Expo 2030: lo schiaffo a Roma!
Alla fine essere la città “Caput mundi”, l’avere condizionato la storia dell’Europa e del mondo, essere la sede papale, non è bastato, e ha vinto un’altra candidata, la capitale di un Paese che nel nostro immaginario collettivo forse ancora vediamo come uno scatolone di sabbia, percorso in lungo ed in largo da “beduini” sui cammelli.
A nulla è servito neanche il videomessaggio della candidatura italiana che Giorgia Meloni aveva rivolto ai delegati: “Scegli Roma, portiamo la storia
nel futuro!…. La prima megalopoli nella storia, la capitale del dialogo tra le grandi religioni monoteistiche, una città dove le persone e le culture si sono incontrate e continuano a incontrarsi, creando una combinazione unica tra radici antiche e modernità tecnologica. Questa è Roma. A Roma ogni Nazione può esprimere il suo massimo potenziale”.
Sto parlando, lo dico per i pochi che non hanno letto la notizia, dell’Expo 2030, che i rappresentanti dei Paesi aderenti al Bureau International des Expositions hanno assegnato a Ryad.
Intendiamoci, non è una tragedia, e neanche se ne deve fare un dramma, ma il risultato, soprattutto l’aspetto numerico, dovrebbe far riflettere.
A Roma si sapeva che la concorrenza della capitale saudita sarebbe stata spietata, e infatti speravano di raggiungere comunque un numero di consensi tale da arrivare al ballottaggio, per poi battere Ryad allo spareggio.
Non è andata così, e sarebbe fin troppo facile ironizzare su” Roma da caput a kaputt”!
Perché il ballottaggio è rimasto un sogno, infrantosi di fronte ai freddi numeri: 119 voti per Ryad, 29 per Busan, 17 per Roma.
Caspita, in una corsa a tre la capitale “daaaa Nazzziiioooone” è riuscita ad arrivare terza, addirittura dopo Busan, che credo sia una città nota solo in Corea del Sud e dintorni!
Per lo meno io, pur essendo un appassionato di geografia, debbo confessare di non averla mai sentita prima in vita mia.
Inevitabile che il colpo sia stato duro da incassare, e lo si capisce delle prime reazioni a caldo di coloro che in prima persona si erano impegnati nel progetto; dal Presidente del Comitato Promotore Giampietro Massolo al Sindaco di Roma Roberto Gualtieri (se siete interessati alle loro dichiarazioni basta andiate su giornali e media).
E lo smacco è stato ancora più grande in quanto Roma aspettava l’Esposizione Universale dagli anni Trenta del Novecento: ricordo che un intero quartiere, l’Eur, fu realizzato dal regime fascista per ospitare l’Expo del 1942, che mai vide la luce per via dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Oltre a tutto la posta in gioco era altissima, innanzitutto per le ricadute di tipo economico. Secondo le stime contenute nel dossier della candidatura, il valore complessivo dell’impatto economico generato da Expo Roma 2030 per l’Italia sarebbe ammontato a 50,6 miliardi di euro, tra cui 18,2 miliardi di effetto economico indiretto a breve, e 10 miliardi di effetto economico diretto, tra investimenti pubblici e privati e dei partecipanti. Erano previsti 30 milioni di visitatori, ed erano state calcolate in 11mila le nuove aziende che sarebbero state generate, con circa 300mila nuovi posti di lavoro.
Ma perché Ryad ha stravinto, sbaragliando tutti al primo colpo?
Troppo facile individuare la causa del “cappotto” saudita nella ineguagliabile (per noi) mobilitazione di risorse di tutti i tipi, in forma più o meno trasparente, da parte degli arabi.
Troppo semplice e troppo autoassolutorio dare la colpa ai “petrodollari”, che sicuramente hanno giocato un ruolo importante, ma non risolutivo.
Perché a dirla tutta anche i coreani hanno speso molto, non disdegnando robuste iniezioni mercantili nella loro campagna elettorale, facendosi sostenere con lauti incoraggiamenti dal loro potente sistema industriale, mobilitatosi a tappeto accanto ai massimi esponenti del governo di Seul.
Come vi dicevo i soldi in queste partite servono eccome, ma sono determinanti solo quando c’è da accaparrarsi quei pochi voti che ti mancano per vincere.
Ma se il divario fra Ryad e Roma alla fine è risultato di 102 voti (119 a 17) il ragionamento non regge.
