16 Marzo 2023 - 8.36

PILLOLA DI ECONOMIA – Lo “tsunami” Credit Suisse in parole semplici

Avevate forse tirato un sospiro di sollievo vedendo i corsi delle Borse di martedì, visto che avevano recuperato parte delle perdite conseguenti al crac di Silicon Valley Bank?

In effetti sembrava che Joe Biden ed i Regolatori Usa fossero riusciti in qualche modo a calmare i bollenti spiriti dei mercati; ma nel mondo della Finanza i cosiddetti “cigni neri” sono purtroppo sempre in agguato, e ieri è deflagrato il caso Credit Suisse.

Cerchiamo quindi di capire, in un gergo comprensibile ai più, cosa abbia provocato questo che rischia di essere un vero e proprio “tzunami”  finanziario.

Esiste un collegamento diretto fra il fallimento di SVB ed il crollo dei Credit Suisse?

Apparentemente no. La prima era una Banca di medie dimensioni, specializzata su un segmento di mercato circoscritto (Startup); la seconda è un colosso di rilevanza mondiali, assieme ad UBS una delle due maggiori Banche elvetiche.  Detto questo io penso che il contagio nel settore bancario covi sotto la cenere, e non me la sentirei di escludere a priori che le conseguenze di anni di denaro facile, e del repentino rialzo dei tassi, possano avere  un effetto a cascata sul settore delle Banche.

Il crollo di Credit Suisse è stato del tutto inaspettato? 

Direi proprio di no, in quanto sullo stato di salute della Banca elvetica da tempo diversi esperti avevano sollevato ragionevoli dubbi.  In altre parole il Credit Suisse ha  problemi di lunga data, quindi  noti da tempo sia agli investitori che ai politici.  Per dare qualche cifra, oltre 110 miliardi di dollari in asset erano stati ritirati dai clienti di Credit Suisse negli ultimi tre mesi del 2022, quando è emersa una serie di scandali che hanno danneggiato l’immagine dell’Istituto, e soprattutto molti big della finanza Usa avevano chiuso con la Banca. Tra questi ad esempio Harris Associates, che  a fine 2021 deteneva circa un decimo del capitale sociale, per poi decidere di uscirne.

Nella sua “Relazione annuale”, resa nota proprio ieri (in ritardo per un intervento della Sec americana), Credit Suisse ha messo nero su bianco di aver riscontrato “debolezze sostanziali” relative alla “incapacità” della Banca di identificare adeguatamente il rischio di errori nei propri rendiconti finanziari. Ha aggiunto anche di non aver mantenuto un monitoraggio efficace sugli “obiettivi di controllo interno” della Banca, e  sugli “obiettivi di valutazione e monitoraggio del rischio”. 

In altre parole ha ammesso “controlli interni inefficaci”, o in ogni caso troppo all’acqua di rose.

Questo rapporto conferma comunque i risultati già annunciati lo scorso 9 febbraio, vale a dire per il 2022 una perdita di 7,29 miliardi di Franchi Svizzeri, oltre ai  citati significativi ritiri di depositi in contanti, ed al mancato rinnovo di depositi a media scadenza. 

Ma nonostante tutte le difficoltà operative, i problemi e gli scandali, Credit Suisse con la guida dell’Ad Koerner aveva dato il via  ad una complessa operazione di trasparenza, provando a portare allo scoperto problematiche, magagne e scheletri nell’armadio. 

Il tutto accompagnato da operazioni di rafforzamento del capitale (4 miliardi di Franchi lo scorso autunno) interamente sottoscritte dai maggiori azionisti, fra cui la Saudi National Bank (SNB), la Banca centrale dell’Arabia Saudita, arrivata così a detenere il 9,8% del capitale di Credit Suisse, la Qatar Investment Authority (6,8%), e ancora la saudita Olayan con il 3,3%.

E qui arriviamo al punto.

Qual’è stato il fattore scatenante della crisi?

A dare fuoco alle polveri sono state proprio le parole del  Presidente della Banca Nazionale SauditaAmmar Al Khudairy, quando gli è stato chiesto se l’istituto di credito fosse disponibile ad assistere il Credit Suisse se ci fosse stata un’altra richiesta di liquidità aggiuntiva.

“Assolutamente no” da detto Al Khudairy, citando problemi  statutari e regolamentari dovuti al superamento della soglia del 10%. 

