Premierato: la sinistra grida al golpe
E’ noto che la cosiddetta dialettica democratica si regge sul principio di maggioranza- minoranza, in base al quale chi ha preso più voti dagli elettori governa, con l’opposizione impegnata a dare il proprio contributo al processo decisionale.
Ma ci sono due norme che a mio avviso dovrebbero sfuggire a detta logica, e sono la Carta Costituzionale e la legge elettorale.
Il perché è intuitivo; si tratta delle norme che, usando una metafora calcistica, delimitano il campo di gioco, e dettano le regole valide per entrambe le squadre.
Per questi motivi sarebbe opportuno che a scrivere sia la Costituzione che la legge elettorale contribuissero attivamente e concretamente tutte le forze politiche.
Purtroppo, con la polarizzazione sempre più accesa che si è affermata nel nostro Paese, anche queste norme sono spesso imposte con la logica dei numeri, lasciando strascichi polemici, e voglia di rivalsa quando cambiano i Governi.
Ieri ho cercato di illustrarvi, spero in modo comprensibile, la proposta di riforma costituzione di Giorgia Meloni e dell’attuale maggioranza, senza peraltro rinunciare a mettere in evidenza quelle che io ritengo siano le criticità, le carenze, e le illogicità della stessa (per me la maggiore criticità forse è la tempistica, nel senso che la prima vera riforma epocale in Italia dovrebbe interessare la Pubblica Amministrazione e la Burocrazia, vere palle al piede del Paese)
Oggi cerco di guardare la stessa proposta con gli occhi dei Partiti di opposizione, che, scrivevo ieri, a mio avviso dovrebbero “valutarla con pacatezza, e soprattutto con le categorie della ragione, e non con quelle dell’ideologia”.
Sarà così?
Basandosi sulle notizie che parlano già di costituzione dei cosiddetti “Comitati del NO” sembra una speranza vana.
Certo che se siamo ancora ai “Comitati del NO”, un vecchio residuo della politica italiana, ed in particolare della cultura specifica della sinistra ex e post comunista, c‘è poco da stare allegri.
Sia chiaro che non mi aspetto molto quanto a coerenza da Giuseppe Conte e dal suo Partito, dato che è riuscito a governare un po’ con tutti, ma il Pd, vista la sua storia e le componenti cattoliche-democratiche presenti al suo interno, dovrebbe avere la forza e la volontà di muoversi diversamente.
Invece ci tocca registrare che le prime reazioni della sinistra, e degli organi di informazione di quest’area, parlano di “golpe”, “minaccia antidemocratica”, “torsione autoritaria”, “rinnegamento della Costituzione”, “ritorno del regime” e simili amenità.
E se si parte denunciando il “rischio di un regime antidemocratico che rinnega la Costituzione” viene spontaneo porsi la domanda se “a gauche” ci sia la pur minima volontà di entrare nel merito delle questioni poste dalla proposta di riforma, o se, come sempre, finiranno per prevalere le posizioni massimaliste ed estremiste, che sono sicuramente sublimate anche dal fatto che a guidare il Pd ci sia attualmente Elly Schlein.
In altre parole la sinistra, ma avrete capito che io penso in realtà al Pd, ad Azione e ad Italia Viva, dovrebbe partire da questa domanda: in Italia c’è bisogno di un rinnovamento?
Se la risposta è “NO, va bene la Costituzione di Bella Ciao”, nulla quaestio, arrivederci e grazie.
Ma la risposta, di cui è consapevole anche la sinistra, è invece “SI”, altrimenti non si capirebbero le Commissioni bicamerali per la riforma della Costituzione messe in piedi in passato, di cui l’ultima fu presieduta da Massimo D’Alema.
Commissioni tutte fallite per carità, ma che hanno rimarcato la consapevolezza che una riscrittura, un adeguamento ai nuovi tempi, della Costituzione è ormai indispensabile ed indifferibile.
E se non fosse così non avrebbe avuto senso neppure il recente “ritocco” alla Carta Fondamentale con cui si è ridotto il numero dei parlamentari.
Certo quello fu un pastrocchio, un omaggio da parte del Pd all’anti-politica grillina, tanto che i Dem votarono a favore del taglio dei parlamentari dopo aver votato contro, con argomenti ineccepibili, per ben tre volte,
Fu una contraddizione clamorosa, maturata solo all’ultima votazione decisiva, con la speranza di ottenere da Conte e dai pentastellati la modifica della legge elettorale (mai fatta), ma soprattutto di consolidare il rapporto politico “a sinistra”, quello che viene definito “campo largo”.
Il rischio ora è di ripetere quell’errore, schiacciandosi nuovamente sui “contiani” e sulla loro linea di mera conservazione istituzionale.
