17 Luglio 2020 - 12.40

Tatuaggi arroganti, il ‘male’ nelle spiagge

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di Alessandro Cammarano

Mia nonna, gran dama e donna di mondo, soleva dire che i tatuaggi “sono roba da marinai o da galeotti”; in effetti l’assunto corrispondeva a verità sino a non moltissimi anni fa, ovvero fino a quando l’arte del tattoo iniziò a diffondersi all’infuori di queste due categorie.

I primi a vedersi in un contesto differente da navi e celle furono quelli che facevano bella mostra di sé sulle braccia – bicipiti o mani, generalmente – dei figli dei fiori che ritornavano dai viaggi spirituali in India e zone limitrofe dove, oltre a “ritrovare se stessi”, esibivano il simbolo dello Yin e Yang, la manina di Fatima, l’occhio di Ra e similia.

Poi vennero i cuori trafitti, i “Maria ti amo” i “Peace and Love”. Da lì a quello che si vede oggi il tatuaggio di strada ne ha fatta, e pure parecchia, grazie anche ai personaggi più o meno noti dello spettacolo e del calcio che sfoggiano coloratissimi tazebao che li ricoprono dal collo alla punta dell’alluce quando non anche sul viso, in puro stile gang latinoamericana, con lacrime e affini. Al netto degli eccessi – e anche per non sembrare codini retrogradi – bisogna ammettere che in giro si vedono anche dei gran bei lavori, anche se chi scrive non si farebbe ma dipingere indelebilmente nessuna parte del corpo.

Venendo ad un esame più attento delle varie tipologie di tatuaggio, pratica che in periodo di invasione balneare post-pandemica risulta alquanto facile, ci si imbatte in diverse categorie, tutte interessanti.

Sulle spiagge nazional-popolari è ancora presente qualche strascico di vitellonismo, incarnato da ex palestrati settantenni e ancor fieri di addominali ormai trasformati in grembiulini che coprono le pudenda, che mostra teschi heavy-metal retaggi di concerti leggendari di agguerrite band germaniche dai nomi del tipo “Suspiria Cemetary” o “Death’s prophets” immortalati sulle scapole. Tremenda anche la signora non più freschissima, in bikini brasiliano fantasia animalier, che trent’anni or sono volle imprimere sulla chiappa destra l’effigie del diletto levriero afghano Saruk.

Oggi Saruk si è trasformato, causa inevitabile cedimento del gluteo, in Butch il bulldog. Fanno tenerezza gli ossuti – di solito maschi e giovani – che scelgono soggetti fantasy, tipo “Trono di Spade”: la scritta “Valar morgulis” campeggia su una coscia che pare un braccino e fa un po’ tristezza. Strepitose le donne aggressive, quelle che scelgono temi come intrighi di rose multicolori che, come una pianta vera, crescono negli anni: gli intrecci floreali partono timidi – la tatuata botanica chiede timida alla tatuatrice, che ha più piercing di un collare da mastino, “solo un bocciolo eh, che sennò mio marito mi cambia la serratura della porta di casa” – e negli anni crescono come Audrey la malefica pianta della “Piccola bottega degli orrori”, ingoiando lembi di pelle e proliferando fin sulla schiena e oltre. Interessante anche il tattoo “camouflage” che ne nasconde un altro, come la sinopia di un affresco, spesso imbarazzante. Gli adolescenti, ma anche qualcuno più in là con le primavere, abbacinati dal primo amore si fanno scrivere il nome dell’amato con tanto di data e frase ad effetto: ecco dunque “Denis 95 sei tutta la mia vita” o “Azzurra 87 ti amerò per sempre”. Peccato che poi la storia con Denis o Azzurra vadano in breve a farsi benedire e allora si deve correre ai ripari per nascondere il monumento all’avventatezza che spicca sulla schiena poco sotto alla terza lombare.

Di solito si ricorre ad un sobrio motivo tribale dove il nero prevalga su qualunque spazio vuoto. Teneroni le mamme e i papà che immortalano sul pettorale o sulla poppa la manina del frugolo appena nato, magari vicino alla zampa del gattino. Resta da dire del muscoloso – e della supertonica – che in spiaggia mettono in mostra capolavori sul genere dei cavalli paleolitici dipinti nella grotta di Lascaux, tutti sfumati e acquerellati che paiono vivi davvero; costo totale dell’opera intorno ai settemilacinquecento euro giusto perché il tatuatore è amico del cugino della cognata. Non credo, come sidiceva, che mi farò mai un tatuaggio, ma in caso di un momento di follia dopo una notte di bagordi, sceglierei uno degli omini di Jacovitti con un cartello con su scritto “Abbasso i tatuaggi!”.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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