27 Novembre 2024 - 9.45

Trump all’assalto anche della Fed

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Venerdì scorso abbiamo visto l’improvvisa fascinazione che Bitcoin e le valute virtuali sembrano esercitare sul neo eletto Presidente Usa Donald Trump.

Ma chi ha seguito la campagna elettorale americana ha potuto rendersi conto che alcune sue affermazioni erano perfettamente in linea con le teorie  che da tempo vengono coltivate nel mondo della destra estrema Usa,  e che rispondono ad una idea controversa nota come “Teoria dell’Esecutivo Unitario”; secondo la quale l’intera Burocrazia Federale, incluse Agenzie indipendenti come il Dipartimento di Giustizia o quello dell’Istruzione o  l’Fbi, dovrebbe essere posta sotto il “controllo diretto” del Presidente.

Da segnalare che fra i sostenitori di queste tesi c’è, guarda caso, anche Elon Musk.

Il quale, ad esempio, ha risposto con le parole “End the Fed” (sic!) a questa proposta del Senatore dello Utah Mike Lee: “La nostra Costituzione è concepita in modo che il potere esecutivo sia sotto il controllo presidenziale. La Fed è un esempio di come ci siamo allontanati dalla Costituzione. E quindi questa è la ragione per eliminare la Fed”.

Musk, come molti “riformisti” (per usare un eufemismo) negli Stati Uniti, ritiene che le valute convenzionali stiano perdendo il loro scopo originario. 

Essendo gestite a livello centrale, come ritiene il Senatore americano Lee, sono “soggette a inflazione e svalutazione, poiché sono gestite come monopolio”. 

Ecco spiegato il motivo per cui la “propaganda” e l’”entusiasmo” sulle criptovalute stiano crescendo nella squadra di Trump. 

Lo stesso Trump, molto prima della sua seconda elezione, aveva dichiarato di essere “pronto a ripagare l’enorme debito americano semplicemente firmando un assegno in bitcoin” (sic! sic! sic!).  

Come commento personale aggiungo che vorrei proprio vedere quale Governo al mondo sarebbe disposto a farsi rimborsare i Treasury bond in Bitcoin anziché in dollari.

Che Governi e Partiti, sotto tutti i cieli, e a tutte le latitudini, siano  spesso in disaccordo con le politiche monetarie delle rispettive Banche Centrali, lo sappiamo da tempo, ed in fondo fa parte delle regole del gioco.

Perché i politici sono sempre favorevoli ad allargare i cordoni della borsa e ad abbassare i tassi per dare ossigeno alle economie, mentre i Banchieri centrali  rispondono a logiche e responsabilità diverse.

Ma vedete, un conto è lamentarsi, e lo abbiamo sentito fare svariate volte ai nostri leader italiani ed europei contro le politiche dei tassi della Banca Centrale Europea; un altro  è proporre l’idea che i Presidenti dovrebbero essere in grado di intervenire nel processo decisionale di una Banca Centrale (questo almeno nelle democrazie; ma sappiamo che anche in Russia  Vladimir Putin ha fior di contrasti con la Governatrice della Banca Centrale russa El’vira Nabiullina).

Il che, comunque la si guardi, sarebbe la fine dell’indipendenza della Banca Centrale Americana.

Guardate che queste posizioni non sono del tutto nuove, perché già durante il suo precedente mandato Trump aveva spesso criticato la Fed ed il suo Presidente Jerome Powell, fra l’altro da lui nominato nel 2018, e confermato da Biden anche se di idee non democratiche.

Non mi ha stupito quindi leggere nei mesi scorsi le dichiarazioni di Trump in cui annunciava che in caso della sua rielezione non avrebbe sostenuto la riconferma di Powell, il cui mandato scadrà nel 2026.

Ma la cosa è invece stata presa sul serio da Powell, che alla domanda se si sarebbe dimesso se il Presidente eletto Donald Trump lo avesse richiesto, ha semplicemente risposto “No”.

E alla successiva domanda se pensasse che un Presidente Usa avesse l’autorità di licenziare o detronizzare un Presidente o un altro dirigente della Fed, Powell ha risposto: “Non è consentito dalla legge”.

Tanto per dirne una, durante la sua campagna del 2024, Trump ha spesso accennato di voler avere “voce in capitolo” nelle politiche della Fed. 

Secondo quanto riferito, ha sostenuto che il suo successo finanziario (nella vita ho fatto un sacco di soldi!), ed i suoi istinti commerciali, lo qualificherebbero per prendere decisioni migliori rispetto al presidente della Federal Reserve Jerome Powell. 

Guardate che l’interesse di Trump di poter controllare in qualche modo la Fed non risponde a pure logiche di potere, bensì a logiche “concrete” di politica economica.

Mi riferisco al fatto che Trump si è impegnato a reintrodurre i “dazi” sulle importazioni, proponendo una tariffa del 60% sui prodotti cinesi e del 10% o più sulle importazioni da altri Paesi.

Insieme a potenziali tagli fiscali, e a politiche di immigrazione più severe, gli economisti ritengono che queste proposte siano potenzialmente inflazionistiche, e che quindi possano intensificare le pressioni sui prezzi all’interno dell’economia statunitense.

Una recente analisi di JP Morgan suggerisce che queste tariffe, insieme ai tagli fiscali, potrebbero far salire l’inflazione di circa 2,5 punti percentuali.

Se l’inflazione dovesse aumentare in modo significativo, la Fed, che ha il compito di garantire la stabilità dei prezzi, potrebbe avere poca scelta, se non quella di rispondere con una politica monetaria più restrittiva. 

In altre parole lo strumento tradizionale della Banca Centrale per gestire l’inflazione, vale a dire l’aumento dei tassi d’interesse, diventerebbe probabilmente necessario o, per lo meno, i tagli dei tassi previsti per il 2025 potrebbero essere sospesi.

Chiaro, no?

Ma anche prescindendo da meri “interessi contingenti di bottega”, credo non sfugga a nessuno di voi che l’indipendenza e l’autonomia delle Banche Centrali  hanno rappresentato un grande passo avanti nella storia moderna a vantaggio sia delle economie che delle società, e giustamente sono considerate sacrosante per le moderne economie industriali, in quanto rappresentano un controllo ed un equilibrio importanti nella gestione dell’economia quanto la separazione dei poteri nella gestione dello Stato. 

Certo i Poteri devono dialogare, ed è giusto e normale un confronto fra l’Esecutivo e la Banca Centrale, ma ci sono delle linee di confine che non possono e non devono essere superate.

Ed in questa logica, anche il solo accenno di voler alterare queste linee di demarcazione può essere dannoso.

E questo, solo per fare un esempio, è uno dei motivi per cui la Fed evita accuratamente di commentare il tasso di cambio del dollaro, perché questo rientra nella sfera di competenza del Ministero del Tesoro degli Stati Uniti. 

Concludendo, è noto che la politica è l’arte del possibile, e come abbiamo visto di recente anche per gli impegni elettorali del Centro destra italiano, alla “prova della realtà” le promesse cadono, o meglio si rivelano per quelle che sono, mere promesse. 

Per cui c’è da augurarsi che le rodomontate di “Ciuffo biondo”, e del suo manutengolo Elon Musk, alla fine si scontrino, nel Congresso e anche negli altri Centri di potere, con quei meccanismi di “controllo e bilanciamento reciproco” (Check and balance), pensati proprio per  mantenere l’equilibrio tra i vari poteri all’interno di uno Stato, teorizzati da Montesquieu nello Spirito delle leggi (1748), ed il cui scopo è evitare l’assolutismo, e salvaguardare la libertà dei cittadini.

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