27 Settembre 2024 - 9.32

Ho confrontato, assaggiandola, la nuova Nutella “vegana” con quella “originale”.

Umberto Baldo

Erano quelli gli anni ruggenti della rivoluzione giovanile.

Gli anni delle prime minigonne, del successo straordinario dei Beatles e dei Rolling Stones, delle prime Barbie in arrivo dagli Stati Uniti, e poco dopo di Woodstock.

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In quell’Italia appena uscita dal miracolo economico, che voleva spendere, cominciare a godersi la vita, consumare, il 20 aprile del 1964, in una mattina che le cronache ricordano fredda e piovosa, usciva dalla fabbrica di Alba un barattolo a forma di esagono, dai colori semplici, con una fetta di pane sull’etichetta, ed una crema di cacao e nocciola all’interno. 

Un vero prodotto locale, che sarà poi venduto in più di cento Paesi, e prodotto in undici stabilimenti sparsi nel mondo, impiegando una manodopera di novantasette nazionalità.

Il suo nome: NUTELLA. 

Su ragazzi non fate quella faccia da persone “superiori”!  Alzi la mano chi non si è mai strafogato di Nutella?

Ricordo ad esempio che il mio papà amava chiudere il pasto con il classico “pane e Nutella”.

Si tratta di un successo planetario (è tuttora la crema spalmabile più consumata al mondo, con 770 milioni di confezioni vendute ogni anno a più di 110 milioni di famiglie), un nome ed un prodotto che costituisce un modello di branding studiato in tutti i manuali, costruito con campagne di marketing precise ed efficaci, che si sono evolute dalla pubblicità tradizionale all’uso dei social media, ed è un long-seller: esiste cioè da più di cinquant’anni e continua a vendere, adattandosi ai vincoli locali e al cambiamento delle preferenze di consumo.

La sua genesi la si deve a due straordinarie intuizioni. Quella di Pietro Ferrero, che nel 1946, nella sua piccola pasticceria di Alba, mise a punto la ricetta per il «Giandujot” (un panetto venduto a fette), l’antesignano della Nutella; e quella del figlio Michele, che nel 1964 la migliorò, la trasformò in una crema, e la lanciò con quel nuovo nome. 

Occorreva un marchio che parlasse una lingua universale, capace di incontrare i gusti di tutto il mondo. Alla radice del nome, il richiamo alle nocciole delle colline di Langa (nut in inglese) mentre il suffisso ‘ella’ ingentiliva la parola, restituendole un suono dolce e “spalmabile”.

Un dolce da ceto medio, appunto, ma in grado di connettere mondi, classi sociali e ceti diversi: la Nutella si trovava allo stesso modo nelle case dei figli dell’alta borghesia, come in quelli della classe operaia. 

La Nutella ha finito per influenzare la cultura di massa diventando un vero e proprio fenomeno di costume, tanto da apparire anche al cinema. 

Un enorme barattolo di Nutella appare nel film “Bianca” del 1984, sul tavolo di Nanni Moretti, nudo e depresso, in una cucina triste e un po’ squallida, ma con la crema a rinfrancarlo.

Ne canterà anche Giorgio Gaber (Destra-Sinistra, 1995) «Io direi che il culatello è di destra/La mortadella è di sinistra/Se la cioccolata svizzera è di destra/La Nutella è ancora di sinistra»

Perché oggi vi parlo della Nutella?

Semplicemente perché l’altro giorno in un Supermercato mi sono trovato di fronte ad un bancale di vasetti di Nutella.

Cosa c’è di strano?  Vi starete chiedendo.

Il tappo, che invece del classico colore bianco era verde, e non a caso, ho subito potuto appurare.

Già perché di trattava della prima fornitura della nuova NUTELLA PLANT BASED (a base vegetale), una versione nuovissima che apre la strada ad un nuovo capitolo nella storia di questo prodotto.

Al di là dell’utilizzo dell’inglese, che perdoniamo perché la Nutella è diffusa in tutto il mondo, in poche parole si tratta della versione “vegana”, che non contenendo ingredienti di origine animale, fra cui ovviamente il latte, è indicata anche per gli intolleranti al lattosio.