Perché quei 17 voti dimostrano che neppure i Paesi europei hanno votato per “Roma caput mundi”, e se in una regione tradizionalmente amica dell’Italia come il Sud America, due Paesi come l’Argentina ed il Brasile hanno scelto uno Ryad e l’altro, dopo averci promesso l’appoggio, non è neanche andato a votare, il problema va al di là dell’Expo.
E per trovare una risposta credo di debba ricorrere a due tipi argomentazioni diverse.
La prima, che gli equilibri geo-politici del mondo sono in rapida evoluzione, e in questa vera e propria “rivoluzione” epocale di alleanze, Ryad sta diventando cruciale per tutte le grandi potenze (in primis l’Occidente, che deve evitare che entri nell’orbita cinese).
Non è un caso se dopo l’Expo del 2030, l’Arabia Saudita ospiterà i mondiali di calcio del 2034, e nello stesso anno la 22ma edizione dei Giochi asiatici. Ciliegina sulla torta nel 2029 il Regno Saudita ospiterà i Giochi invernali asiatici (sic!), con centinaia di miliardi di investimenti (montagne e neve artificiali) previsti in un Paese dove la neve non è certo familiare.
E credo sia ormai evidente che neppure le accuse di essere un Paese dove si violano i diritti, dove si praticano esecuzioni capitali e tortura, alla fine impediscono di essere scelti come sede per i grandi eventi internazionali.
Anche perché, a volerla dire tutta, se il livello di democrazia interna ed il rispetto dei diritti fondamentali fossero parametri determinanti, francamente i Paesi candidabili per qualunque manifestazione internazionale sarebbero sempre meno.
Il secondo argomento cui accennavo impone di rispondere ad una domanda; siamo sicuri che la “qualità della vita” di Roma non abbia influito negativamente nella scelta dei delegati della Bie?
Per essere più chiaro, non è che l’immagine della città vista da fuori conduca lo sguardo a quel che è veramente Roma da qualche lustro a questa parte?
Perché solo un cieco non si accorgerebbe che si tratta di una città in preda al degrado, al malfunzionamento dei servizi, con un’illegalità diffusa, e con autentiche “zone franche.
Partendo dal problema dei rifiuti solidi urbani; ovunque nel mondo inceneritori, termo-valorizzatori, trituratori, impianti di essiccazione, forni, turbine a rendimento antropico, teleriscaldamento… la scienza nel trattamento ed eliminazione dei rifiuti ha fatto passi da gigante. Non a Roma, che a quanto pare sembra ferma ad una preistoria fatta di cassonetti sgangherati, veicoli vetusti, discariche a cielo aperto, isole ecologiche che sembrano strutture degli anni ‘60 dell’ex Unione Sovietica. Con i cinghiali che scorrazzano per le strade e si cibano con i rifiuti, e con un termovalorizzatore di cui si blatera a vuoto da decenni senza costrutto.
Per non parlare del sistema dei trasporti, che deve fare fronte non solo ai residenti, ma a flussi continui di persone in ingresso nella capitale, e che da anni continua a riempire le cronache dei giornali con scioperi e malfunzionamenti dei mezzi pubblici.
Una città piena di senza tetto, in cui non ci sono mai vigili a sufficienza, in cui la stazione Termini e le vicinanze sono un suk in mano alla malavita, dove i tassisti impongono il loro monopolio contrario a qualsiasi apertura alla concorrenza, e possono permettersi di mettere (idealmente) a ferro e a fuoco la città.
Lo so bene che non è tutto oro quel che luccica, ma resta il fatto che il confronto fra Roma e, che ne so, Madrid, Vienna, Parigi, Berlino, mostra che la capitale d’Italia sembra più una capitale del terzo mondo piuttosto che europea.
Io credo che tutto questo abbia contato nell’assegnazione di Expo 2030, e dovremmo chiederne conto ai Partiti ed ai Sindaci che si sono susseguiti negli ultimi decenni, promettendo di risolvere i problemi della città, e di fatto lasciandoli uguali se non peggiorati.
Io mi auguro che il rammarico per la batosta subita faccia capire alla nostra classe dirigente che di questi tempi per “competere” alla pari degli altri, sul palcoscenico degli eventi di portata globale, serva presentarsi nelle condizioni migliori.
E di conseguenza non sia più praticabile la nostra prassi, oserei dire il nostro vezzo, di approfittare dell’evento e delle risorse assegnate per sistemare le carenze di una città; va fatto il contrario, prima si fanno le cose, e poi ci si candida.
Lo schiaffo di Parigi lo ha ampiamente dimostrato, e quei soli 17 voti per Roma dimostrano una irrilevanza che tutto sommato l’Italia non merita.
Umberto Baldo