28 Ottobre 2019 - 9.42

“Vicenza, cinque cose che amo di te…”

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di Alessandro Cammarano

Riassunto della puntata precedente: si è parlato delle cinque cose da odiare a Vicenza, tra Campo Marzo oggi ridotto a Viale della Pantegana Drogata e la viabilità demenziale.

Oggi, in occasione di un’anomala ondata di sentimenti idilliaci, probabilmente frutto di questa eterna coda d’estate, si è deciso di fare una classifica delle cinque cose da amare a Vicenza, senza se e senza ma; chiariamoci, di bellezze – evitando di usare la parola “eccellenze” che solo a pensarla già trasuda banalità – ce ne sono molte ma molte di più, ma qui ne prenderemo in considerazione una cinquina che contrasti con gli orrori della scorsa volta. Da amare sono i musei cittadini, tutti.

Palazzo Chiericati ha trovato negli anni, e dopo molti interventi non tutti felici, una sua dimensione espositiva che lo rende appetibile non solo al turista, ma anche allo studioso. La bellezza delle Gallerie d’Italia, ospitate nel sovraccarico e affascinante Palazzo Leoni Montanari, è sotto gli occhi di tutti; la collezione di icone che conserva è tra le più interessanti almeno d’Europa, la libreria – o se preferite il bookshop, che fa più figo – è a misura d’utente. Ci fosse anche una caffetteria si rasenterebbe la perfezione.

Che dire del Museo Diocesano, ricco di tesori sacri e capace di ospitare mostre tematiche di assoluto rilievo; anch’esso è una realtà cresciuta negli anni e sotto l’ impulso di Monsignor Nonis, l’ultimo vescovo-principe di Vicenza, uomo di cultura sterminata ed epigono di Mazzarino, fu determinante e i risultati si vedono. La capitale berica è oggi città di musei e non la so visita solo per il Teatro Olimpico, che di essi è il più prezioso. Ci sarebbe stata anche la collezione della Popolare di Vicenza, ricca ed esibita con orgoglio dall’ex presidente faraone, ma parlarne suscita ricordi dolorosi e giustamente irati. In altro articolo si era parlato – in forma scherzosa – dei locali del centro storico.

Ecco, tra le bellezze c’è la nuova vita di Piazza delle Erbe, con i suoi lounge bar perfettamente integrati con il contesto urbano, eleganti, con musica a giusto volume e proposte enogastronomiche interessanti e per tutte le tasche. Certo, qualcuno di questi è più “glamour” ma tutti insieme rappresentano un perfetto microcosmo della città e offrono un’alternativa valida anche chi di passaggio voglia fare uno spuntino ad un’ora un po’ più tarda di quella di una cena ospedaliera.

La terza bellezza è, se vogliamo, legata alla precedente ed è la Basilica Palladiana, che le grandi mostre – piaccia o no – hanno restituito ad un corso vitalissimo. Intendiamoci, non tutte le mostre proposte sono state del medesimo livello ma sono state comunque capaci di richiamare un turismo colto insieme a quello più massificato ottenendo in piccolo cioè che Milano ha avuto con l’Expo. Valore aggiunto la possibilità di accedere alla loggia superiore e di godersi un aperitivo con la vista su una delle piazze più belle del mondo.

Quarta belluria le librerie che ancora resistono in centro – superstiti purtroppo di un passato glorioso che vedeva anche le vie limitrofe al Corso ricche di vetrine di librai – e che lavorano a pieno ritmo. La lettura rende consapevoli e capaci di decidere.

Quinta ed ultima bellezza lo storico negozio di giocattoli che, dopo anni di esilio in semiperiferia, è tornato nella sua sede storica. Non ne faremo il nome, non ha bisogno di pubblicità. Dal signor Luciano quasi tutti hanno comprato una bambola, dei soldatini, un modellino da costruire, un gioco di società. Quando il sottoscritto lo ha visto riaperto non ha resistito e, con gli occhi lucidi, è entrato a salutare il titolare seduto alla cassa che, alla mia felicità rispose “Non sei il primo – il tu è d’obbligo verso un ex bambino – sai quanti come te e quante nonne sono venuti a darmi un saluto?”; beh, io un pupazzetto me lo sono comprato, in ricordo dei vecchi tempi e a buon auspicio dei nuovi.

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