Meloni-Salvini. Da “una resa dei conti” all’altra
Se dovessi trovare un paragone fra i leader politici ed altri professionisti, indicherei senz’altro gli acrobati.
Se ci pensate bene è così, si devono muovere in equilibrio su un elemento instabile come può essere una corda, e per di più spesso senza avere la rete di salvataggio.
Intendiamoci, non è che debbano farci pena; il potere ha i suoi bei lati positivi, ed in ogni caso non gliel’ha mica ordinato il medico di fare politica.
Cerchiamo di capire quindi come è fatta la “corda” di questa fase politica, e per farlo tenete a mente questa parola: elezioni, perché da là tutto parte e lì tutto arriva.
Dunque, abbiamo visto gli scazzi fra Salvini e la Meloni relativamente al candidato Presidente della Sardegna.
Al grido “squadra che vince non si cambia” il Capitano vorrebbe confermare gli assetti attuali, vale a dire Sardegna e Umbria alla Lega, Piemonte e Basilicata a Forza Italia, e Abruzzo a Fratelli d’Italia.
Capite bene che questa ripartizione non possa andare bene ai Fratelli d’Italia, perché chiaramente sperequata rispetto al reale peso elettorale dei singoli Partiti.
Ma non fate l’errore di concentrarvi troppo sul No di Meloni alla riconferma di Solinas come Governatore della Sardegna, ed alle barricate di Salvini, perché rischiate di “guardare il dito anziché la luna”.
La Sardegna (per abitanti e soprattutto per Pil) è in realtà una Regione di media importanza rispetto ad altre, e sulla carta non vale certo una crisi dell’alleanza di centro destra.
No, la posta in gioco è ben altra; e per certi versi ha a che fare con la sopravvivenza politica del Capo della Lega.
E quale sarebbe questa posta?
Ve ne ho già parlato altre volte; le elezioni europee, che potrebbero segnare uno spartiacque nella politica italiana (e non solo italiana).
Ieri vi ho riferito della Conferenza stampa di fine anno della premier, e il detonatore delle tensioni sta proprio nel fatto che la Meloni non ha escluso una sua candidatura come Capolista in tutte 5 le circoscrizioni elettorali.
Detto per inciso, se qualcuno se lo fosse dimenticato, esiste una incompatibilità fra la carica di Parlamentare nazionale e Parlamentare europeo, e capite bene che le candidature dei leader nazionali sono delle vere e proprie prese in giro degli elettori, perché sono finalizzate solo ad accaparrarsi voti (tanto alla fine finiscono per dimettersi in favore del primo dei non eletti della loro lista).
Fatta questa doverosa precisazione, a mio avviso di carattere etico, è evidente che per Salvini la candidatura di Meloni sarebbe una sciagura.
Lui infatti avrebbe bisogno come l’aria di essere l’unico leader di centrodestra a guidare le liste per le europee, per cercare di racimolare qualche voto in più.
Salvini sa bene che le europee saranno comunque una debacle per la Lega, perché i raffronti saranno impietosamente fatti con le precedenti elezioni del 2019, quelle in cui il Capitano raggiunse uno strabiliante 34,3%.
Da qui la sua ansia di risultato, perché al di sotto della soglia psicologica del 10% (e badate che i sondaggi lo danno attualmente sotto questa percentuale) c’ è il rischio che la sua leadership possa anche traballare.
E’ chiaro che se la Meloni decidesse alla fine di scendere in campo lo farebbe perché punta alla mitica soglia del 30%, e qualora la raggiungesse, anche l’ipotetico 10% per Salvini sarebbe comunque un dato da incubo.
Se ci pensate bene si tratta di una partita interessante perché, se la premier si candiderà, lo farà ben sapendo che il risultato elettorale potrebbe creare dei seri problemi nella sua maggioranza, e si tratta quindi di una scelta difficile perché per lei l’ideale sarebbe vincere, ma non stravincere, cioè senza umiliare gli alleati (più facile a dirsi che a farsi).
