3 Novembre 2020 - 10.32

Rancori da Covid: giovani contro anziani

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di Umberto Baldo

Domenica 1 novembre, festa di Ognissanti, immagino non vi sia sfuggito questo tweet del Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti: “Per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid 19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate”.
Inevitabile la bufera mediatica, dilagata in breve anche su Facebook e WhatsApp, che si è abbattuta sul Governatore, costretto a scusarsi pubblicamente per il “cinguettio”, a suo avviso male interpretato.
Vi confesso che mi è venuto spontaneo pensare che chi immaginava che dalla tragedia del Covid saremmo usciti tutti migliori dovrà ricredersi.
E non è solo il messaggio di Toti, del quale voglio sperare la buona fede anche se invito lui e tutti i politici a stare lontani dai social, scrivendo di meno e facendo di più, ad indurmi a questa constatazione “non ottimistica”.
Sempre il giorno della Festa di Ognissanti in quel di Padova, in Piazza Antenore per la precisione, una trentina di persone appartenenti al mondo no vax, no mask, no covid, ha manifestato contro l’obbligo della mascherina, descritta come un simbolo di sottomissione. Le idee che circolavano in quel “raduno” sono state espresse bene da una manifestante, così riportate sui media. “Ora ci portano via di peso se non abbiamo la mascherina”, ha detto puntando il dito contro carabinieri, poliziotti e vigili urbani che tenevano sotto controllo la manifestazione. “Spero che tutti tengano aperto e se ci sarà un lockdown uscirò senza mascherina perché il Covid è solo un’influenza. Il primo paziente di Vo’ non è morto di coronavirus, e se queste mascherine che ci obbligano a indossare funzionassero davvero non aumenterebbero i contagi». E poi l’apoteosi: ”Gli anziani vogliono campare 120 anni” ha urlato un’altra donna “Mia figlia di 15 anni vuole vivere, vuole baciare, vuole mostrare il rossetto come noi abbiamo fatto alla sua età. La media di vita è di 82 anni e se muore un anziano non mi interessa perché la sua vita l’ha vissuta. E comunque in Africa muoiono tutti i giorni tantissimi bambini”.
“Se muore un anziano non mi interessa perchè la sua vita l’ha già vissuta” è una frase semplicemente agghiacciante, che ci riporta indietro ai momenti più bui della storia dell’umanità.
Ma questi di Toti e della “pasionaria” patavina sono solo ulteriori segnali di conferma della “frattura intergenerazionale” fra over 65 e giovani creata dalla pandemia da Covid-19.
Un nuovo rancore sociale, che avevo già colto a fine giugno leggendo un rapporto Censis-Tendercapital, che fotografava una inedita voglia di preferenza generazionale nell’accesso alle risorse ed ai servizi pubblici, legata alla visione che chi vive di più diventa un dissipatore privilegiato di risorse pubbliche.
Lo studio in questione, stilato non a caso dopo il lockdown di febbraio/marzo, evidenziava che ben 5 giovani su 10 avrebbero voluto penalizzare gli anziani nell’accesso alle cure e nella competizione per le risorse pubbliche. Più dettagliatamente, il 49,3% dei millenials (che rappresentano il 39,2% della popolazione italiana) riteneva che nell’emergenza sarebbe stato giusto che i giovani venissero curati prima degli anziani; inoltre il 35% dei giovani (26,9% della popolazione) era convinto che sia eccessiva la spesa pubblica a favore dei “capelli grigi”, dalle pensioni alla salute.
Ma Toti è stato solo l’ultimo in ordine di tempo ad aver posto sotto i riflettori questa problematica.
La questione generazionale l’aveva sollevata per primo Vittorio Colao, chiamato nell’aprile scorso dal governo a progettare un piano per uscire dalla prima ondata, prevedendo per gli over 65 un rientro morbido, con lavoro da casa, e suscitando polemiche e dubbi costituzionali.
Di recente la proposta di separazione per fasce di età è stata ripresa da Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini, che in un articolo hanno proposto di dividere gli anziani dal resto della popolazione per ridurre i contagi, e di conseguenza ospedalizzazioni e morti.
Ma non va dimenticato che lo scorso febbraio c’era stata la proposta di selezionare i “vecchi” ai primi sintomi all’ingresso del pronto soccorso. E di non assegnare loro un respiratore, per riservarlo a un paziente meno anziano in arrivo sull’ ambulanza successiva. Finché la faccenda è stata stroncata dai giuristi in quanto criminale: un abominio incostituzionale.
Che nei nostri ospedali lo si sia fatto non lo sapremo mai, ma in Svizzera questo “indirizzo terapeutico” lo hanno messo nero su bianco in un documento l’Accademia Svizzera della Scienze mediche e la Società svizzera di medicina intensiva. E anche in Svezia durante la prima ondata vennero date disposizioni di escludere dalle terapie intensive non solo gli 80enni, ma anche i 60/70enni affetti da altre patologie.
