22 Maggio 2023 - 10.12

Le cose fastidiose della vita/2: dagli abbonati al Pronto Soccorso a chi ti tocca mentre parla

Le cose che danno fastidio parte seconda

di Alessandro Cammarano

Qualche settimana fa abbiamo indugiato sulle piccole – in alcuni casi grandi – cose capaci di mettere chiunque immediatamente di cattivo umore.

L’argomento, ovviamente, non poteva considerarsi esaurito perché i comportamenti molesti sono più diffusi della gramigna e crescono più velocemente del bambù.

Doveroso dunque riprendere – a mo’ di servizio sociale-pubblicità progresso – l’argomento analizzando una serie di altre situazioni, alcune delle quali potrebbero giustificare gesti estremi da parte di chi le subisce.

Si potrebbe cominciare da qualche “vezzo” lessicale, come ad esempio l’orrido e abusatissimo “in primis”, che oramai anche la signora Cesira Brusaporco da Pojana di Granfion usa con la disinvoltura di un’Accademica della Crusca, piazzandolo in contesti del tutto inappropriati, come ad esempio dal fruttivendolo, al quale Cesira si rivolge con un elegante “Me daga in primis meso chilo de tegoine che oviamente in primis e ga da esere freschisime”; la professoressa di latino casualmente presente alla scena ha un subitaneo mancamento e deve essere soccorsa dalla fruttarola, che “in primis” ha a cuore la salute di suoi clienti.

Venendo alle indecenze stradali non si può non ritornare sulle strisce pedonali, questa volta per stigmatizzare tutti quelli che, indipendentemente da età e sesso attraversano con gli occhi fissi sullo smartphone incuranti delle automobili che si devono ingegnare per non stirarli come un merlo ubriaco.

Guai a dare un colpetto di clacson per richiamarli alla realtà! Si rischia di scatenare lo Hulk che si annida nell’intimo di ogni attraversatore con conseguenze inimmaginabili per il povero strombettatore a fin di bene.

La variante peggiore è quella che decide di cambiare marciapiede, sfidando una tangenziale a sei corsie, a tre metri dal passaggio pedonale – troppo lontano da raggiungere, evidentemente – rischiando di diventare la causa di un tamponamento a catena da trecento automobili, due furgoni e un trattore con rimorchio.

E che dire dei fastidiosi da bar? Immancabile il beota che entrando esordisce con un agghiacciante “Mi faccia un buon caffè!”. C’è da meravigliarsi di come il/la barista non risponda subito con un tagliente e sarcastico “Guardi, mi dispiace, ma qui facciamo solo caffè di merda. Se le va bene lo stesso …”.

La scassaombrelli da salumiere invece comanda imperiosa “Tre etti di crudo. Sottile, mi raccomando, che sennò mio marito non me lo magia”. Da plotone d’esecuzione dopo sommario processo.

Anche il panificio non si può salvare dal mefitico fastidioso, che con un povero frugolo per mano domanda un trancio di pizza sentendosi in obbligo di specificare “È per il bambino”. “Ecchissenefrega – pensa il fornaio – per me la potrebbe dare pure al cane”.

Ecco! I cani! Tremendi quelli minuscoli che se ti risparmiano da un morso a tradimento tentano di fare sesso con la tua caviglia, ovviamente sempre abbaiando come ossessi. Il proprietario naturalmente ti guarda bonario dicendo “È cosi carino il mio Lucy, un giocherellone”; ovviamente Lucy non è altro che il diminutivo di Lucifero. C’erano dubbi?

Che dire degli “odiatori da supermercato”? Ovvero quelli che, immediatamente dietro di te nella fila alla cassa, ti perfora con sguardo da Pazuzu in attesa di poterti cogliere in fallo mentre infili nel sacchetto la merce acquistata per apostrofarti con un osceno “guardi che c’è gente che ha fretta, sa?”. Il rimpianto di non avere una mazza ferrata a portata di mano è grandissimo.

Ho tenuto per ultimo il peggiore, quello che se lo picchi il giudice ti assolve, ovvero quello che mentre ti parla non riesce a non toccarti.

Per questo soggetto il concetto di “spazio individuale” è totalmente sconosciuto, lontano come da noi alla galassia di Andromeda.

Lo si individua subito, perché quando attacca uno dei suoi bottoni – la logorrea è l’altra caratteristica del tocchiccione – si avvicina man mano che procede nel discorso, fino a che non ha la sua vittima letteralmente a portata di mano.

Comincia col ditino puntato a sfiorare la spalla per lanciarsi subito dopo alla presa del braccio del meschino che attonito lo ascolta per arrivare al climax afferrandoti per le spalle.

C’è anche la versione viscida, che carezza l’interlocutore o che gli prende la mano: nausea profondissima.

I peggiori, un secondo prima che ci si riesca a liberare dalle loro spire, fanno anche il “ganascino” ovvero il pizzicotto della guancia, tra indice e medio, del malcapitato di turno. Qui il cazzotto sarebbe più che giustificato.

Infami, anche a livello di puro senso civico i falsoallarmisti da pronto soccorso. Questi mentecatti si sbucciano un dito pelando le patate e sembra che si siano semiamputati la mano. Segue corsa all’ospedale dove permangono per una mezza giornata uscendo però fierissimi del cerotto applicato dal medico – che lo avrebbe volentieri sfigurato con un bisturi – con la raccomandazione di non farsi mai più vedere.
Anche qui c’è una variante, quella pediatrica: il bimbo si è ingozzato di cibo spazzatura generosamente largito da una zia rincoglionita, ma “siccome è gravemente intollerante” – dice, mentendo, la madre – siamo venuti di corsa. Altre sei ore di intasamento di struttura pubblica e conclusione col bimbo che si vomita l’anima addosso ad un poveretto che sta invece male davvero.

Per oggi mi fermo qui, ma una terza puntata non ci starebbe male.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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