28 Settembre 2017 - 11.12

VENETO – Maxi frode nel settore vinicolo: 254 mila bottiglie con falsa etichetta

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Nella mattinata di oggi il Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia ha dato esecuzione all’ordinanza con cui il Giudice delle Indagini Preliminari di Asti ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di 3 persone, l’obbligo
di dimora per altre 2 e il sequestro per equivalente di oltre 23 milioni di euro, perché gravemente indiziati dei reati di associazione a delinquere transnazionale, finalizzata all’evasione fiscale, alla frode in commercio e al riciclaggio.
Sono state eseguite, in tutto il territorio nazionale, perquisizioni e acquisizioni documentali nei confronti di ulteriori soggetti coinvolti nella frode, in cui sono complessivamente indagate 60 persone.
L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Asti, è stata originata da una verifica fiscale, avviata nel corso dal Nucleo di polizia tributaria di Venezia nei confronti di un’azienda agricola trevigiana, risultata aver
imbottigliato e immesso in consumo, in ambito nazionale e comunitario, vini bianchi, rossi e rosati da tavola falsamente etichettati “IGT”.
Dai successivi riscontri di polizia giudiziaria è stato appurato che oltre 254.000 bottiglie di tale prodotto erano state cedute a un’impresa del cuneese che, a propria volta, le aveva distribuite sui mercati italiano e nordeuropeo con altro vino dalle medesime caratteristiche reperito da altri operatori.
Le perquisizioni eseguite nei confronti della rete di società risultate coinvolte hanno permesso di sequestrare, nel complesso, circa 150.000 bottiglie di vino fraudolentemente etichettate DOC e/o IGT, nonché documentazione contabile ed extracontabile attestante il trasporto di ingenti quantitativi di vino verso il Regno Unito, il Belgio e la Germania.
Con approfondimenti contabili e indagini finanziarie i finanzieri hanno ricostruito la filiera illecita e i sistemi di frode utilizzati per immettere in consumo vino, birra e superalcolici in evasione d’imposta.
Gli schemi fraudolenti utilizzati dall’organizzazione variavano a seconda che i
prodotti fossero destinati in Italia o all’estero.
Nel primo caso, le imprese produttrici operavano la cessione di modesti
quantitativi di vino a operatori economici compiacenti, emettendo regolare
documento di trasporto e fattura con applicazione dell’IVA.
A queste stesse ditte, in realtà, il vino veniva ceduto “in nero” in quantità ben
maggiori, grazie all’interposizione di imprese virtuali, senza un’effettiva
organizzazione aziendale, alle quali il prodotto veniva fittiziamente venduto
con false fatture, tra l’altro senza applicazione dell’IVA per effetto dell’utilizzo
di dichiarazioni attestanti l’intento di esportare la merce emesse dalle stesse
aziende fantasma.
Per le cessioni di prodotto nel territorio comunitario, invece, veniva
predisposto il documento univoco di accompagnamento prescritto dalla
normativa in materia di accise per i trasporti di prodotti alcolici.
Se, durante il tragitto per raggiungere la destinazione indicata nei documenti,
il carico non aveva subito controlli delle Autorità, la merce veniva dirottata, in
evasione di IVA e accise, presso siti di stoccaggio di soggetti terzi complici
dell’acquirente comunitario.
Lì, il documento di trasporto originariamente predisposto veniva sostituito con
altro attestante la cessione di pasta fresca, alimentari o succhi di frutta,
gravati da imposizione fiscale molto minore rispetto a quella prevista nei
Paesi nord-europei per i prodotti alcolici.
Tale procedura veniva ripetuta più volte, per cui a fronte di un unico
documento venivano effettuati numerosi trasporti, di cui solo l’ultimo era
regolarmente fatturato.
L’indebito risparmio d’imposta quantificato in relazione alla mancata
applicazione dell’accisa per le cessioni operate dall’organizzazione all’estero
è stato quantificato complessivamente in oltre 12 milioni di euro.
Per effetto del sistema di frode, inoltre, le imprese italiane coinvolte hanno
omesso di dichiarare ricavi per oltre 25 milioni di euro ed evaso l’IVA per oltre
7 milioni.
Parte dei proventi ottenuti dall’attività illecita è stata utilizzata da uno degli
arrestati per acquistare un immobile, intestandolo alla figlia, che è stata
denunciata per riciclaggio, in quanto risultata essere a conoscenza
dell’origine illecita della provvista di denaro.

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