Le progressive misure di distanziamento adottate da tutti i Governi europei hanno proprio l’obiettivo di evitare che nei pronto soccorso e nelle corsie degli ospedali i medici siano ad un certo punto costretti a compiere queste scelte drammatiche. Perchè, qualunque sia l’età dell’ammalato, consegnarlo alla morte per legge o regolamento sarebbe un abominio, una sorta di sacrificio umano, in cui il criterio discriminante sarebbe l’indispensabilità o meno allo sforzo produttivo del Paese. In una parola sarebbe raccapricciante.
Credo sia necessario essere chiari su questo punto! La nostra Costituzione non consente discriminazioni per sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali. Figuriamoci se le ammette ai danni di coloro che hanno le chiome bianche.
Quindi, teorici della separazione, scordatevi i bus riservati agli ultra sessantacinquenni, scordatevi di dividere i vecchi dai propri nuclei familiari, immaginando spazi protetti, alberghi riservati e quant’altro. Dissociare la vita degli anziani da quella dei giovani è concettualmente ributtante, e ci riporterebbe all’Alabama dell’apartheid! Lasciamolo fare a Vladimir Putin, dato che sembra che a Mosca non vendano più i biglietti della metro a chi ha più di 65 anni.
Ma credetemi che per una “pantera grigia” è sconvolgente, oserei dire umiliante, anche solo assistere a questi dibattiti, a queste proposte.
Perchè uno si rende conto, dopo una vita di lavoro, di essere diventato improvvisamente un peso per la società, un costo sanitario da contenere, una categoria inutile.
E tanto più è sconcertante se la “separazione” è dettata dalla necessità di consentire ai giovani, che sempre più spesso riescono a sbarcare il lunario grazie alle pensioni di genitori e nonni, di frequentare movide ed aperitivi in piena libertà senza protezioni, di “baciare e mostrare il rossetto”, come proclamato della manifestante cui accennavo sopra.
No, non può girare così in una società che si voglia definire civile! Altrimenti è un’altra cosa, basta metterci d’accordo!
Una società funziona solo se tutti remano nella stessa direzione, e soprattutto senza escludere nessuno.
E se i giovani devono rinunciare per un certo periodo ad un po’ di socialità, poco male. Questo serve anche a responsabilizzarli, facendo capire loro che la vita non è solo divertimento, ma anche impegno individuale e rispetto degli altri, soprattutto dei più deboli e fragili.
Ai nostri nonni, nella pienezza dei loro 19 o 20 anni, venne messo in mano un fucile e spediti sui fronti di guerra, spesso a morire.
Ai ragazzi d’oggi si chiede di mettersi una mascherina, di non addossarsi l’uno con l’altro nelle piazze delle città, di prestare qualche attenzione nei contatti umani anche a casa.
Mi sembrano situazioni imparagonabili.
Gli anziani, i silver, sono i più ligi al rispetto delle regole. La sera guardano la televisione e vanno a letto. Confinarli in casa, togliendogli anche la possibilità di fare quattro passi all’aria aperta vorrebbe dire minare la loro salute, fisica e psichica.
Non so cosa potrà eventualmente decidere il nostro Governo, in questi giorni o nell’immediato futuro, sul tema degli anziani, ma in ogni caso qualcuno dovrà riflettere sul fatto che nel mondo, sia produttivo che politico, ci sono fior di ultrasettantenni che occupano posizioni di primo piano, in primis il nostro Presidente della Repubblica.
E dopo le elezioni, comunque vada, fra il 74enne Donald Trump ed il 77enne Joe Biden, uno dei due governerà sui destini del mondo.
Cosa facciamo, confiniamo in casa anche loro?
E’ evidente che, in questa Italia sempre più vecchia, sentiremo ancora parlare del problema degli anziani. E se il Covid, Dio non voglia, continuerà ad imperversare, torneranno le proposte di imprigionarli tra le pareti domestiche, con la scusa di volerne tutelare la salute.
Un’ultima notazione. Non bisogna dimenticare mai che anziani è un termine troppo generico, e che quando parliamo di loro dobbiamo pensare che si tratta dei nostri genitori, dei nostri nonni, cioè della nostra storia, della nostra identità.
Difenderli dal Covid-19 per uno Stato “civile” è una priorità assoluta, ma bisogna farlo andando incontro alle loro esigenze di persone fragili, non immaginando di isolarli come fossero appestati. Se il virus ha scelto gli anziani come vittime preferite, si potrà dire di averlo sconfitto solo quando anche i vecchi potranno tornare alla normalità quotidiana.
Umberto Baldo

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