20 Novembre 2016 - 9.32

Trump, i social e il pene degli antichi greci

Il pene piccolo delle statue dell’antica Grecia rappresenta un richiamo significativo per la nostra epoca, in declino di valori e prospettive.
Potrebbe sembrare non pertinente, ma non deve essere casuale se in internet, tra i link collegati a notizie relative alla nuova presidenza Trump, viene proposto un articolo dello scorso maggio de La Stampa, in cui si risponde al perché gli antichi greci venissero raffigurati con il proprio organo genitale di misura ridotta.
La spiegazione del professore Andrew Lear, docente ad Harvard, Columbia e New York University, è che i peni piccoli e non eretti erano al tempo associati alla moderazione, considerata virtù principale dell’ideale mascolino dell’epoca.
Non a caso, per lo studioso, i satiri, dediti ad alcol e lussuria, erano invece rappresentati con peni grandi ed eretti, come segno che l’artista non aveva alcun rispetto per loro e per ciò che rappresentavano.
Il fatto che la nostra epoca sempre più spesso e con enfasi sia contraddistinta da un crescente celodurismo ideologico e culturale, che si manifesta sempre più in un linguaggio aggressivo e provocatore, appare quindi del tutto coerente con il degrado che sta vivendo.
E Trump è solo l’ultimo profeta di questa tendenza, in cui il ragionamento e l’approfondimento dei temi sono relegati a inutili esercizi linguistici e intellettuali, deleterie perdite di tempo.
I populismi si imbevono di frasi retoriche e demagogiche, importanti se fanno presa sull’opinione pubblica e non le conseguenze che producono in quanto tali o nel loro significato.
È evidente in questo senso l’efficacia del proclama anti immigrazione di Trump, per la costruzione di un muro tra gli Stati Uniti il Messico.
Cosa poi questa proposta comporti in termini pratici, di effettiva realizzazione, di costi, di conseguenze umane e culturali, di coerenza, in un Paese in cui tutti i cittadini sono in qualche modo immigrati, diventa secondario.
Tutto ciò richiederebbe discussioni, valutazioni e approfondimenti, che vengono invece zittiti con la giustificazione che producono lungaggini e inefficienza in modelli di società, di economia e di relazioni umane sempre più improntate alla fretta e alla necessità di essere quanto più produttivi ed efficaci.
La verità è che il confronto deve essere marginalizzato e svilito, perché evidenzierebbe contraddizioni, farebbe sorgere dubbi, richiederebbe risposte concrete.
Inoltre il dialogo per essere costruttivo impone l’accettazione dell’esistenza dell’altro e delle sue opinioni, dalla consapevolezza che nessuno è depositario di verità assolute e che le differenze favoriscono lo sviluppo e la crescita collettiva.
E questo non può essere ammesso da chi si propone come portatore di soluzioni assolute e giuste, non necessariamente in quanto tali, ma giuste per il solo fatto che è lui a proporle.
In tutto ciò diventa secondario se poi quelle soluzioni saranno adottate.
Diventa secondario se il muro con il Messico verrà costruito realmente, perché, così non fosse, sarà sempre colpa di qualcun altro che lo ha impedito, non di chi lo ha proclamato.
È uno schema usato per vent’anni anche da Berlusconi, che tra i primi si presentò come anti politico e fece proposte mai realizzate, addossandone ad altri il fallimento.
Non a caso sosteneva che avrebbe dovuto avere da solo il 51% dei consensi per evitare, come un amministratore unico di una ditta Paese, ogni mediazione.
Una convinzione che prima o poi diventa di tutti quelli che si sentono portatori di verità: avvenne con Mussolini e Hitler, che sfruttarono democrazie immature e prive di contrappesi nella distribuzione dei poteri, e rischia di avvenire oggi in Europa e nel mondo, se chi si contrappone a queste idee non trova soluzioni efficaci e risposte concrete per i cittadini.
Soprattutto risposte che ripropongano concetti di aggregazione e pace sociale, perché i movimenti populisti si accompagnano sempre a logiche nazionaliste e a politiche che mai hanno alla base l’idea di unificare le persone, ma sempre di dividerle, di creare antagonismi, di esacerbare le differenze, di emarginare le minoranze.
Un mondo in cui viene alimentata rabbia e indignazione verso tutto e tutti, con un furore assoluto, giustificato da chi si trova in condizioni di difficoltà, ma che spesso riguarda anche chi non si vive in tale situazione.
Come quelli che si scagliano contro gli immigrati, perché rubano e portano via lavoro agli italiani e non hanno mai perso il lavoro per colpa loro e nemmeno sono mai stati da loro derubati.
Anzi magari ne hanno tra i colleghi più stimati, ma la loro indignazione non è certo verso chi conoscono, ma contro un’ideale di immigrati assoluto, dimenticando che quello concreto lo incontrano al bar sotto casa o in fabbrica o in ufficio tutti i giorni.
In quest’ambito un ruolo fondamentale è stato assunto dai social media, dove ognuno assurge a proclamatore di verità.
Facebook, Twitter o Instagram, solo per citarne alcuni tra i più famosi, sono la conseguenza di un mondo sempre più digitalizzato e tecnologico, ma allo stesso tempo sono diventati causa di ulteriori processi, che portano a ridurre gli spazi di confronto, soprattutto collettivo e di dibattito.
Attraverso i social si diffondono affermazioni in cui non c’è spazio per il dubbio o il riconoscimento dell’altro e delle sue ragioni.
In questo senso i social sono stati un potente alleato di Trump, che ora però è diventato l’estabilishment contro cui si scaglierà la rabbia che qualcun altro alimenterà, magari evidenziando l’ovvietà che difficilmente un miliardario potrà rappresentare un contadino della provincia americana per battersi contro il mondo delle banche e della finanza.
I social del resto possono essere anche un antidoto, non a caso il demagogo assurto al potere prova poi a limitarli, come nel caso di Erdogan in Turchia.
Per evitare il rischio che questi processi diventino ingestibili, con conseguenze politiche e sociali anche gravissime, servirebbe un po’ di moderazione, come quella rappresentata dai peni piccoli nelle statue del’Antica Grecia.
Ricordando magari che quella fu una delle epoche più virtuose e intellettualmente prolifiche dell’umanità.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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