Del marasma presente a sinistra Giorgia Meloni sembra essere consapevole, tanto che ieri la stampa riferiva che la Premier avrebbe già messo al lavoro da settimane un gruppo di selezionati consiglieri (che, a quanto si dice, non include solo esperti di diritto, ma anche i due sottosegretari alla Presidenza, alcuni fidati dirigenti di Fratelli d’Italia, professionisti della comunicazione, dei sondaggi, dei social) al fine di scrivere già il testo del quesito del Referendum costituzionale per l’introduzione del Premierato, da tenersi probabilmente nel 2025.
Per la Premier la strada sembrerebbe quindi già segnata!
Ecco perché sostengo che a sinistra serve un cambio di marcia!
Un cambio di approccio che tenga conto che in realtà il centrosinistra italiano non è sempre stato contrario a dare maggiori poteri al premier.
Anzi, il primo tentativo di riforma costituzionale della Seconda Repubblica è stata la bicamerale voluta nel 1997 da Massimo D’Alema dove le ipotesi in campo furono essenzialmente due: il semipresidenzialismo alla francese oppure un «premierato all’italiana». In sede di votazione prevalse, per pochissimi voti di scarto (36 a 31) il semipresidenzialismo, ma poi la bicamerale naufragò e non se ne fece nulla.
Si tratta cioè di riprendere a ragionare serenamente , abbandonando la spocchia della cosiddetta “superiorità morale”, secondo cui lo stesso tipo di riforma se proposta dalla sinistra ha per definizione il “bollino della democraticità”, mentre se proposta dalla destra è “sicuramente di stampo autoritario”.
Come pure sarebbero inutili scelte “aventiniane”, o continui richiami alla “Costituzione più bella del mondo”, con il rischio reale di trasformarla così in un feticcio irriformabile ed inamovibile, e di relegare il Pd in una posizione subalterna.
Quando poi ho letto di esponenti di sinistra che gridano addirittura al “golpe”, mi è venuto da ridere, perché se il processo di riforma dovesse chiudersi con il Referendum, assisteremmo così al primo tentativo di colpo di Stato votato dai cittadini (sic!).
Come ho scritto ieri, io penso che il “Melonum” (in Italia tutte le riforme prima o poi vengono definite con un nome latino), al di là della retorica della Premier che l’ha presentata come “la madre di tutte e riforme”, mostri evidenti forzature e contraddizioni che potrebbero essere corrette con un po’ di buonsenso, e soprattutto di “senso dello Stato” da parte di tutte le componenti politiche.
Ecco perché sarebbe necessario superare la logica del “muro contro muro”, per arrivare ad un confronto pacato di idee e di proposte.
E così come Elly Schlein dovrebbe abbandonare ogni arroccamento ideologico, così Giorgia Meloni dovrebbe mostrarsi disponibile a qualche accordo, compromesso, mediazione.
Perché andando contro la figura del Presidente della Repubblica (ed il premierato sicuramente va in tal senso) la Premier rischia di perdere la partita.
E la cartina di tornasole Giorgia Meloni dovrebbe vederla non solo nelle voci di perplessità e dissenso sulla sua proposta levatesi da alcuni intellettuali della destra, ma anche dall’atteggiamento di uno che quel “sentiero stretto” lo ha già percorso facendosi del male; Matteo Renzi.
Dopo un iniziale assenso nel nome del “Sindaco d’Italia”, Renzi si è reso conto che il Melonum è abbastanza diverso dal suo modello, che prevedeva che in caso di sfiducia del Parlamento si dovesse tornare obbligatoriamente alle urne (come si fa con i Sindaci).
E’ chiaro che Renzi nell’iter parlamentare della legge cercherà di differenziarsi da una sinistra che non avendo una sua proposta si limiterà a fare le barricate, ma è altrettanto chiaro che se la Meloni dovesse irrigidirsi nel suo scontro di fatto con Mattarella, come pensate possa schierarsi?
Contro quel Presidente della Repubblica da lui voluto, e a favore di quella Premier di cui è all’opposizione?
Non credo proprio!
Umberto Baldo
PS: credo non vada trascurato, per una valutazione complessiva delle problematiche di questa fase, che Giorgia Meloni per portare a casa la “sua” riforma dovrà accollarsene altre due di cui farebbe volentieri a meno. La prima è l’Autonomia regionale differenziata, che secondo Salvini deve andare avanti simultaneamente alla riforma costituzionale. La seconda è la legge elettorale, e sarebbe la quarta in dieci anni, dopo il Consultellum, l’Italicum e il Rosatellum. Il risultato sarà che, alla fine, gli elettori con il referendum finiranno inevitabilmente per giudicare “tutto il pacchetto”, cioè il Premierato, l’Autonomia differenziata (al sud la chiamano la secessione dei ricchi), ed il premio elettorale del 55%. Fossi in lei non sarei proprio sicuro di un risultato positivo.