31 Marzo 2022 - 9.37

Donne senza gonne… una normalità recentissima

di Umberto Baldo

Come ho già scritto altre volte io sono mattiniero, e sono solito passeggiare quando il sole non è ancora sorto nei mesi invernali, e nella buona stagione quando albeggia.
Non è che a quell’ora ci sia poi tanto affollamento per la strada, comunque gente che va al lavoro o a scuola ce n’è.
Camminando si riflette, e una di queste mattine, quasi per caso, ho cominciato a contare le signore che incrociavo, per vedere quante indossavano i pantaloni e quante la gonna.
Posso dire che il risultato della mia indagine, condotta fra le sette e le otto, ha registrato che su 47 signore e signorine, solo 2 portavano la gonna, e fra l’altro mi sono sembrate le meno giovani.
Mi sono chiesto: un caso, o ormai la gonna è un capo sempre più desueto per l’altra metà del cielo?
Certo siamo agli inizi della primavera, e le temperature non invogliano ancora a scoprirsi, ma la tendenza a privilegiare i pantaloni mi sembra oramai abbastanza chiara.
Credo si tratti di una scelta dettata dalla praticità del pantalone rispetto alla “còtola” come viene definita la gonna in dialetto veneto, e non più quindi come una forma di emancipazione femminile.
Eppure ancora nel 1961 il cardinale Siri, Arcivescovo di Genova, si era scagliato contro “l’uso femminile del vestito degli uomini” che secondo Sua Eminenza “cambiava la psicologia”, affondando verso il basso, ossia verso la lussuria, i rapporti tra uomo e donna. E pensare che all’epoca i pantaloni non erano certo attillati; non oso immaginare cosa avrebbe detto Siri dei leggings, che obiettivamente lasciano ben poco all’immaginazione.
E che le cose fossero così lo testimonia il noto libro del 1989 di Lara Cardella, che narra la tormentata adolescenza di una giovane siciliana che tentava di emanciparsi in un ambiente chiuso ed oppressivo, titolato emblematicamente “Volevo i pantaloni”.
La verità è che in Italia fino agli anni ‘70 del secolo scorso la riprovazione verso le ragazze o le donne che portavano il “capo peccaminoso” era diffusa in tutto il territorio, e per fare un solo esempio, difficilmente in quegli anni una donna sarebbe andata alla Messa in pantaloni.
E tanto per essere chiaro, ricordo che verso la metà degli anni ‘60 una ad mia amica venne impedito di accedere alla Basilica di San Marco a Venezia con la motivazione: “con le braghe non se va dentro”.
L’intolleranza verso quest’uso risale alla notte dei tempi, tanto è vero che un versetto del Deuteronomio, il quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, al capitolo 22 recita: “La donna non porti indosso abito d’uomo, l’uomo altresì non vesta roba da donna, perciocché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore Iddio tuo”.
Non va dimenticato che fra i motivi che portarono alla condanna al rogo di Giovanna d’Arco, e siamo in pieno medio evo, ci fu proprio la sua scelta di indossare brache ed abiti maschili, oltre che portare i capelli tagliati all’altezza delle orecchie.
In fondo si è trattato per secoli di un fatto culturale, così come l’azzurro era il colore dei maschietti ed il rosa delle femminucce, e le macchinine il giocattolo per i bambini, e le bambole per le bambine.
Non meraviglia quindi se, come accennato, fino agli ‘70 una donna italiana era guardata con riprovazione, se non addirittura considerata immorale, quando indossava i pantaloni.
E ancora nei primi decenni del ‘900 le donne non portarono i pantaloni, perché «una donna che porta i pantaloni è una donna che si porta male», perché «una donna onesta ha le ginocchia sporche».
Furono i primi movimenti per l’emancipazione della donna a sollevare il problema della scomodità dei costumi tradizionali femminili in certe occasioni, ma solo con le guerre mondiali e la conseguente rivoluzione del ruolo delle donne, che assunsero giocoforza ruoli maschili nelle fabbriche e negli uffici, e addirittura in prima linea, che si inizio ad accettare l’idea di pantaloni femminili.
Alla fine degli anni sessanta, ci pensarono grandi stilisti come André Courrèges e Yves Saint Laurent a “sdoganare” i pantaloni, ed a presentarli come capo alla moda, dando così inizio all’era dei jeans chic e del tailleur-pantaloni.
Da allora la strada è stata tutta in discesa anche nella intollerante Italia, fino ai giorni nostri, in cui tocchiamo con mano che sono le gonne ad essere diventate, come dire, un capo “poco usato”.
Eppure non è ancora così per tutte le donne, ed in Sudan ad esempio la legge che vieta l’uso di capi d’abbigliamento “indecenti” è interpretata dalle autorità sudanesi come un divieto dell’uso dei pantaloni, e di conseguenza una donna che osi indossarli è punita con quaranta colpi di frusta.
Pur non avendo nulla contro l’uso dei pantaloni da parte delle donne, io un po’ di nostalgia per il fascino delle gonne confesso che la provo.
E’ difficile dire il perchè, forse può essere dovuto anche all’età, ma per me la gonna è l’indumento che forse più di ogni altro contraddistingue l’universo femminile, rendendolo unico, magico, sexy e sensuale.
Non c’è dubbio che una delle parti più sensuali del corpo femminile siano proprio le gambe; e forse per questo mi piace un capo di abbigliamento che ne lasci scoperta una parte.
E per quanto possa sembrare contraddittorio, non amo le minigonne troppo corte, e preferisco modelli che arrivano sotto il ginocchio, o poco sopra, rendendo chic e raffinato l’intero look.
Credo che a questo punto non si debba che prendere atto di una tendenza ormai inarrestabile, confermata anche dal calo verticale nelle vendite di gonne riscontrato negli ultimi anni.
Un trend che vuol dire soltanto una cosa: che le abitudini delle donne italiane sono ormai cambiate (per sempre non ci giurerei, visto che la moda ci ha abituato a “corsi e ricorsi”).
Quindi niente più gambe in mostra, abbinate magari a calze velate ed a scarpe con il tacco alto, ma jeans o pantaloni alla moda reputati forse più pratici, più adatti per lavorare, e muoversi in libertà, o semplicemente perchè tengono più caldo nei mesi freddi.
Alla fin fine penso che quello che conta è che ogni donna, ogni ragazza, indossi quello che le piace di più, e che la faccia sentire meglio con se stessa.
Quello che pensano gli uomini, o parte degli uomini, vale poco o nulla.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA