11 Novembre 2019 - 16.07

SPAGNA – Un parlamento all’italiana, ma senza italiani in grado di gestirlo

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di Umberto Baldo

Nell’ultimo trimestre del 2018 il maggior contributo alla crescita dell’Eurozona è arrivato dalla Spagna.  L’anno scorso il Pil iberico ha chiuso con un rotondo 2,6%, quinto anno consecutivo di robusta crescita, e le previsioni sono per una continuazione di questo trend anche nei prossimi anni .La domanda che molti analisti si pongono è: fino a quanto potrà continuare questo “milagro” spagnolo? Il problema vero può venire dall’instabilità della politica spagnola, che sta subendo una vera e propria “balcanizzazione”. La riprova l’abbiamo avuta con le elezioni politiche del 10 novembre scorso, tenutesi ad appena sei mesi dalle precedenti legislative, ma per la quarta volta in quattro anni. Ricordate Felipe Gonzalez, il grande leader socialista che guidò la Spagna nel periodo del post franchismo per 13 anni?  In una intervista del 2015, parlando del futuro della politica spagnola disse: “Avremo un Parlamento all’italiana, senza italiani in grado di gestirlo”. Un’analisi apparentemente spietata, ma assolutamente azzeccata.

Per capirlo vediamo le forze politiche che hanno partecipato alle elezioni del 10 novembre, con i relativi risultati:

PSOE: Partito Socialista  Operaio Spagnolo. Ha ottenuto il 28% e 120 seggi.

PP: Partito Popolare.  20,82% e 88 seggi.

VOX: Nuovo partito della destra. 15,09% e 52 seggi 

UP:  Unidos Podemos.  12,84% e 35 seggi.

ERC-SOBIRANISTES: Esquerra Republicana de Catalunya. 3,61 e 13 seggi

CIUDADANOS: 6,79% e 10 seggi

JXCAT-JUNTS: Uniti per la Catalogna. 2,19% e 8 seggi

PNV: Partito Nazionalista Basco. 1,57% e 7 seggi

EH BILDU: Euskal Herria Bildu (Paesi Baschi Uniti). 1,15% e 5 seggi

MP:  Verdi. 2,30% e 3 seggi

CUP PR:  Candidatura di Unidad Popular (catalani indipendentisti)1,01% e 2 seggi

CCA-PNC-NC:  Coalition Canaria 0,51% e 2 seggi

NA+:  Partito delle Canarie 0,41% e 2 seggi

BNG:  Blocco Nazionalista Galiziano 0,50% e 1 seggio

PRC:  Partito comunista 0,28 e 1 seggio

TERUEL EXISTE: Partito locale 00,8% e 1 seggio

Scorrendo questa lunga lista di partiti, non è certo necessario essere politici esperti per capire dov’è il problema!

