24 Giugno 2019 - 13.19

Cani, cagnetti e cagnettini a volte amati più dei bambini

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di Alessandro Cammarano

A passeggiare per il centro di Vicenza – ma non solo – si ha l’impressione che i cani superino di gran lunga il numero degli abitanti. L’animale da compagnia è da tempo immemore parte essenziale della vita dell’uomo: è educativo per i bambini, crea senso di responsabilità, concede affetto illimitato in cambio di pochissimo, non controbatte mai – eccezion fatta per il gatto, che proviene da una dimensione altra – ci segue docile e chiede l’unico impegno irrinunciabile di due “uscite bisognini” al giorno se maschio, tre se femmina.

Tutto bene, il cane è bellissimo, è parte della famiglia e lo è alla pari; o almeno dovrebbe esserlo, perché in breve volgere di anni il delizioso e slinguazzante compagno di tanti, e soprattutto di tante, è diventato il figlio viziato, quello al quale tutto è permesso, troppo carino per essere ripreso o, peggio ancora punito.

Basta uscire per una “vasca” in Corso Palladio e subito ci si para davanti la variopinta fauna dei cani e dei loro padroni, gli uni incredibilmente simili agli altri, in una sorta di osmosi che nei casi estremi porta a riservare un educato “buongiono signora” al volpino che passeggia altezzoso al guinzaglio di una donna più volpina del cane.

I peggiori sono i cani di piccola e piccolissima taglia, quelli, per intenderci, esteticamente più vicini al porcellino d’india o alla pantegana, privi però della simpatia un po’ sconclusionata del primo e dell’astuzia spietata della seconda.

La padrona del chihuahua – che viste le sue origini messicane viene chiamato Pepe o Pedro – ignorando che sarebbe più adatto un nome azteco – viene spesso avvistata seduta al bar in compagnia del sorcetto col quale condivide teneramente la schiuma del cappuccino in inverno e la panna del gelato d’estate. Nei casi più estremi, e non così infrequenti, il gelato viene passato bocca a bocca, in una sorta di assai poco igienico bacio, il tutto in una manifestazione di affettività distorta e surrogata, visto che magari sono anni che le sue labbra non sfiorano quelle di un compagno o la guancia di un figlio; brutto e tristissimo, visto poi che al povero cane del bacio non importa nulla.

Un capitolo a parte è costituito dal pinscher, cane nano da sempre convinto di essere un dobermann e quindi obbligato ad agire di conseguenza: abbaiare acuto e persistente, ringhio facile, morso se capita, difeso a spada tratta dal padrone in ciascuno dei suoi bellicosi atteggiamenti. “Non si preoccupi, è che si spaventa facilmente”, dice il proprietario mentre ti allunga un fazzoletto per tamponare il sangue che esce dal dito che Briciola ha scambiato per un bastoncino puliscidenti.

La palma del fastidioso va al Jack Russel, cane che le siorette scelgono per i loro figlioli piccoli: il quadrupede petulante attende con ansia, saltando nel SUV fuori misura della mamma, l’uscita del padroncino da una di quelle scuole private col doppio nome che se non vai lì non sei nessuno. Il botolo abbaia ad un’altezza di suono degna di un banshee, quegli spiriti malvagi che fanno impazzire con le loro urla, se vate presente.

Ce ne sono anche di simpatici, intendiamoci: gli shitzu sono cagnolini adorabili, a patto che la padroncina ci faccia a metà con il leccalecca, così come i bassotti possono riservare momenti di grande divertimento, sempre che la vetusta proprietaria ne raccolga le fetide deiezioni prima che tu ci metta un piede sopra.

Un solo cane ci piace veramente: il meticcio, in tutte le sue declinazioni. Intelligente, non sempre bellissimo ma grato di essere al mondo e di poter volere bene al pensionato o alla zitella meno abbiente, lontano da prelibatezze in gelatina o da crocchette vegane, ma vicino all’osso della costina di maiale alla brace.

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