5 Settembre 2019 - 11.53

VICENZA – Quando le insegne dei negozi sono… “orride”

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di Alessandro Cammarano

Lucca è una città fra le più eleganti d’Italia.

Qualcuno si starà già chiedendo che cosa c’entri il capoluogo toscano con gli argomenti che trattiamo di solito; sciogliamo subito il dubbio e spieghiamo.

Il capoluogo toscano, città tra le più eleganti d’Italia, scrigno di tesori artistici e di storia, vanta uno dei centri storici meglio tenuti e gestiti che sia dato vedere e visitare.

La sua bellezza non deriva solo dai monumenti, dai percorsi didattici e dalla cortesia delle persone: un punto di forza sono le insegne dei negozi.

Il mistero s’infittisce: Lucca? Insegne dei negozi? E Vicenza allora che ha a che fare con tutto questo?

Presto detto: a Lucca i negozi del centro, anche quando cambiano tipologia merceologica sono obbligati a mantenere le insegne storiche, ovvero quelle della prima attività commerciale svolta.

Le strade strette del borgo sono dunque ornate – oltre che dai monumenti e dalle case nobiliari – dalle vecchie insegne di vetro o ferro dipinti, moltissime risalenti alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento, scritte in caratteri meravigliosamente armonici nelle loro volute Liberty o in rigoroso Bodoni.

Può dunque capitare che la “Premiata ditta tessuti e filati” ospiti una bottega di uno dei mutandari in franchising o che l’”Offelleria fornitrice della real Casa” abbia oggi al suo interno un parrucchiere.

Il tutto è bellissimo, anche perché offre al commercio una dimensione straniante che solitamente non gli appartiene.

Altri esempi vengono dall’Alto Adige dove, come in Austria, i negozi prediligono il ferro battuto e lo smalto per farsi pubblicità.

Nel nostro amatissimo capoluogo, cinto dalla corona dei Berici e nobilitato dall’arte di Palladio, avviene esattamente il contrario: le informazioni pubblicitarie sono affidate, nella più larga parte dei casi, a orride tabelle dalle forme più discutibili e poste a pubblicizzare i marchi che oramai hanno spersonalizzato e omologato qualsiasi città.

Quello che colpisce è la scelta del neon, che trasforma Corso Palladio, Piazza Castello – che ora subisce anche l’onta del transennamento – e le vie limitrofe in una tragica fantasmagoria di luci e colori indegni anche della peggiore delle sagre.

Il colore preferito è il blu elettrico, quello delle luci notturne dei reparti ospedalieri per intenderci ed è particolarmente amato dai rivenditori di detersivi e prodotti per l’igiene personale.

A riguardare le foto di Piazza Castello – bastano quelle di quindici anni fa, mica le immagini seppia dei tempi di Fogazzaro – la si riscopre elegante, con il monco Palazzo Sesso tenuemente illuminato dalle vetrine del negozio di stoviglie lussuose all’angolo con Mure Pallamaio e il grande magazzino di proprietà veneziana brillante di luci calde e tentatrici e con un logo che ha fatto storia con il suo stampatello minuscolo.

Sorte peggiore tocca al Corso, dove non si salva più nulla se non l’insegna della farmacia “Al Casino”, la storica cartoleria e il nuovo negozio di latticini; il resto è tragicamente uguale a qualsiasi altra città che non abbia avuto a cuore la preservazione del bello anche attraverso la conservazione degli esercizi commerciali.

Un capitolo a parte, anche lungo, lo meriterebbero le “boutique” cinesi, popolarissime nelle vie laterali di Corso Palladio e a Via Gorizia – quest’ultima passata in pochi anni da elegante strada residenziale a orrido e infrequentabile bazar –, che vendono tutte le stesse cose, esposte come nemmeno nel peggiore dei robivecchi. Per loro bastano tre o quattro stand appendiabiti, tre scaffali che in confronto quelli di IKEA sembrano della Kartell o dell’Anonima Castelli e il gioco è fatto; il nome del negozio è scritto in vomitevoli lettere adesive, ree di non provare neppure a nascondere la tristezza degli interni.

È di queste ore la notizia, ottima, che tra pochi giorni riaprirà i battenti lo storico Caffè Moresco in Campo Marzo, restaurato grazie agli infaticabili e meravigliosi componenti dell’Associazione Nazionale Alpini che lì stabiliranno una loro sede.

Peccato che al posto del bar sia prevista l’apertura di un “American diner” anni Cinquanta, in stile Happy Days, uguale a quelli che pullulano nelle zone industriali o nelle vie periferiche di qualunque città. Magari non sarà nemmeno brutto, sicuramente sarà un altro cazzotto in mezzo agli occhi di una Vicenza che si va sempre più omologando e involgarendo.

Una luce però c’è, non tutto è perduto: Piazza dei Signori si mantiene a livelli degni dell’UNESCO.

Il meraviglioso negozio di tessuti all’angolo con Contrà del Monte mantiene intatta la sua nobiltà e il logo che gli fu dato all’apertura, così come le gioiellerie e i bar sotto la Basilica sono tuttora inghirlandati dalle scritte oro su fondo nero che li caratterizzano da sempre.

Abbasso il blu elettrico! Viva il Liberty!

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