10 Febbraio 2023 - 9.46

Maschio o femmina?  Lo decido io! Il caso Finlandia e il caos nello sport

di Umberto Baldo

Qualche giorno fa la Finlandia ha approvato una legge che consente il cambio di sesso all’anagrafe sulla base, di fatto, di una semplice autodichiarazione: basterà «riflettere» per 30 giorni e poi fare una richiesta scritta. 

Dunque, non serviranno più né l’iter psicologico né tanto meno l’intervento chirurgico necessari fin qui. La cosiddetta “legge trans” della Finlandia, proposta direttamente dal governo socialdemocratico guidata da Sanna Marin, ha ottenuto 113 voti a favore e 69 contrari.

Non è l’unico caso al mondo; leggi che prevedono la possibilità di riconoscersi come uomo o donna sulla base esclusiva della percezione che si ha di sé, quindi indipendentemente da autorizzazioni giudiziarie o referti medici, sono presenti negli ordinamenti giuridici di Spagna, Danimarca, Irlanda, Belgio, Portogallo, Norvegia e Svizzera, ed in Scozia non è stata approvata solo per l’opposizione del Governo di Londra.

Cosa dire!

Confesso che l’autodeterminazione del sesso mi suscita qualche perplessità.

Non vorrei sembrare retrivo, stantio, “matusa” come definivamo i nostri genitori negli anni intorno al ’68, ma cosa posso farci?

Io vengo da un’epoca in cui, non essendoci ancora l’ecografia, mamma e papà venivano a sapere solo dalla bocca dell’ostetrica se era appena nata una bambina od un bambino.

E così è sempre stato fin dagli albori dell’umanità, da quando gli umani calpestano il suolo di questo nostro pianeta, tanto che  nel Libro della Genesi si legge “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”.

E quanto il sesso del neonato fosse importante, almeno nelle famiglie reali ai fini successori, lo testimonia la vicenda di Costanza di Altavilla, che scoprendosi incinta  alla soglia dei quarant’anni, in un’epoca (siamo a metà del 1100) in cui le donne erano più prossime alla morte che al parto, per tacitare le voci di una falsa gravidanza e di un eventuale parto simulato,  trovandosi di passaggio a Jesi fece allestire una tenda sulla pubblica piazza e partorì “coram populo”, dando alla luce quello che diventerà l’imperatore Federico II di Svevia, lo “stupor mundi”.

Certo la mia mamma, e nel corso dei secoli quasi tutte le mamme non furono costrette a partorire davanti ad un pubblico come Costanza, e il metodo per determinare dopo il parto  se il neonato fosse maschio o femmina era uno solo, sempre quello, e immagino non occorra che ve lo illustri.

Come vi dicevo, sarò pure legato a vecchi schemi, a culture ormai stantie e superate, ma faccio oggettivamente fatica ad accettare che una persona di punto in bianco possa dire, se nato donna “da oggi sono un uomo”, e se nato uomo “da oggi sono donna”.

E parimenti che lo Stato sia obbligato a registrare questo cambio di sesso così, senza alcun problema.

Si potrebbe scrivere a lungo sulle conseguenze pratiche di una tale legislazione; dall’uso promiscuo dei servizi igienici (con signore costrette ad accettare che nei bagni loro riservati “qualcuna” possa fare la pipi in piedi), alle stanze degli ospedali, o alle docce di una palestra, e questo solo per citare qualche situazione che può anche scadere nel grottesco.

Ma al di là di queste contingenze che una volta erano oggetto di barzellette, io credo che, in questa materia, l’ambito in cui sia necessario fissare dei paletti ben precisi sia soprattutto quello sportivo. 

Fino ad ora  relativamente agli atleti transgender ci si era basati sul testosterone, tanto che dal 2015 a Pechino 2022, la norme richiedevano che le atlete  transgender coinvolte, per poter partecipare a competizioni riservate al genere femminile, dovessero dimostrare un livello di testosterone inferiore al limite prestabilito nei 12 mesi precedenti alla gara.