E’ vero che sempre Al Khudairy ha poi aggiunto che Saudi Bank è soddisfatta del piano di ristrutturazione approvato da Credit Suisse, di non ritenere che il Gruppo Svizzero abbia bisogno di ulteriore liquidità, che la Banca è molto forte, che i ratio vanno bene ecc.…; ma cosa volete la lettura dei mercati è stata molto diversa, e per certi versi più facile: i sauditi non vogliono metterci più soldi.

Da qui le vendite, il crollo epocale della quotazione, e a cascata quello di tutte le borse mondiali, guidate in questo della debacle dei titoli di tutte le Banche, nessuna esclusa (fra cui le francesi BNP Paribas e Société Générale, le tedesche Commerzbank e Deutsche Bank, Unicredit, Intesa e Monte dei Paschi.  Sabadell, Santander e BBVA Bankinter, e se volete continuiamo).

Ma quello che sgomenta, e non uso questo termine a caso, è  che i dubbi del mercato non si limitano al solo prezzo dell’azione, passato in un anno da sette a due franchi svizzeri. 

Infatti Credit Suisse bond default insurance, noto con il suo acronimo in inglese (credit default swap, CDS) è arrivato a stabilire un massimo a 835,9 punti base. 

Forse non a tutti è chiaro cosa ciò voglia dire, ma in parole povere significa che il mercato richiede sempre più denaro per fornire copertura nel caso in cui la Banca non riesca a pagare i propri debiti, il che implica che vede questo scenario come sempre più probabile. 

Detta brutalmente i CDS del Credit Suisse, che adesso valgono 18 volte gli analoghi derivati della rivale UBS, e circa 9 volte quelli di Deutsche Bank,  sono a livelli simili a quelli delle Banche greche nel mezzo della crisi dell’euro.

E tanto per essere ancora più chiari i bond in dollari emessi dal Credit Suisse con scadenza 2026 sono scambiati al 68% del valore nominale (sic!)

Non proprio un grande scenario!

Cosa succederà?

Francamente non volevo neppure porla questa domanda, perché attiene più alla divinazione ed al vaticinio che alle cose reali.

Qualcuno si azzarda a dire che “questo è solo l’inizio”, come se si trattasse dei giorni di Armageddon; ma onestamente non mi sembra credibile, anche perché la Banca Centrale Svizzera e l’Autorità di Supervisione dei Mercati  (Finma),  hanno confermato in una nota congiunta che “Credit Suisse soddisfa tutti i più alti requisiti di capitale e liquidità applicabili alle banche importanti a livello di sistema”.

Ieri ho scorso i siti delle principali testate giornalistiche straniere e, forse non ci crederete, quelle che parlavano meno, o addirittura non parlavano affatto del crollo di Credit Suisse, erano proprio quelle svizzere.

Forse è la tradizionale riservatezza elvetica quando si parla di soldi, o forse non sapevano proprio cosa dire! Fate un po’ voi!

Ai microfoni della Cnbc, durante una tavola rotonda a Riyadh, il presidente Axel Lehmann(Nomen omen?) ha rifiutato di commentare l’accaduto e di dichiarare se Credit Suisse potrebbe, in un futuro prossimo, avere bisogno di aiuto governativo: «Non è questo l’argomento – ha tagliato corto – Siamo regolamentati, abbiamo solidi coefficienti patrimoniali e un bilancio molto solido. Parliamo di questo piuttosto»

Speriamo abbia ragione lui.

Vedremo come andrà a finire, anche se sullo sfondo resta il fatto che i guai del Credit Suisse sono presenti da più di un decennio. 

Il colosso svizzero si è trasformato nei primi anni 2000 da azienda focalizzata sul private banking in un conglomerato finanziario con una presenza in tutto il mondo. 

Il suo attuale modello di business è complesso e interconnesso, con divisioni di investment banking, private banking, asset management e corporate banking. 

Di positivo sembra che, almeno al momento,  a differenza di Silicon Valley Bank, Credit Suisse non sembra oggetto di una corsa dei creditori e dei depositanti al ritiro dei propri soldi.

Ciò dovrebbe senz’altro aiutare, anche perché non riesco neppure ad immaginare la Svizzera che lascia al suo destino una delle prime due Banche nazionali, con ciò certificando la fine della Confederazione come “cassaforte del mondo”.

Concludo con la raccomandazione che vi ho fatto in chiusura nell’editoriale di ieri: in questi giorni non guardate il saldo del deposito titoli, e se potete anche gli indici di borsa; tanto al mondo prima o poi tutto passa.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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