31 Marzo 2020 - 16.43

SCUOLA CAOS – Impreparati davanti al Coronavirus

di Stefano Diceopoli


Già le normali interruzioni dell’anno scolastico, Natale, Carnevale, settimana bianca, e anche i lunghi mesi estivi, generano problemi ai genitori, costretti spesso in quei periodi a prendere ferie o permessi per accudire i pargoli, soprattutto i più piccoli.

Non meravigli se questi problemi si siano ingigantiti dopo la chiusura precauzionale delle scuole di ogni ordine e grado decisa dal Governo il 23 febbraio per Veneto e Lombardia, ed il 5 marzo per il resto d’Italia, nell’ambito delle misure mirate a contrastare la diffusione del coronavirus.

La fatidica data del 3 aprile, giorno in cui scadrebbe l’attuale decreto di sospensione delle lezioni, è ormai assodato che sarà prorogata, a questo punto immagino “sine die”, anche perchè fissare una data di “fine emergenza”, allo stato attuale dell’epidemia, assomiglierebbe molto ad un vaticinio.  Quindi molto meglio essere realisti e dire “Si riaprirà quando le condizioni lo permetteranno!”.

Ma come in generale il nostro Paese si è mostrato piuttosto impreparato a gestire questo “accidente della storia”, e si dibatte ancora fra i sostenitori del “chiudere tutto” e quelli invece che caldeggiano atteggiamenti meno drastici, è facile immaginare le difficoltà innescate in una scuola piuttosto disastrata, in cui mancano sapone e carta igienica, ed in cui non sono del tutto sicuri neanche i soffitti.

Ricordo ancora la Ministra Azzolina, la quale, con il piglio di un Churchill, all’atto della serrata delle aule lanciò lo slogan “lezioni on line”. Con la sicurezza di chi ritiene di essere alla guida di una portaerei super tecnologica, piuttosto che di un rimorchiatore nemmeno in perfetta efficienza, qual è la scuola nel nostro Paese.