Ma in sede di Comitato Olimpico Internazionale la discussione è ormai aperta da tempo, e probabilmente sulla scia delle tendenze del momento, ispirate all’inclusione e alla non-discriminazione, sembra che l’indicazione del testosterone non sia più considerata del tutto accettabile, e “pilatescamente”  i regolatori dello sport mondiale hanno  ammesso che è impossibile, anche dal punto di vista legale, stilare un solo testo che regolamenti qualsiasi disciplina, perché ogni sport si basa su presupposti differenti, e quindi ogni caso va trattato in maniera diversa.

Mi rendo conto che se parliamo di scacchi il sesso non conta nulla, ma se ci spostiamo su qualsiasi disciplina sportiva, la massa muscolare e la struttura fisica contano eccome, e fanno la differenza.

Chi ha i capelli grigi come me ricorda bene il ventennio 1970-90, nel quale le atlete tedesche della DDR furono le grandi protagoniste di ogni disciplina sportiva, tanto da vincere 409 medaglie olimpiche in 5 Olimpiadi. 

Si scoprì dopo che erano imbottite di sostanze dopanti, compresi gli steroidi che le rendevano simili agli uomini.

Capite bene che si tratta di un vero e proprio “campo minato”, ma il precedente della Germania comunista, che utilizzava lo sport come strumento di propaganda politica, dovrebbe far riflettere.

Ed è inutile girarci attorno, al pari delle testosteroniche atlete del blocco comunista che dopavano le proprie prestazioni, anche adesso, uomini che si autoidentificano come donne pretendono di gareggiare con atlete biologicamente di sesso femminile (i nomi più eclatanti li trovate in Rete).

Ci sono già stati numerosi casi di proteste di atlete donne che non volevano gareggiare con transgender, e quindi bisogna evitare che le medaglie olimpiche diventino ora meri strumento di propaganda del movimento Lgbt.

Di fronte a questi problemi i componenti del CIO, come sopra accennato,  sicuramente temendo di venire considerati  dei “discriminatori”, hanno deciso di non decidere, nascondendosi dietro un documento strutturato in  10 principi, che di fatto delega, sarebbe meglio dire “scarica”, sulle varie Associazioni internazionali il compito di determinare le linee guida del futuro sul tema.

Roba da “Oscar delle facce di bronzo”.

Io che ho meno timore di essere accusato di essere contro il mondo Lgbt, credo ci siano cose insuperabili.

E cioè che se nell’ambito della stessa disciplina sportiva  ci sono distinzioni fra settore maschile e femminile, è perché maschio e femmina sono fisicamente diversi.

Se all’interno dello stesso sport ci sono squadre maschili e femminili che competono solo con squadre del medesimo sesso, è per la stessa ragione.

Il sesso non è un dettaglio nel corpo umano, non è presente e riscontrabile solo negli organi genitali, e tanto meno può essere un sentimento personale. E’ una caratteristica fondamentale ed ineliminabile che determina e condiziona molto della nostra fisicità.

In definitiva io penso che qui non si tratti di disconoscere la dignità umana cui tutte le persone hanno diritto, qualunque sia la loro condizione, bensì solo di ammettere che maschi e femmine sono biologicamente e fisicamente diversi.

E di conseguenza che fare gareggiare insieme atleti che “di fatto” sono di sesso diverso vuol dire semplicemente falsare lo sport, ammettendo competizioni impari. 

Non so quale possa essere una soluzione che accontenti tutti, (e non trascurerei anche il fatto che ad esempio il mondo musulmano non sembra ancora molto aperto al gender e al mondo Lgbt), ma sicuramente negare l’evidenza, chiudendo gli occhi, come sembra stiano facendo il CIO o certe Federazioni, non è quella ottimale per il movimento sportivo.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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