Potevo non comprarlo?

Assolutamente no, era troppo accattivante! Ed infatti ho acquistato il nuovo vasetto con il tappo verde.

E francamente non vedevo l’ora di tornare a casa per un confronto con la Nutella “versione originale”.

Innanzitutto gli ingredienti, così come esposti in etichetta: “Zucchero, olio di semi di palma, nocciole (13%), ceci, cacao magro (7,6%), sciroppo di riso in polvere, emulsionanti: lecitine (soia), sale, aromi. Senza glutine. Senza lattosio. Adatta ai vegani. Può contenere latte poiché questo prodotto è fabbricato in uno stabilimento che utilizza latte”.

Rispetto alla Nutella “normale” nella “vegana” vedo nuovi ingredienti quali ceci, sciroppo di riso in polvere e sale.

Per quanto attiene quella dicitura “può contenere latte”, ho verificato che Stefano Lelli Mami, marketing manager Nutella Italia: ha dichiarato: “Nutella Plant-Based è certificata dalla Vegetarian Society come Vegan Approved; la progettazione della linea di produzione dedicata è iniziata a gennaio 2023, e le prime produzioni industriali sono datate giugno 2024”.

In altre parole sembra di capire che, nonostante la linea di produzione  della versione vegana sia distinta da quella ordinaria, quella dicitura sarebbe di tipo “difensivo-legale”, e compare frequentemente in tutta una serie di prodotti adatti ai vegani.

Altra differenza è il prezzo.  Infatti la Nutella Plant Based è al momento venduta solo in vasetto da 350 grammi al prezzo di 4,49 euro, mentre allo stesso prezzo puoi comperare 450 grammi di Nutella “normale”.

E arriviamo finalmente alla prova di assaggio fra le due versioni.

Vi dico subito che se andate in Rete troverete tutta una serie di “giudizi” di personaggi più o meno famosi, alcuni dei quali assomigliano a quelli dei sommelier, che trovano aromi di sandalo, noce moscata, gelsomino in un bicchiere di vino (e la cosa, forse perché astemio, mi ha sempre molto divertito).

Sarà che io non sono un fine assaggiatore, sarà che il mio senso del gusto non è particolarmente affinato o sofisticato, ma debbo dirvi che per me le due versioni della Nutella sono del tutto simili per l’aspetto, il tema aromatico, il sapore, la texture.

Io ad occhi chiusi addirittura farei fatica a distinguerle.

Ultima notazione relativa alle “calorie”.

Se pensate di passare alla Nutella “vegana” per ingurgitare meno calore, siete del tutto fuori strada, e d’altronde la Ferrero nella sua pubblicità non tocca assolutamente questo tasto.

E ciò perché, da quanto ho letto, la Nutella tradizionale contiene 539 calorie per 100 grammi di prodotto, quella vegana 534.

In definitiva deve essere chiaro che non si tratta di un prodotto dietetico, bensì destinato a chi segue una dieta vegana, oppure è intollerante al lattosio.

Mi sentirei di dire, in conclusione, che se la Ferrero voleva offrire al mercato una versione diversa dal punto di vista degli ingredienti, mantenendo però gusto, cremosità, e caratteristiche sensoriali di quella “originale”, ha perfettamente centrato l’obiettivo.

Quindi, sia che siate vegani o intolleranti al lattosio, sia che non abbiate problemi alimentari, ora e per sempre W la Nutella.

Umberto Baldo

Ps: a titolo di curiosità sappiate che i primi consumatori al mondo ad avere assaggiato la Nutella Plant Based sono stati i napoletani. Infatti in un negozietto vicino a piazza Dante, in pieno centro, a fine agosto si potevano comprare  i barattoli con il cappuccio verde al costo di 2,60 euro, circa la metà del prezzo imposto da Ferrero.  Perché? Semplicemente perché un carico destinato al mercato francese è stato rubato e venduto fuori dei normali circuiti.

Non ci smentiamo mai!

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