15 Luglio 2016 - 13.05

STRAGE DI NIZZA – La nostra arma è la libertà

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Ci risiamo.
Ancora dolore e sangue nelle strade francesi, ancora immagini di lampeggianti della polizia e delle ambulanze accesi, ancora video ripresi da dietro le transenne che separano da una strage di bambini, donne e uomini, che sappiamo giacere a pochi metri di distanza, inermi di fronte alla crudeltà e al desiderio distruttivo di altri esseri umani.
Ancora una volta il terrorismo attacca l’Europa ed entra nelle nostre case, attraverso il televisore, e nelle nostre anime, con la sua ferocia distruttiva.
Ancora una volta il dolore si attacca alla nostra pelle, ci entra nel corpo e nelle viscere e ci lascia attoniti, senza fiato, immobili, come quelle persone che hanno perso la vita per mano di chi colpendo loro vuole colpire tutti noi, la nostra vita e la nostra libertà.
Ancora una volta è iniziato e crescerà di ora in ora l’uso dei social come veicolo di un dibattito che parte dall’idea di reagire con determinazione e fermezza, anche militarmente.
Uno dei primi post letti su Facebook questa mattina è emblematico in questo senso.
Più meno diceva: “Una guerra si combatte ad armi pari, quanti ne dovranno morire prima che i governanti facciano qualcosa?”
Questo messaggio è indicativo di un’idea che molti stanno esprimendo ed esprimeranno in vari modi, sui vari social, nei bar, durante la pausa caffè, o in una cena fra amici.
La diranno con tante parole in più anche molti politici, quelli che sono contro l’immigrazione, che sostengono la superiorità della nostra civiltà, ma sono poi gli stessi che odiano l’Europa unita, hanno inneggiato alla Brexit e sostengono idee nazionaliste.
Quelli che non vogliono gli stranieri, mai, quando sono extracomunitari, come oggi peraltro sono diventati gli inglesi, ma anche quando sono comunitari e se anche fosse così, non vorrebbero nella loro regione quelli di un’altra regione o nella propria città quelli di un’altra città.
C’è sempre uno straniero rispetto a se stessi e quindi, di fronte alla strage, soggiogati dal dolore e dalla paura, ancora una volta dilagherà l’idea che la scelta migliore sia quella che appare la più semplice, quella di escludere e combattere in modo armato, quella di rispondere all’odio con l’odio, alla violenza con la violenza.
Una scelta che però non sarebbe senza conseguenze, perché vorrebbe dire rinnegare la nostra civiltà, che consideriamo più evoluta di altre, le nostre società aperte, democratiche, i nostri Stati di diritto, la nostra idea di libertà e democrazia, dove ogni essere umano è libero fin dove inizia la libertà dell’altro, dove ognuno ha doveri e diritti, tra cui quello fondamentale di poter professare il proprio credo religioso.
Quella che sembra una scelta di forza in realtà sarebbe una sconfitta e un atto di viltà, perché prendere la via più semplice è una decisione di comodo, mentre ci vuole ben più coraggio e determinazione per rispondere a chi vuole cambiare il nostro modo di vivere con la strenua volontà di rimanere quelli che siamo.
Rispondere al male con la determinazione del bene è un fondamentale insegnamento di Cristo ed è un baluardo di quella religione cattolica, che gli stessi che vogliono difendere sarebbero pronti a rinnegare, per accettare di utilizzare i comportamenti dei terroristi e l’impostazione ideologica dell’islam radicale.
Ancora una volta ci troviamo quindi a parlare di questi temi, perché qualcuno ha deciso di attaccare persone inermi, durante la loro vita normale.
Questa volta chi lo ha fatto si è messo alla guida di un camion e lo ha lanciato come una bomba contro la folla inerme, che passeggiava sulla Promenade di Nizza, durante i festeggiamenti del 14 luglio.
L’attentatore pare sia un franco tunisino, residente a Nizza.
Da quanto si sa finora era conosciuto alle forze di polizia per alcuni reati minori, ma non aveva alcun collegamento con frange terroristiche.
L’Isis inneggia alla strage e festeggia morti civili innocenti, ma questa volta potrebbe non essere mandante diretta, costretta com’è dal contrattacco della coalizione internazionale a ripiegare dalle città che aveva conquistato.
È ancora presto per avere certezze, ma quella di Nizza potrebbe quindi essere un’azione di matrice terroristica, senza però la regia del califfato.
Un’azione isolata, che, in caso, renderebbe anche difficile comprendere dov’è il confine tra il movente terroristico e l’iniziativa di una persona squilibrata, che sfoga la sua rabbia attraverso una strage di massa, come chi imbraccia un fucile a Dallas e spara sui poliziotti o come il pilota d’aereo suicida che porta con sé alla morte tutti i passeggeri.
Quel labile confine dimostra l’aspetto inquietante che contro un fatto del genere non può esistere prevenzione investigativa assoluta da parte dell’intelligence, ma allo stesso tempo potrebbe significare, che se il pericolo è un atto di questo tipo le contromisure rispetto a un’azione coordinata stanno funzionando.
Perché in realtà la guerra al terrore che qualcuno invoca e vorrebbe mettere in atto, noi la stiamo facendo quotidianamente, prendendo un treno, andando in metropolitana, a teatro o allo stadio.
La stavano facendo ieri sera migliaia di persone che passeggiavano per Nizza.
84 fra loro sono cadute come fossero in battaglia e dobbiamo celebrarle come martiri della libertà.
Perché la nostra arma più micidiale, non è da fuoco, ma è proprio la libertà e rinunciarvi significherebbe davvero essere indifesi.
Noi quell’arma la imbracciamo tutti i giorni e se continueremo a farlo, anche se con il dolore nel cuore e la paura nella testa, ogni volta faremo un passo verso la vittoria nei confronti di chi semina solo odio e violenza.
Perché, per paradosso, proprio una strage come quella di Nizza, la sua dinamica e la sua follia, dimostra che quella guerra la stiamo combattendo. E vincendo.

Marco Osti

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