4 Luglio 2018 - 18.27

Pillole dal Mondiale (dove non c’è l’Italia)/4 – Quante emozioni, tra pianti, errori e trionfi

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I Mondiali di calcio, aldilà degli aspetti tecnici e dei risultati, dimostrano, una volta di più, che lo sport è una vicenda umana meravigliosa, in cui si condensano emozioni ed esempi di grande spessore morale.

In questi giorni si sono giocati gli ottavi di finale e tutti hanno visto in campo Guillaine-Barré. Non è un giocatore, ma è una sindrome subdola, cattiva e pervasiva. È il male che ha colpito Oscar Washington Tabarez, l’allenatore dell’Uruguay, che si è qualificata ai quarti di finale battendo il Portogallo. Tabarez è da anni esempio di sportività e competenza e da tutti è riconosciuto come El Maestro. La determinazione e la dignità con cui contrasta questo nemico invisibile e doloroso, agitando la stampella che gli consente di muoversi sul campo, dimostrano che non si diventa un insegnante di calcio di generazioni di giocatori se non si è per prima cosa un insegnante di vita.

L’Uruguay è un’ottima squadra, tra le cui caratteristiche, oltre ad avere giocatori favolosi come Cavani, purtroppo ora infortunato, e Suarez, ci sono la capacità tattica e la grinta in ogni momento della partita. In questo Mondiale però c’è in campo anche lo spirito indomito di un uomo, con la missione di guidare se stesso, la sua squadra e il suo Paese contro qualsiasi avversità, immolando il suo corpo verso un’impresa che può diventare un lascito per il futuro.

Per questo per l’Uruguay quest’anno tutto è possibile.

Domenica 1° luglio la Russia, padrona di casa, ha eliminato la Spagna, che, sul piano tecnico, avrebbe meritato di vincere. Il risultato esclude una delle squadre favorite, ma anche probabilmente la nazionale più talentuosa e vincente dell’ultimo decennio.

Potrebbe essere la conclusione del ciclo di una generazione fantastica, che ha dispensato grande calcio a livello di nazionali e di squadre di club della Liga, considerando anche l’uscita di scena di Messi e Ronaldo, alfieri di Barcellona e Real Madrid, che peraltro potrebbe quest’estate vedere il portoghese scegliere un’altra avventura professionale, forse anche in Italia, alla Juventus.

Il pianto del giovane Iago Aspas, che ha sbagliato uno dei due rigori falliti dagli spagnoli si è quindi accompagnato a quello di veterani, che evidentemente hanno sentito sfuggire quel tempo in cui erano dominatori, tanto che un “senatore” della squadra, come Sergio Ramos, a fine match ha dichiarato: “spero non sia la fine di un ciclo”. Si era appena compiuto il dramma sportivo spagnolo che la Croazia stava gettando la possibilità di arrivare ai quarti contro una sorprendente e mai doma Danimarca. In questo caso la parabola umana ha coinvolto in particolare Luka Modric, un giocatore straordinario, forse unico possibile erede del nostro Andrea Pirlo, per la sua capacità di non sbagliare mai partita o anche un solo passaggio, di correre tanto, contrastare e inventare calcio, dando sicurezza alla squadra ogni volta che entra in possesso di palla.

Tutto questo si è visto contro i danesi, quando mancava una manciata di minuti alla fine del secondo supplementare e lui, nel breve lasso di tempo e spazio che non basta nemmeno per pensare, ha stoppato palla a centrocampo e ha lanciato in modo millimetrico un compagno solo davanti alla porta.

Era praticamente gol, se un difensore non avesse atterrato il giocatore croato con un fallo da rigore netto. Modric è andato sul dischetto, ha tirato e ha sbagliato, stregato dal portiere avversario, quel kasper Schmeichel, già vincitore della Premier League con il Leicester di Ranieri, il cui padre Michael, esultante in tribuna, è stato uno dei più grandi portieri degli anni Novanta.

Nell’intreccio di emozioni che hanno regalato questi due grandi giocatori si è consumata la fine di una partita in cui Modric ha compiuto il suo capolavoro. Dopo aver fatto quell’errore, con il rischio che costasse l’eliminazione alla sua nazionale, qualsiasi giocatore, anche tra alcuni fortissimi, sarebbe rimasto bloccato per il resto del tempo, chiuso in quel momento perduto, affranto e inutile per la squadra. Lui, appena ripreso il gioco, si è fatto dare palla, ha giocato con la solita naturalezza e sicurezza, ha dispensato calcio e per poco non è riuscito a fare gol a tempo quasi scaduto.

