoloso per l’Italia.

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