6 Marzo 2020 - 10.30

Stranger Things: robe strambe di Vicenza (Capitolo 1)

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di Alessandro Cammarano

“Stranger Things” – nella lingua del Goldoni “Robe Strambe” – è una fortunata serie, proiettata già verso la quarta stagione, prodotta da Netflix, l’oramai irrinunciabile piattaforma streaming per l’intrattenimento.

Le vicende della banda di ragazzini alle prese con il soprannaturale spalanca un mondo parallelo che si chiama Sottosopra, che poi sarebbe una specie di versione horror del Paese delle Meraviglie in cui Lewis Carroll ambientò le avventure surreali della sua Alice. I piccoletti – novelli Goonies – si barcamenano con certo qual successo e tantissima ironia tra paranormale, turbe preadolescenziali, genitori “peculiari” e più in generale con un mondo di adulti che in confronto il Sottosopra è un villaggio vacanze di quelli esclusivissimi.

Il mostro dei mostri – che poi magari si scopre essere frutto di un esperimento militare supersegreto e non semplicemente il pupazzetto con il quale gli intrepidi pargoletti biciclettati si trastullano – fa di nome Demogorgone, che poi sarebbe quello descritto da Boccaccio nella sua Geneoalogia degli Dei Gentili; da notare che “gentile” è sinonimo di “pagano”, no che il dio di turno invece di folgorarti ti invita per un aperitivo.

Perché tutto questo preambolo? Perché anche a Vicenza di “Robe strambe” o, se preferite rimanere a fare i fighi con l’Inglese, di “Stranger Things” ce ne sono state e ce ne sono; sottoforma di oggetti e anche di fatti inspiegabili e allo stesso tempo parecchio inquietanti. Apriamo le danze con un oggetto misterioso che alcuni anni fa solleticò – il verbo scelto è tutt’altro che casuale – l’immaginazione dei vicentini in una fascia di età che andava dall’adolescenza alla vecchiaia. Verso la fine di Corso Palladio, sulla destra scendendo a Piazza Matteotti e subito dopo l’incrocio con Contrà Santa Barbara, aveva sede uno storico negozio di articoli sanitari; qualcuno se ne ricorda vero? Bene, nella vetrina di detto negozio, tra sandali Scholl Pescura – quelli di legno che il Flagellanti usano come cilicio pedestre – ginocchiere e fasce elastiche, un bel giorno fece la sua comparsa un oggetto cilindrico, ma con la punta prudentemente conica e arrotondata, che veniva presentato nel cartellino che lo accompagnava come “massaggiatore”. Certo che il color bianco sporco e l’evidente rigidità – absit iniuria verbis – della plastica non resero immediatamente chiara a tutti la vera natura del manufatto. I giovani maschi, eterosessuali e non, compresero quasi immediatamente di cosa si trattasse, tanto che la vetrina della sanitaria divenne durante i sabati pomeriggio di passeggio, ma anche all’uscita da scuola, meta di furtivi pellegrinaggi da parte di studenti ghignanti. I più sbruffoni lo confrontavano con i “mezzi” di cui disponevano mentre altri distoglievano lo sguardo per continuare l’esame del “massaggiatore” con la coda dell’occhio. Le ragazzine, ignare che di lì a qualche lustro avrebbero ricevuto a casa un’amica-dimostratrice con la sua “Valigia rossa”, si domandavano l’una con l’altra quale esattamente fosse la parte del corpo cui il massaggio dell’arnese fosse destinata. Gli uomini ridacchiavano, ma alcuni, forse umiliati, giravano la testa. Si racconta – ma con tutta probabilità si tratta di una leggenda metropolitana tipo coccodrilli nelle fogne – che una suora anziana sia entrata e abbia domandato al commesso esterrefatto se il ”coso” andasse a batterie. Bei tempi!!! Oggi ci dobbiamo accontentare di cose meno inquietanti ma comunque degne di una qualche considerazione. Tra gli X-Files berici non si può non considerare il mistero delle biciclette cannibalizzate. Mi spiego: ci sono velocipedi incatenati ai lampioni della città, senza distinzione di zone o quartieri, che giacciono per mesi senza che nessuno si occupi di loro. Che fine avrà fatto il proprietario? Quale astronave aliena lo avrà rapito? Poi, piano piano, pezzo a pezzo, la bicicletta scompare: un giorno una ruota, l’indomani il carter, dopo una settimana via il manubrio, fino a che non resta uno scheletro arrugginito e sinistro. I più arditi ipotizzano che i pezzi di bici vengano impiantati dagli alieni grigi sul povero rapito di cui sopra per dar vita ad un mostruoso Ciclantropo, mezzo uomo e mezzo bicicletta, parecchio più brutto del Demogorgone. Il terzo e non meno inquietante accadimento, che suppongo avvenga anche in altre città è quello che vede coinvolte auto in sosta e misteriosi biglietti da visita. Analizziamo i fatti: si parcheggia l’auto, ci si distrae per una frazione di secondo e…eccolo là! Il biglietto “Compro auto – telefona a Drako” o “Sono Milan e voglio la tua macchina”. Da dove salta fuori? Chi lo infila nello sportello? Mistero. L’aspirante compratore d’auto di turno ha preso lezioni da Houdini? È parente dell’Uomo Invisibile? Mah! L’unico che potrebbe sapere e dare una spiegazione è Roberto Giacobbo, quello di Voyager e del Chupacabra…ma pure lui fa più paura del Demogorgone. Alla Prossima.

(to be continued)

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