Belle parole!   Ma la pratica è un’altra cosa. Perchè, è inutile negarlo, la nostra scuola si è fatta trovare impreparata, e sin qui nulla da eccepire vista l’imprevedibilità dell’epidemia, ma soprattutto  sta evidenziando  una profonda incapacità di reagire in tempi rapidi, per cause che vanno dalla carenza di device e sussidi informatici, alla incompetenza tecnologica di parte del corpo insegnante. Per carità, fare didattica a distanza è un’impresa titanica date le condizioni in cui versa da decenni la nostra pubblica istruzione, ma dobbiamo comunque lodare gli sforzi con cui moltissimi insegnanti cercano con un notevole impegno individuale di fare del loro meglio, cercando di colmare la carenza di sussidi informatici, libri digitali, applicazioni. Quello che è suonato “stonato” è stato il tono trionfalistico della Ministra, come se fosse a capo di una multinazionale informatica, in cui basta dire “da oggi tutto on line” per attivare la didattica a distanza.E la conseguenza, facilmente prevedibile, è quello che sta accadendo nella maggior parte delle scuole, in cui i docenti non sono in grado di svolgere delle vere video-lezioni, e si limitano ad assegnare compiti.Quindi si hanno notizie di dieci pagine di grammatica in un giorno, venti schede di matematica, ricerche ed esercizi, compiti scritti, da elaborare e consegnare sulle piattaforme digitali.Con il risultato, come dicevamo, che vengono assegnati compiti, tanti compiti, forse troppi compiti, soprattutto nelle scuole primarie e nelle medie, finendo per scaricare l’onere sui genitori, costretti ad improvvisarsi insegnanti. E qui viene a galla un altro snodo non di poco conto.Molti mamme o papà non hanno le basi e le cognizioni culturali per assistere i figli nell’apprendimento.  E non mi riferisco solo alle famiglie di immigrati, che spesso hanno difficoltà a padroneggiare persino l’italiano.Per di più ci sono nuclei familiari che non hanno neppure gli strumenti tecnici per consentire ai bambini di seguire la didattica on line. Famiglie in cui in casa c’è un solo Personal Computer, con il quale i genitori debbono magari anche lavorare in modalità smart working, di fatto dovendolo dividere con i pargoli. Ma in alcune aree del Paese, e badate bene anche del Nord, ci sono anche seri problemi di collegamento, con connessioni internet poco potenti, e a volte assenti.In pratica in questi giorni ci sono molte famiglie che stanno vivendo male, perchè hanno scoperto di non avere le basi culturali, la pazienza ed il tempo per sostituirsi ai docenti.E’ chiaro che i problemi maggiori si hanno nella scuola primaria, quella che ai miei tempi si chiamava “elementare”; alle superiori i ragazzi e le ragazze sono in grado di gestirsi da soli.Riassumendo, al di là del “lezioni on line !” della Ministra, la qualità della scuola ai tempi del coronavirus dipende da condizioni esterne allo studente; se  si ha un PC a disposizione, se le maestre sono portate all’uso della tecnologia, se i genitori hanno il tempo e le cognizioni per sostituire gli insegnanti. Non vorrei trasformare la Azzolina nell’unica responsabile di una situazione che, in generale, vede addirittura la carenza di mascherine.Ma ciò non vuol dire sostenere che tutto vada bene, perchè al momento sentiamo molti “vedremo”, molti “provvederemo”, che sanno più di speranze e pie illusioni piuttosto che di cose concrete. Va preso atto che l’emergenza coronavirus ha evidenziato le carenze della scuola italiana, cui in qualche modo bisognerà porre degli argini nel futuro.  A partire dagli insegnanti, se è vero il dato riportato dai media secondo cui solo il 20% dei docenti ha seguito corsi di alfabetizzazione digitale; mentre il 40% sarebbe disponibile a farli, ed il restante 40% del tutto contrario. Anche perchè quello che abbiamo visto oggi con questa emergenza sanitaria potrebbe riproporsi in un futuro non troppo lontano, magari in conseguenza di eventi climatici estremi. A generare spaesamento fra i genitori c’è poi il tema degli esami di fine ciclo, quelli di terza media e quelli di maturità. Tutti ovviamente a chiedersi: cosà succederà?Fra tanti “se” e tanti “ma”, l’ipotesi che l’anno scolastico possa concludersi senza insegnanti e studenti fra i banchi è lontana dall’essere tramontata. In primis non mi preoccuperei sulla “validità dell’anno scolastico” che, come sappiamo, è legata al numero dei giorni effettivi di lezione, che sono 200.Diciamoci la verità; si tratta di una norma dello Stato, e come tale può essere modificata o derogata in ogni momento.Oltre a tutto non credo ci sia in giro nessuno “sano di mente” che pensi di tirare fuori la bubola dei 200 giorni nelle condizioni in cui ci troviamo, con un Paese, ed un mondo, in gran parte chiuso in casa per evitare il contagio.Mi sembra poi impensabile, sempre parlando di “sani di mente”, ipotizzare prolungamenti dell’anno scolastico nei mesi estivi.A parte il caldo, mi sembrerebbe una ulteriore crudeltà inflitta agli italiani, sempre ammesso che per l’estate la pandemia sia finita, cosa non del tutto scontata a sentire gli epidemiologi. Quindi tranquilli, ci sarà la sanatoria finale, e nel bene o nel male gli esami si faranno nei tempi consueti.Le modalità dipenderanno dalle condizioni sanitarie che ci saranno da qui a qualche mese. E mi sembrano inutili, anche se comprensibili, le prese di posizione della Ministra Azzolina contro il cosiddetto “6 politico”.Certo il “todos caballeros” soprattutto per chi studia e si impegna non è certo la soluzione più giusta, ma ad essere realista voglio proprio vedere gli insegnanti che, in queste condizioni, avrebbero il coraggio di bocciare qualche alunno.  Magari anche solo per paura dell’immancabile pioggia di ricorsi che si abbatterebbe sulla scuola.Io credo che al di là delle elucubrazioni, degli studi, dei calcoli, degli scenari, dei “veicoli normativi” che, apprendiamo dai media, stanno impegnando le menti dei dirigenti del Ministero dell’Istruzione, come sempre guardare al passato, alla nostra storia, possa suggerire la soluzione. Ed il precedente più vicino è quello del 1943, anno di guerra.Ebbene, nel 1943, con gli anglo-americani che stavano sbarcando in Sicilia,  gli esami di maturità vennero aboliti, e furono sostituiti dagli scrutini.Non successe niente.  Quel mancato esame non impedì il formarsi di una classe di intellettuali che tanto hanno dato al Paese nei decenni successivi, e che furono determinanti per la rinascita dopo la dittatura e la guerra. E forse una scelta come questa potrebbe finalmente mettere nella giusta prospettiva un esame che ormai è un mero passaggio amministrativo, che nulla aggiunge alla qualità di uno studente.  La sanno tutti gli addetti ai lavori, anche se le famiglie sembrano ancora legate a questo “stantio rito di passaggio” che negli anni, fra “buste” e cambi di materie, assomiglia sempre più ad una burletta.E poi, ancor di più in questi giorni, vale  sempre il detto “meglio un asino vivo che un dottore morto”.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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