16 Dicembre 2019 - 10.52

Tutti a salvare la Pop di Bari: ma Salvini, Renzi e M5S con le banche venete…

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di Stefano Diceopoli


Era il 15 settembre 2008.  Alle 13,45 ora italiana, Lehman Brothers dichiara fallimento, dopo un drammatico week end di trattative con le principali istituzioni finanziarie americane ed il Governo.
Quello fu il big bang del sistema bancario, il momento in cui tutto ebbe inizio. Il momento che fece precipitare l’economia mondiale nella peggior crisi dal tempo di quella epocale degli anni ’30 del novecento.  L’istituto newyorkese  dovette gettare la spugna a seguito del buco enorme causato dai cosiddetti mutui sub prime, bruciando attivi per 691 miliardi di dollari e lasciando a casa 25.000 dipendenti.
Fu la più grande bancarotta della storia degli Stati Uniti, e sono ancora impresse nei nostri occhi le immagini dei dipendenti che lasciano la sede della Banca con gli scatoloni in mano.
Con il senno di poi le stesse istituzioni americane che abbandonarono Lehman al proprio destino ammettono che quello fu un grande errore, perché palesò che anche le Banche potevano fallire.
Data l’integrazione raggiunta dall’economia internazionale, quell’evento causò un effetto contagio sui sistemi bancari di tutti gli Stati, e ciò anche perché i leader europei non vollero vedere cosa stava succedendo oltre Atlantico.
Ed i limiti dell’Eurozona divennero evidenti e drammatici quando la crisi arrivò anche nel vecchio continente, e la Bce perse molto tempo prima di applicare le “terapie” della Fed.
Di conseguenza molti istituti bancari europei andarono in affanno, e dovettero essere salvati.  Per limitarci a due soli esempi la spagnola Bankia, nella quale vennero fatte confluire sette entità finanziarie iberiche, e la nazionalizzazione di Royal Bank of Scotland del 2008, per la quale è iniziato il processo di riprivatizzazione.
La crisi ha determinato la necessità per l’Unione Europea di dotarsi di regole comuni per affrontare eventuali difficoltà di istituzioni finanziarie.
La risposta venne trovata nel cosiddetto bail.in, idea escogitata dalla commissione Europea e ratificata dal Parlamento entrata in vigore il 1° gennaio 2016.  Lo scopo è quello di far sì che le banche, come qualsiasi altra azienda o società siano in grado di sostenere i costi di una propria crisi.
Come?Attingendo alle risorse che già possiedono: asset, azioni ed obbligazioni, Titoli subordinati, obbligazioni bancarie non garantite e depositi superiori a 100 mila Euro (in casi estremamente gravi), cioè soldi dei risparmiatori.
C’è da dire che questa soluzione non ha trovato immediata applicazione, per i pesanti costi politici e sociali da pagare.  Per cui nelle crisi che si sono succedute in questi anni in vari Paesi europei si sono escogitate soluzioni atte a coinvolgere il meno possibile i risparmiatori, azionisti esclusi ovviamente.