A rendere il quadro ancora più ingarbugliato, in questa partita a scacchi si inserisce poi la questione del terzo mandato per i Presidenti di Regione (interessati Zaia, Bonaccini, Emiliano, De Luca), che vede la contrarietà, per ragioni diverse, sia di Meloni che di Schlein, ma che diventa vitale invece per Salvini.
Infatti nonostante Luca Zaia sdegnosamente dichiari di non pensare a correre per l’Europa, avendo ancora molto da fare a Venezia, qualora il terzo mandato continuasse a rimanere vietato per legge, potrebbe cambiare idea.
E pensate che, anche se capolista, Salvini potrebbe tranquillamente sfidare Zaia nel Nord est senza il timore di perdere? Uno Zaia che alle ultime regionali ha incassato il 76%, ed è di fatto l’unico leghista in grado di mantenere la guida del Veneto al Carroccio nel 2025?
Ma è l’intero Nord che potrebbe creare problemi al Capitano, non solo perché si vagheggia di defezioni di assessori veneti che non condividono la linea sovranista dal Capo, ma anche per i malumori che si segnalano nella galassia produttiva del Lombardo-Veneto, scontenta per la politica di Salvini, giudicata poco attenta alle esigenze delle imprese del Nord (non credo gli giovi l’ossessione per il Ponte di Messina!).
Probabilmente dopo aver valutato tutte queste “variabili”, proprio ieri Matteo Salvini ha dichiarato che non si candiderà alle europee, facendo anche un assist al generale Vannacci, che il Capitano ambirebbe avere ovunque come capolista della Lega.
Vedremo se questa indisponibilità sarà confermata, perché da qui a giugno la strada è ancora lunga, e di cose ne possono succedere tante.
E la “terza gamba” della maggioranza?
Forza Italia si trova a navigare in mare aperto, senza il nocchiero che l’ha fondata e guidata fino alla sua fine, quel Silvio Berlusconi che era la personalizzazione del Partito.
Antonio Tajani è sicuramente una brava persona, e forse ha anche imparato a muoversi nei palazzi romani, ma sa bene di non avere certamente il carisma del “Cavaliere”, ed ecco perché ha già suggerito a Meloni e Salvini di non candidarsi.
Perché se lo facessero sarebbe costretto a farlo anche lui, e correre per il Ministro degli Esteri sarebbe un vero e proprio terno al lotto, con il rischio concreto di fare un bagno.
Al riguardo io credo che, in questo primo anno, Forza Italia sia stata utile alla Meloni per non recidere tutti i rapporti della maggioranza con i Popolari europei.
Ma qualora, come penso, Meloni miri a entrare nel giro che conta a Bruxelles, magari votando il Nuovo Presidente della Commissione, Forza Italia sarebbe meno indispensabile, con tutto ciò che ne consegue.
E solo in questa prospettiva si capirebbe la volontà della Meloni di lanciare l’assalto al 30%, perché con quei numeri in Europa troverebbe sicuramente una buona interlocuzione (alla fine anche a Bruxelles a contare sono gli eletti).
Come vedete, come diceva il “grande timoniere” Mao Tse Tung, “grande è la confusione sotto il cielo”.
Tenete sempre presente che in politica quando si parla del futuro si parla sempre si scenari, che possono cambiare repentinamente.
Così potrebbe essere, ed io credo sarà così, che alla fine Meloni, Salvini e Tajani una soluzione la troveranno (forse confermando gli attuali Governatori, ma concedendo a FdI l’indicazione dei Presidente delle Regioni che andranno al voto nel 2025, ben più importanti), perché la premier non credo voglia incrinare la sua maggioranza, e Salvini non ha interesse a tirare troppo la corda.
Fra i due, il Capitano è sicuramente quello che ha meno vento in poppa, e si sa che Meloni ha sempre detto che, qualora lei dovesse cadere, l’unica opzione sarebbero le elezioni anticipate.
A lei forse converrebbero, a Salvini sicuramente no.
Ovviamente sempre che gli italiani continuino a votare a destra.
Umberto Baldo