Ed il problema è che per la quarta volta in Spagna non ha vinto nessuno, almeno ai fini delle governabilità. Pedro Sanchez, il premier uscente ha evidentemente perso la scommessa delle urne.  Di fronte all’impossibilità di costituire un governo con i numeri del precedente parlamento, Sanchez ha pensato che il popolo avrebbe fatto chiarezza, indicando una netta maggioranza, a suo favore ovviamente. Di fatto è stato un suicidio, in quanto non solo ha perso 3 seggi, pur rimanendo il primo Partito spagnolo, ma quel che più conta è che nel complesso la sinistra (izqueirda) cala in seggi, rendendo di fatto impossibile una maggioranza, a meno di non imbarcare un “melange” di indipendentismi e autonomismi;  dai catalani ai  baschi, ai navarrini.  Il calo più vistoso a sinistra è quello di Podemos di Pablo Iglesias, che stavolta non ha potuto certo festeggiare la vittoria cantando “El pueblo unito jamàs sera vencìdo”, come succedeva in altri tempi. Tutti i movimenti indipendentisti dalla frammentazione del Parlamento vedono aumentare il proprio potere di interdizione. Ad esempio in Catalogna il primo Partito è la Sinistra Repubblicana, il  cui capo politico  Oriol Junqueras è detenuto nelle patrie galere iberiche.  E otto seggi alle Cortes li conquistano anche i separatisti duri e puri di Junts, che fino ad ora avevano disertato le elezioni nazionali per non riconoscere di fatto il potere di Madrid.  Ma qualche seggio se lo sono portati a casa anche gli autonomisti delle Canarie, delle Baleari, della Cantabria, della Galizia. E a destra (derecha) cosa è successo?Anche da questa parte i numeri testimoniano l’impossibilità di costituire una maggioranza, che ricordiamo alle Cortes è di 176 seggi. Il Partito Popolare di Pablo Casado si è risollevato dalla batosta delle ultime elezioni del 28 aprile, aumentando percentuale e seggi (+22). Ma questo a scapito di Ciudadanos di Albert Rivera, un movimento centrista che due anni fa era il primo nei sondaggi, e che ora ha raccolto un misero 6%.Ad essere onesti a destra un vero vincitore c’è! Ed è il movimento VOX, che alle Cortes passa da zero a 52 seggi, diventando il terzo partito di Spagna. I complimenti rivolti da Matteo Salvini e dalla Le Pen a Santiago Abascal, leader di Vox, sicuramente solleveranno polemiche e proteste.“Dio, Patria, Famiglia e Corrida”: in queste quattro parole si potrebbe riassumere il programma di Abascal. Ma a ben guardare, al di là degli slogan, della retorica, dell’antifascismo da “bella ciao”, si tratta delle stesse parole d’ordine che hanno decretato il successo dei partiti sovranisti nel resto d’Europa. Abascal propugna un rafforzamento della lotta contro l’immigrazione clandestina, è contrario a qualsiasi forma di indipendenza regionale, e per ribadire meglio il suo pensiero chiede che vengano ridotti gli spazi di autonomia di tutte le regioni spagnole, ovviamente a partire dalla Catalogna. Sul Franchismo, respinge di essere un “nostalgico” del regime, ma si è opposto alla recente traslazione delle spoglie del “caudillo” dalla Valle de Los Caidos. E’ contrario all’aborto, ai matrimoni omosessuali, è per la difesa delle tradizioni religiose e per le chiusura delle moschee.Un po’ folkloristiche le sue idee a favore delle corride e della caccia. Certo qualche punto su cui discutere ci sarebbe.  Ma gli ideali anti-musulmani, anti-femministi, nazionalisti, euroscettici, conservatori ma liberali in economia, sono poi tanto diversi da quelli di tutti gli altri movimenti sovranisti europei? Ecco perché parlare di “rinascita del franchismo” lo trovo francamente fuori luogo. Abascal, e la sua creatura Vox, hanno semplicemente beneficiato della polarizzazione provocata dall’emergenza della questione indipendentista.  In altre parole il successo di Vox è dovuto all’inasprirsi della “questione catalana”, aggravata dall’incapacità di costituire una valida maggioranza parlamentare a Madrid. Il vero problema della democrazia spagnola  è che qualcosa si è bloccato nella vita politica, che dopo il ritorno della democrazia e la morte di Franco era stata dominata da due grandi partiti, i socialisti e i conservatori.Per questo penso siano state profetiche le parole di Felipe Gonzalez. I leader politici spagnoli, dopo la caduta della dittatura franchista, si erano abituati alla cosiddetta “alternanza” di Governo.   Con un solo partito dominante a vincere volta per volta le elezioni. Per spiegarmi meglio, quella che manca in Spagna è la “cultura delle coalizioni”, che ha da sempre caratterizzato la politica italiana. Finché è andata bene, socialisti e popolari si sono alternati alla guida dei Governi di Madrid. Ma quando è arrivata la “frammentazione” politica, il “giocattolo si è rotto”, e questo Gonzalez lo aveva capito in anticipo.

Il risultato è quello che abbiamo davanti agli occhi, con le Cortes frammentate, con una mancanza di “chimica” personale fra i vari leader, con una situazione di incertezza permanente, che non esclude un eventuale quinto ritorno alle urne in tempi brevi. Io credo che la sola soluzione possibile, l’unica in grado di far uscire la politica spagnola dal pantano in cui si è cacciata, sia una “coalizione alla tedesca”, fra Socialisti e Popolari.   Ma so bene che questa strada è irta di ostacoli, perché presuppone un cambio di mentalità. C’è da dire, in conclusione, che la frammentazione non è appannaggio esclusivo della Spagna.   E’ un fenomeno che si presenta in quasi tutte le democrazie europee, colpite dalla crisi dei grandi partiti di governo. Accade in Francia, in Italia, e nella maggior parte delle vecchie democrazie, Germania compresa, dove la grande coalizione destra-sinistra sembra non avere più futuro, e dove una nuova destra estrema cresce elezione dopo elezione.  Anche gli Inglesi voteranno fra tre settimane, anche in questo caso anticipatamente, per tentare di uscire dall’impasse in cui si trovano ormai da tre anni. Si potrebbe quindi pensare che ad essere rimessa in discussione sia la stessa democrazia rappresentativa. Gli elettori hanno cioè la sensazione che il voto non possa cambiare le loro vite perché le decisioni non dipendono più dalle urne, ma da altri fattori.   Occorre che le classi dirigenti europee si impegnino per invertire questa tendenza, perché sarà anche vero, come diceva Winston Churchill che la “democrazia è il peggiore dei sistemi, fatta eccezione per tutti gli altri”, ma al momento non abbiamo ancora trovato qualcosa di meglio.

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