La crisi inevitabilmente arrivò anche in Italia, e a voler essere onesti non ne siamo ancora usciti.
Il fallimento di Leham Brothers a mio avviso ha fissato un punto fermo, quello che una Banca non può fallire.  Una banca non è un’azienda qualsiasi, il cui eventuale fallimento è pur sempre un evento doloroso, ma limitato negli effetti.
Per una Banca, che lo si voglia o no, non è così.  Per tutte le implicazioni ed i rapporti che ciò comporta, senza poi contare l’effetto valanga che in un’economia aperta inevitabilmente si trasmette come un virus alle altre Banche, ed alla fine all’intero sistema Paese, debito pubblico in primis.
Negli ultimi quattro anni ciascun Governo ha avuto la sua crisi bancaria, ed ha dovuto correre ai ripari organizzando il relativo salvataggio.
Solo per ricapitolare;
2015: A fine novembre 2015 vengono poste in risoluzione Banca Etruria, Banca Marche, e la Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti.
2017: Fallito a fine 2016 l’aumento di capitale, il Ministero del Tesoro istituisce un Fondo di 20 miliardi al quale attinge nel 2017 per entrare nel capitale del Monte dei Paschi di Siena, di fatto nazionalizzandolo.
2017: E’ la volta delle due Popolari Venete.  Dopo varie vicissitudini, con il fallimento dell’intervento del Fondo Atlante, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, a rischio dissesto, vengono avviate alla liquidazione coatta.  Lo Stato interviene finanziariamente, ed i due Istituti vengono acquistati da Banca Intesa al valore simbolico di un euro.
2019:  il 2 gennaio Banca Carige viene commissariata.  A seguito di questa decisione il Governo stanzia 3 miliardi a garanzia delle nuove obbligazioni.  E’ di pochi giorni fa la conclusione positiva della terza tranche dell’aumento di capitale.
2019:  Arriva il momento di Popolare di Bari, la cui crisi si trascina  da tempo, tanto che venerdì 13 Banca d’Italia decide per il commissariamento. Ovviamente per fare fronte alla crisi di liquidità servono soldi, che il Governo si appresterebbe a fornire con un decreto legge.
Fin qui tutto nella norma, si potrebbe pensare.
Metabolizzato che far fallire una Banca comporterebbe oneri finanziari e reputazionali insostenibili, tanto da mettere a rischio il sistema Paese, il Governo di turno corre ai ripari, se necessario tirando fuori soldi.
Succede negli altri Paesi europei, senza traumi o tensioni.
Non è invece così in Italia, e questa è la vera anomalia del nostro Paese.
Perché qui da noi, nel clima di campagna elettorale permanente in cui siamo immersi, tutto è oggetto di aspro confronto politico, banche comprese.
E ciò viene favorito da un antico vezzo della politica italica, quello di interessarsi troppo di Banche.
Questo ha come corollario che non esiste uno schema fisso e condiviso da attivare in caso di crisi di una Banca, e tutto viene lasciato ai governanti del momento, ed alle loro sensibilità ed interessi politici.
Se a questo si aggiunge una retorica “anti banche” che alligna da tempo in alcune forze politiche, non ci si può stupire se ogni intervento a sostegno di un istituto in crisi innesca polemiche feroci fra maggioranza ed opposizione.
Se poi, come è accaduto nei mesi scorsi, l’opposizione diventa maggioranza, la frittata è fatta.
Non è utile ripercorrere dal punto di vista tecnico i vari interventi pubblici, ma è invece istruttivo ricordare le polemiche che li hanno accompagnati.
Così ad esempio quando nel 2015 Matteo Renzi varò l’operazione di salvataggio delle quattro piccole Banche dell’Italia centrale, applicando per la prima volta il Italia la direttiva del burden sharing il Movinento 5Stelle fece fuoco e fiamme, accusando il Governo di avere “in 25 minuti” dimezzato i risparmi di migliaia di risparmiatori.  Analogamente, la presenza ai vertici di Banca Etruria di Pierluigi Boschi, il padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi, fu l’innesco di una ulteriore campagna feroce dei pentastellati contro Matteo Renzi ed il suo Governo.
E quando venne la volta delle Banche venete si ricorda questa dichiarazione di Salvini: “Non si votano decreti come il salva-banche, un salasso ai danni di tutti gli italiani che non salverà peraltro i risparmiatori veneti”.  Forse il senso di questa frase era che se arrivava Banca Intesa una parte dell’economia veneta se ne sarebbe andata via.  Ma resta il fatto che con le Popolari venete il Governo di allora non ha fatto la stessa operazione di Mps, vale a dire un’iniezione di liquidità a salvaguardia della continuità dei due Istituti.   L’ermeneutica politica è sempre difficile se non impossibile, e forse non sapremo mai il vero senso delle parole di Salvini, che però non vennero lette bene da molti veneti, quasi una contrarietà a salvare Veneto Banca e la Vicentina.   Malumori che riaffioreranno certamente a fronte della determinazione che Salvini mostra relativamente alla Popolare di Bari: “Se salta la Popolare di Bari, salta la Puglia e salta l’Italia”.
Qualche “distonia” sembra averla colta anche Roberto Ciambretti, Presidente del Consiglio Regionale Veneto che ha espresso così le sue perplessità: “….Ci sono poi altri indizi inquietanti: pensiamo anche a come la vigilanza di Bankitalia avesse già individuato, almeno un anno prima delle banche venete, la situazione di grave squilibrio dei conti e l’esposizione eccessiva su crediti deteriorati, nessuno dette corso ai provvedimenti necessari. Insomma: due pesi e due misure e comportamenti completamente diversi rispetto a quanto accaduto in Veneto….”
Forse sono i miracoli della transizione da Lega Nord a Lega tout court!
Concludendo, sarebbe opportuno che finissero una buona volta le “relazioni pericolose” tra politica e banche, che chi deve vigilare “vigili” veramente senza far marcire le situazioni di crisi fino a rendere inevitabile l’intervento dello Stato con i nostri soldi,  che si fissi veramente un percorso unico e condiviso per tutte le crisi bancarie, ed infine che anche da noi si veda qualcuno di quei banchieri che hanno portato le loro banche al dissesto, con un bel pigiama a righe associato alle patrie galere.   Così avviene nei Paesi cosiddetti “civili”.
Stefano Diceopoli

 

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