13 Febbraio 2017 - 10.29

SCUOLA – Dal Masotto di Noventa, in nome della lingua italiana

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Riceviamo e pubblichiamo una breve lettera scritta da Maria Dal Molin, insegnante all’IIS Masotto di Noventa Vicentina. Un contributo importante nel dibattito sul futuro della scuola italiana, stretta fra sperimentazioni scuola-lavoro sempre più pressanti e un graduale abbandono di materie umanistiche che contribuirebbero non solo a rafforzare una coscienza civica dei cittadini più giovani, ma anche dare loro strumenti inaspettati. Un utile e contributo dal retro-gusto amaro, vale la pena di leggerlo.

“Da più di vent’anni insegno italiano nella scuola pubblica e, riguardo ai recenti articoli apparsi in questi giorni sullo stato di salute della nostra lingua, mi sembra necessario fare alcune considerazioni.
Innanzitutto consiglio la lettura di un piccolo grande libro, L’utilità dell’inutile (Nuccio Ordine, Bompiani, 2013), che mi sembra spiegare molto bene quali politiche e mentalità abbiano portato alla situazione che è sotto gli occhi di tutti. Viviamo in una società dove ciò che conta è solo l’utile, il guadagno: l’obiettivo per un giovane non è cercare di realizzare se stesso, ma trovare il prima possibile un’occupazione remunerativa. Quindi è del tutto inutile studiare materie “che non servono”, come il latino o (fino a qualche ministro fa) la storia dell’arte.
Tutto questo sempre perseguito con forza dai vari ministri della Pubblica Istruzione che si sono avvicendati negli anni.
Paradossale che le scelte attuate “dall’alto” non vengano mai neanche lontanamente coinvolte (non dico rese responsabili) in questo scempio della cultura e della scuola pubblica. Con qualche eccezione come l’intervento di Curzio Maltese (Il Venerdì di Repubblica, 16 dicembre 2016 ) o il bell’articolo di Ernesto Galli della Loggia apparso ne Il Corriere della Sera (martedì 7 febbraio 2017).
Anche l’ultima ennesima riforma canalizza tutti gli sforzi della scuola superiore nella realizzazione del percorso di Alternanza Scuola-Lavoro, come se l’unica priorità della scuola fosse inserire gli studenti in un mondo, quello del lavoro, dove comunque dovranno concentrare le loro energie per gran parte della loro vita, invece di cercare di approfondirne la formazione culturale e aiutarli a trovare la propria strada, nella vita, come uomini e cittadini.
Per ultimo vorrei sottolineare questo: non si può coltivare ciò che non si ama. La nostra lingua, così maltrattata e mal conosciuta, dovrebbe essere prima di tutto amata. Dagli studenti, dalla società in generale, così come è certamente amata da chi, nonostante tutto, ha ancora la voglia di insegnarla.
La grammatica è una canzone dolce (E. Orsenna, Salani, 2002)”.

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