23 Ottobre 2020 - 10.18

Dove sono le vecchie e care nebbie di una volta?

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di Alessandro Cammarano

“Non ci sono più le mezze stagioni”, “La frutta e la verdura non sanno più di nulla”, “Vuoi mettere quanto era più elegante la moda di un tempo?”. Tra tutti questi adagi farciti di retorica tanto vuota quanto insopportabile – capisaldi delle conversazioni da anticamera di ambulatorio medico o da baretto – uno corrisponde ad una verità inoppugnabile: “Non c’è più la nebbia di una volta”.

Fino a non molti anni fa la Pianura Padana scompariva a metà settembre e riappariva intorno alla fine di aprile; un po’ come Brigadoon, il villaggio scozzese protagonista di un memorabile musical con Jene Kelly e Cyd Charisse nelle parti principali.

Tanto era fitta la nebbia che durante una puntata di “Portobello” – storico programma TV del mai abbastanza compianto Enzo Tortora dove trovavano rifugio svariati casi umani, quasi tutti innocui e divertenti – si presentò un distinto signore che, carte alla mano, propose l’abbattimento del passo del Turchino in modo da far circolare aria sufficiente a rischiarare la visuale nella valle dell’Eridano. Fantastico! Dovette intervenire anche un meteorologo dell’Aeronautica Militare a sgombrare il campo da facili illusioni e soprattutto per impedire a qualche buontempone di procurarsi l’esplosivo sufficiente a portare a termine la missione.

C’è da dire che i nebbioni passati erano veramente tosti, roba che per andare a scuola a piedi si doveva ricorrere a metodi d’orientamento che nemmeno Amundsen si sarebbe sognato di utilizzare in Antartide dove causa ghiaccio è un po’ tutto uguale e ci si può confondere.

Le automobili avevano le luci di posizione, gli anabbaglianti e gli abbaglianti, mica i fari alla kryptonite e i fendinebbia samurai di adesso; ci si doveva arrangiare con quel che si aveva, vale a dire poco, e andare avanti per strade provinciali senza sapere se il veicolo che ci precedeva fosse una lambretta o un bilico con rimorchio. Vuoi mettere però l’ebbrezza dell’imprevisto?

È storia la corsa di mio padre su un argine scambiato per la strada principale in una sera degli anni Settanta; roba che “Fast and furious” gli spiccia casa.

Era divertente anche passeggiare; spesso si incrociavano persone che si pensava di conoscere e le si salutava cordialmente per scoprire un secondo più tardi che si trattava di un paracarro.

Era nebbia più pulita, quella del secolo scorso; le particelle d’acqua si attaccavano a polveri più “sane” – forse –, sta di fatto che adesso basta una foschia leggera per ritrovarsi l‘automobile ricoperta da un’orrida morchia nera e i polmoni intasati; tra l’altro le brume attuali sono infingarde nel loro manifestarsi a banchi improvvisi e costringendo a frenate brusche nella speranza che chi sopraggiunge alle spalle faccia altrettanto.

Mi ricordo di viaggi autunnali verso le terre d’Emilia fatti tutti senza che il nebbione di prammatica si alzasse mai lasciando il posto ad un raggio di sole: macché si andava a naso anche perché la segnaletica orizzontale si limitava a dividere le corsie e i cartelloni non erano catarifrangenti. Talvolta, scendendo verso Ferrara, si vedeva l’indicazione “Rovigo” e si facevano i calcoli, ritrovandosi poi ad Altedo dopo essersi mangiati l’uscita invisibile; seguivano minuti di improperi in cui le divinità venivano associate ai più comuni animali da cortile.

Da qualche tempo, causa pandemia, è nata una foschia nuova, quella “da mascherina” e chi porta gli occhiali la conosce bene; però, credetemi, meglio vedere meno e proteggersi invece di bearsi di orizzonti interminati da un letto di ospedale.

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