20 Novembre 2018 - 13.49

VENETO ECONOMIA – Diamanti, un investimento che non brilla: ecco perché

di Umberto Baldo

Un adagio molto usato dalle nostre nonne, ora lo si sente citare meno, recitava “Chi va piano va sano e va lontano”. Si tratta a mio avviso del proverbio che meglio descrive come funzionano le cose in Italia. Il nostro è il Paese della “lentezza”. Tutto si stempera nel tempo, che scorre inesorabile quando si parla di “funzione pubblica”, dai tempi di realizzazione delle opere pubbliche alla giustizia. E’ da decenni che sentiamo i nostri politici prometterci “mirabolanti” rivoluzioni nella pubblica amministrazione, ma le cose poi restano sempre uguali, tristemente uguali. E’ evidente che si tratta di una “tassa occulta”, forse la più pesante, imposta a noi cittadini, ed al nostro tessuto produttivo in particolare, ma la cosa sembra non turbare Lor Signori. Questo è un Paese che ama le file, che ama la carta, che ama i timbri, che ama le autorizzazioni inutili, che ama i “ricorsi”, che crea sempre nuove Autority; che oltre a tutto, per tornare al proverbio, non è vero che ci portano “lontano”, bensì sempre più in coda alle classifiche internazionali. Per venire ad un esempio concreto, negli ultimi 15 anni alcune Banche hanno “favorito” alcune società specializzate nel “piazzare diamanti” a risparmiatori ansiosi di entrare nel business delle “lacrime degli dei”. Il collocamento di diamanti come “beni di investimento” ai clienti bancari è esploso durante la crisi finanziaria del 2008 grazie a un vuoto legislativo, in base al quale la vendita di pietre preziose non era considerata un “investimento finanziario”, bensì una mera operazione commerciale. In assenza nel contratto dell’indicazione di un rendimento, o di un impegno di riacquisto, Consob e Bankitalia avevano le mani legate, ed hanno solo potuto osservare impotenti il crescere del fenomeno.

Dopo le multe milionarie inflitte nel 2017 dall’ Antitrust alle Banche interessate per “le modalità di offerta dei diamanti (…) gravemente ingannevoli e omissive” (è in corso anche un’inchiesta per truffa), in ordine sparso gli Istituti bancari hanno tutti più o meno dichiarato la volontà di restituire integralmente ai clienti le somme a suo tempo investite in diamanti.

Ma nonostante la buona volontà conclamata, non risulta siano ad oggi molti i correntisti che siano rientrati dall’investimento. Il problema è che sul mercato quelle gemme valgono un terzo o un quarto del prezzo al quale furono collocate ai risparmiatori. E di conseguenza la restituzione totale del prezzo pagato all’atto dell’acquisto comporterebbe per le banche una perdita secca, e si sa che con questi chiari di luna i banchieri sono poco propensi ad aumentare le poste passive dei bilanci aziendali.

Quindi è prevedibile che il ristoro, ammesso che prima o poi avvenga, avrà tempi biblici, come usa nel Belpaese.

Lo schema della vendita prevedeva che intervenissero tre soggetti: il cliente-correntista, la società che commerciava i diamanti, ed un dipendente della Banca. La presentazione dell’ “affare” e il relativo perfezionamento del contratto di vendita/acquisto avveniva però sempre nei locali della Banca, per cui i clienti erano legittimamente indotti a pensare, come è avvenuto, che a vendergli le pietre fosse di fatto la Banca, che di fatto ai loro occhi diventava garante dell’investimento.

Evidentemente nessun si preoccupava di specificare al cliente che si trattava di una transazione speculativa, e che non era garantita la salvaguardia del capitale investito. Che poi si sarebbe rivelata comunque una bufala, dato che i diamanti valevano molto, ma molto meno del prezzo pagato all’acquisto.

Quindi è evidente che a spingere il business fossero le pingui commissioni riconosciute alle Banche dalle società “diamantifere”.

Anche a non voler essere maliziosi a tutti i costi, si scopre però che non è che nelle Banche tutti abbiano agito in buona fede. Domenica 18 novembre Il Gazzettino ha dedicato al tema un’intera pagina, riportante anche qualche testimonianza. Di queste rivelazioni basta leggere questo breve passaggio di un funzionario ora in pensione: “… Quello che mi stupisce è il fatto che la gente oggi non si precipiti in banca o dall’avvocato per chiedere la restituzione di somme talvolta ingenti. Venivano a rompere l’anima per chiedere chiarimenti sull’estratto conto se c’era un errore di tre euro, mentre a fronte della perdita di un patrimonio tacciono e continuano a riporre fiducia nella banca. Mi è capitato di sentire una signora anziana che commentava con un’amica: Hai visto che la Gabanelli non è più a Report? In banca mi hanno spiegato perché; aveva raccontato che le banche con i diamanti truffano la gente. Ma l’hanno mandata via perché, invece, la mia banca mi ha detto che non è vero e che posso stare tranquilla”.

Il punto sta proprio in quel “posso stare tranquilla” che deriva dalla fiducia che la signora ha nella propria banca, dalla quale non si aspetta “bidoni”, bensì proposte di investimento convenienti ed adatte al proprio profilo di rischio.

Negli ultimi anni alcune Banche si sono distinte in attività poco etiche, per usare un eufemismo, nei confronti di clienti ed azionisti. Molti veneti stanno ancora leccandosi le ferite delle note vicende che hanno interessato Popolare Vicentina e Veneto Banca. E molti sono anche coloro che sono stati convinti ad entrare nel business diamantifero.

La vicenda “diamanti” costituisce un altro tassello, sia pure meno devastante, della storia finanziaria recente, e non ha sicuramente contribuito a migliorare la reputazione delle Banche fra i cittadini.

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