2 Novembre 2017 - 9.23

REFERENDUM AUTONOMIA: Chi sta bluffando?

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di Marco Osti

In pochi giorni il referendum sull’Autonomia, celebrato domenica 22 ottobre in Lombardia e Veneto, si è trasformato da opportunità a possibile problema e terreno di scontro con il Governo, ma, soprattutto, all’interno della Lega Nord.

Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha ammesso di essere rimasto spiazzato dalla decisione assunta dal suo compagno di partito e omologo Luca Zaia, di chiedere il riconoscimento di regione a Statuto Speciale per il Veneto.

Questa posizione ha infatti visto una ferma opposizione da parte del Governo, che su queste basi si è detto indisponibile a un confronto, dato che per tale procedura la competenza è del Parlamento.

Prima di questa accelerazione l’Esecutivo aveva però mostrato aperture al dialogo, Maroni si è quindi lamentato per essersi trovato da solo in questa possibile trattativa sui punti per i quali chiede maggiore autonomia per la Lombardia, in linea con l’articolo 116 della Costituzione, mentre avrebbe preferito procedere forte dell’alleanza fra le due regioni.

Zaia peraltro ha preso la sua iniziativa anche senza averla prima condivisa con Matteo Salvini, che dopo il referendum di domenica aveva esultato per i risultati conseguiti.

Il leader della Lega Nord ha infatti evidenziato il valore della consultazione referendaria in relazione a processi autonomisti, ma stando attento a non porsi in contrapposizione al sud e a regioni a statuto speciale come la Sicilia, in coerenza con il percorso da tempo intrapreso per accreditarsi come leader nazionale e prossimo candidato premier.

In questo scenario Zaia emerge come il più intraprendente nel cavalcare il voto, per ergersi a paladino e fautore di rivendicazioni venete, anche nella massima portata di quelle prospettate dal quesito del referendum veneto.

Maroni si distingue per il suo tentativo di diventare autorevole e primario interlocutore del Governo, nel processo di rivendicazione autonomista della Lombardia.

Salvini proietta invece queste iniziative in un più ampio percorso di sostegno alla sua candidatura alla guida del Paese, per la quale ha però bisogno della destra più radicale, sua alleata per sostenere battaglie contro l’immigrazione, di cui però è chiara l’impronta nazionalistica antitetica a logiche divisive del Paese.

Sembra quindi emergere che tutti i protagonisti della vicenda siano interessati a utilizzare la chiamata al voto di Lombardia e Veneto per accreditare propri programmi politici, se non accreditamenti personali rispetto a possibili futuri scenari, piuttosto che essere parte, insieme ad altre iniziative coordinate, di un progetto di partito complessivo e condiviso.

Questi posizionamenti appaiono infatti coerenti con future candidature dei protagonisti, che potrebbero anche prefigurare una loro contrapposizione all’interno della Lega Nord, con conseguenti scenari alternativi agli attuali in termine di asse politico e in tema di possibili alleanze e coalizioni.

In tutto ciò sfuma in secondo piano il tema per cui oltre 5 milioni di cittadini domenica 22 ottobre si sono recati alle urne, per un voto che, già alla vigilia, aveva sollevato più di una polemica per i costi che comportava, alla luce di una consultazione che non avrebbe prodotto alcun effetto concreto, se non una espressione di volontà e sostegno ai progetti regionali di autonomia.

Già oggi questo argomento è scomparso dai giornali e dal dibattito politico, il risultato del referendum sembra dimenticato e cresce la sensazione che la chiamata al voto sia stata di fatto una grande operazione di matrice populistica, utile, per chi l’ha promossa, a raccogliere e misurare il suo consenso.

Quelle operazioni che fanno allontanare le persone dalla politica e sprecano denaro pubblico contro le quali si scaglia spesso la Lega Nord, quando critica l’operato degli altri partiti.

I protagonisti sono chiamati a smentire questa sensazione e a un’assunzione di responsabilità, per dimostrare che non si è davvero messo in scena un grande bluff per i cittadini, per fini propagandistici o elettorali.

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