10 Luglio 2020 - 9.51

PASSAGGIO A NORD – Un viaggio fantastico nelle leggende di Cesuna

di Anna Roscini

Fate, orchi, elfi, streghe, gnomi e folletti: in qualche modo tutte le creature soprannaturali sono legate ad ambienti naturali ricchi di fascino e mistero. Alcune vivono in luoghi magici come i boschi e le foreste, magari tra i rami degli alberi, tra le corolle dei fiori o sotto il cappello dei funghi; altre nelle grotte o nei corsi d’acqua. Secondo il folklore popolare, molte di queste creature leggendarie sono dispettose e burlone, altre talmente belle da ammaliare e indurre in tentazione gli uomini più sprovveduti. Non mancano però gli esseri buoni e generosi che utilizzano i loro poteri magici per aiutare chi è in difficoltà. Il patrimonio storico-culturale di ogni luogo passa anche attraverso le sue leggende: proprio a Cesuna, frazione del comune di Roana, esiste un parco dove la natura si fonde con la magia per portarci alla scoperta di un mondo affascinante e misterioso popolato da creature straordinarie.

Il parco delle leggende di Cesuna
Raggiungere il parco delle leggende di Cesuna è molto semplice: si può arrivare a piedi dal centro con una breve passeggiata da via delle Mite, oppure proseguire in auto lungo via Brunialti e parcheggiare nel piazzale delle scuole medie, poco distante dall’ingresso del parco. Sia da un lato, che dall’altro, troverete ad accogliervi alcune delle bellissime sculture in legno che rappresentano i personaggi incantati di alcune delle più note leggende dell’Altopiano dei Sette Comuni raccontate da Paola Martello. Si comincia con la Zizzara, una signora arrivata a Cesuna in una giornata fredda e ventosa a bordo di una carrozza nera trascinata da sette cavalli bianchi. Incuriositi, i cesunesi cominciarono a spiarla: qualcuno diceva di averla vista raccogliere di notte strane erbe nel giardino della casa disabitata che era andata ad abitare, altri parlare con i suoi sette gatti o con il marito emigrato a Vienna attraverso un piatto pieno d’acqua. Tutti la credevano una strega, ma in verità, la Zizzara offriva sempre caramelle e mele ai bambini del paese e, negli anni in cui rimase a Cesuna, tutto andò bene: i campi furono incredibilmente fecondi, l’acqua sempre fresca ed abbondante, gli animali pascolavano sereni e il latte era buono. Un giorno però a Cesuna arrivò una grande bufera di neve e ghiaccio e da allora nessuno vide più la Zizzara: si dice però che abbia finalmente raggiunto l’amato marito a Vienna.
La seconda leggenda ci porta sul Monte Lèmerle al cospetto di un sanguinello, un folletto rosso molto dispettoso che amava fare scherzi a persone e animali: se una persona era così sfortunata da calpestare le sue impronte, si trovava obbligata a seguirle, perdendosi. Tanto tempo fa, un boscaiolo ebbe la sfortuna di camminare proprio sulle sue orme: le gambe del malcapitato non rispondevano più ai suoi comandi e si trovò, solo e confuso, ad attraversare luoghi misteriosi finché non decise di chiudere gli occhi per cercare di non impazzire. Dopo un po’ di tempo, venne soccorso dal suo amico e poté riprendere la strada di casa, sotto gli occhi del folletto che, nascosto tra i rami d’abete, sghignazzava soddisfatto del trambusto creato.
Le seleghen baiblen, generose fatine vestite di bianco, sono protagoniste della leggenda ambientata in Val d’Assa. Abitavano proprio qui, in caverne naturali, e con gli animali avevano un rapporto di amicizia e rispetto. Queste piccole fate erano solite passare la giornata dipanando lana: ne facevano poi dei gomitoli magici che, talvolta, regalavano agli uomini più meritevoli. Così un giorno ne regalarono una matassa ad una giovane donna che aveva chiesto loro un vestito per l’investitura del marito che si apprestava a diventare governatore del paese. Il prezioso dono avvenne però ad una condizione: la donna avrebbe dovuto lavorare il filo finché questo non sarebbe finito. In poco tempo la giovane confezionò un vestito degno di un re: proprio durante la cerimonia però la donna, stanca di dovere stare a casa a tessere la lana, scagliò per terra il gomitolo che sparì così come l’abito del marito a chilometri di distanza. Ad essere poco pazienti e molto ambiziosi, si corre infatti il rischio di ritrovarsi in…mutande.
Con il nano Anselmo andiamo invece nella Val Magnaboschi, al bivio delle Cinque Strade, vicino al rifugio Boscon. Secondo la storia, nelle notti di luna piena, le streghe si riunivano periodicamente in questo luogo, utilizzando i ceppi degli alberi come sedili. Una sera, Anselmo si trovò involontariamente a partecipare a una delle riunioni. Per non essere visto, il nano astuto decise di fingersi una ceppaia. Il trucco riuscì alla perfezione, tanto che una strega decise di sedersi proprio sul nano e di posare gli spilloni, che tenevano a bada la sua chioma, sulle cosce e sulla schiena del povero Anselmo. Solo dopo molto tempo, il nano troverà il modo di liberarsi dal dolore inferto dalle punture.
E ancora, andiamo a conoscere Giacominarloch, la voragine vicino a Cesuna, in ricordo della bella storia d’amore di Giacomina e del coraggioso boscaiolo Joel che la salvò dalla maledizione degli elfi, scendendo nei meandri del sottosuolo. In seguito a un grave torto infatti, i folletti che popolavano i boschi, avevano rapito la giovane e l’avevano condannata a diventare un’anguana, destinata ad ammaliare gli uomini con il suo canto e a farli prigionieri delle acque. Prima che la maledizione si compia, i due giovani riusciranno però a fuggire insieme per ritrovarsi…nel futuro. Se nel sottosuolo il tempo sembrava scorrere lentamente, nella terra infatti erano passati ben cento anni.
In una caverna sulla Laita in Val Magnaboschi, abitava invece il Billar-Man, un omone grande e grosso. In realtà era molto timido e se tutti scappavano alla sua vista per paura, anche lui faceva lo stesso di fronte agli abitanti del paese. Un giorno però incontrò in una radura una bella ragazza e decise di rapirla per colmare la sua solitudine. La portò nella sua caverna e chiuse l’entrata con un grosso macigno. Passarono gli anni e nacquero due bambini, Gea e Peter, a cui l’uomo era molto affezionato. Un giorno la donna chiese ai figli di fare molto rumore così da attirare l’attenzione di alcuni cacciatori che, spostando il masso, finalmente li salvarono dalla prigionia e li riportarono in paese. Il Billar-Man, arrabbiato, tentò di andare a riprenderli, ma trovò tutti gli uomini pronti ad affrontarlo. La folla minacciosa lo scortò fuori dal paese e lo lasciò solo quando giunse sulla strada per Calvene. Gli abitanti gli lasciarono in ricordo solo le due metà dei pupazzi di legno che aveva fatto ai suoi figli, legati da una cordicella come fossero i pendagli di una collana. Se la mise al collo, versò una lacrima e diede un ultimo sguardo all’Altopiano, prima di avviarsi verso la pianura.

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