18 Settembre 2018 - 14.16

ECONOMIA – Libia, la crisi e le conseguenze

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Purtroppo è in essere una nuova fase di instabilità in Libia, portando inevitabilmente conseguenze prima o poi anche nell’Eurozona.

In pochi giorni è andato all’aria il lavoro di anni, precisamente dal 27 agosto quando la settima brigata di Tarhuna ha sferrato un’offensiva a Tripoli contro le milizie tripoline rivali che sostengono il Governo di Accordo Nazionale guidato da al-Sarray. In pochi giorni il triste bilancio vede una cinquantina di morti, e circa 400 persone evase dal carcere.

Poco potranno fare i circa 350 militari italiani presenti in Libia, se non cercare di aiutare a trovare un compromesso per una stabilizzazione del Paese, anche se l’impresa appare assai ardua.

Probabilmente lo scopo che ha mosso la settima Brigata è quello di interrompere l’oligopolio di milizie che oggi prevale a Tripoli per poter poi anche lei ottenere una parte sostanziale di quota di business.

L’oro nero, meglio conosciuto come Petrolio, è sempre stato fondamentale in Libia per tenere unite tre regioni storiche del Paese, distanti tra loro per cultura e storia, anche se gli enormi interessi economici, prima o poi rischiamo di far saltare i sottili equilibri e fare emergere attraverso una rovinosa guerra civile tutte le diversità presenti all’interno della nazione.

Basti pensare che il comparto energetico è arrivato a pesare per oltre l’80% dell’export e più del 60% del PIL, si fa presto capire che colui che riuscirà a controllare risorse così importanti per l’economia libica si troverà in mano il potere politico economico.

Da questo business nasce questa preoccupante fase di instabilità, facendo riesplodere una pericolosa guerra civile mai sopita, un’autentica resa dei conti tra Haftar sostenuto da Egitto e Russia, ed il governo di Tripoli capeggiato dal Presidente Fayez al Sarray riconosciuto dall’ONU e sostenuto da USA, Regno Unito ed anche dall’Italia.

Non solo motivazioni politiche ma soprattutto economiche per il controllo delle ricchezze del sottosuolo stanno alla base di queste nuove tensioni. Ricordiamoci anche che ogni giorno Eni estrae in Libia 320.000 barili di petrolio contro i 31.000 di Total. Non poca cosa.

Un grande caos che avrà riflessi non solo su possibili nuovi flussi migratori, un grande caos il cui pericoloso esito potrebbe portare un disordine lungo forse anche tragico, in un paese alle porte dell’Europa, con la speranza poi che il contagio non oltrepassi il mare ed arrivi direttamente dentro l’Europa.

 

FABIO ROSSI

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