In quei pochi minuti ha mandato un segnale chiaro ai compagni e a tutti, che l’errore è parte del gioco, ma si deve lottare fino al termine della partita, con tutto se stessi, mettendo a disposizione della squadra ogni propria capacità.

È stata una lezione di classe, di calcio e di sport costruita su un errore che poteva segnare una carriera in realtà fenomenale. Ai rigori Luka è andato a tirare ancora una volta per la sua squadra e stavolta ha fatto gol e poi la Croazia ha prevalso, nonostante Schmeichel e grazie anche alle parate del portiere Subasic.

Le emozioni non sono però finite lì.

Il mondo del calcio e non solo dovrebbe dire grazie al Giappone, in primo luogo perché contro il Belgio ha giocato una grande partita, fatta di tecnica, velocità e coraggio. Ha perso perché negli ultimi secondi ha compiuto l’errore di lasciare la difesa scoperta, quando ha battuto un calcio d’angolo a suo favore.

Una leggerezza che se viene compiuta contro giocatori veloci e tecnici come quelli belgi può essere fatale. E così è stato.

Tutti i media e i social hanno pubblicato la foto dello spogliatoio lasciato dai giocatori nipponici completamente pulito e con un biglietto, con scritto grazie in russo, a dimostrazione della dignità e della sportività con cui hanno accettato la sconfitta subita all’ultimo secondo.

Questo in realtà è stato solo l’ultimo atto di una palese dimostrazione di cosa significa avere rispetto sportivo per se stessi e per gli avversari.

A nostro avviso l’immagine davvero emblematica è quella di un giocatore del Giappone ripreso appena terminata la partita, steso a terra. Non è immobile e affranto, ma batte ripetutamente i pugni sul terreno, poi si rialza e va verso lo spogliatoio.In quel gesto c’è la rabbia per la sconfitta subita in prossimità della fine, ma anche la consapevolezza di avere perso perché lui e la sua squadra hanno sbagliato.

Quando si rimette in piedi è come se dicesse “la prossima volta, se vogliamo vincere, non dobbiamo sbagliare, quindi dobbiamo lavorare ancora di più per non commettere nuovamente un errore come questo”. Non c’è rassegnazione, né delega di colpe ad altri. C’è assunzione di responsabilità, determinazione, accettazione del fatto che l’avversario è stato più bravo.

In quel gesto, compiuto appena subita una cocente delusione, c’è un’altra particella di essenza della sportività. Quella sportività che invece manca del tutto a un grande campione come Neymar, che può forse insegnare calcio ai giocatori giapponesi, ma da cui dovrebbe andare a lezione di dignità.

Il brasiliano nella partita con il Messico ha sfoderato tutto il suo fantastico repertorio calcistico, per dribbling, tiro, efficacia sotto porta, velocità di esecuzione e tutta la sua disonestà sportiva, quando, oltre a altre piccole e grandi simulazioni e vari esempi di mancanza di rispetto per pubblico e avversari, ha dato il peggio di sé, fingendo un dolore insopportabile per essere in realtà stato appena toccato sulla caviglia dal piede di un avversario.

Una sceneggiata vergognosa, peraltro alimentata dal vice allenatore della squadra brasiliana che lo incitava a stare per terra a lamentarsi.

Evidentemente l’obiettivo era ottenere una sanzione per l’avversario e avvantaggiare il Brasile in modo fraudolento. Non è questo lo stile che speriamo dimostri la nazionale che alla fine vincerà il Mondiale.

Intanto, ribadiamo quanto già detto nelle nostre pillole, questo potrebbe essere il Mondiale di una tra Belgio, Croazia e Inghilterra, ancora tutte in corsa.

Lo sport è anche precursore di valori sociali. Lo ha dimostrato con la vittoria nella 4X400 femminile ai giochi del Mediterraneo di quattro fantastiche ragazze italiane. I loro nomi sono Maria Bendicta Chigboli, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot e sono tutte e quattro di colore.

Rappresentano l’Italia che guarda a un futuro inclusivo, in cui essere italiani significa sentirsi parte integrante di una nazione. Leggendo commenti vari sui social si scopre quanto la diffusione della paura e dell’odio, da parte di gente irresponsabile, stia pericolosamente attecchendo.

In troppi scrivono che queste ragazze non sono italiane perché hanno parenti o genitori con origini straniere e la pelle scura. È gente povera di cuore, di spirito, di cultura e di intelligenza, le cui idee vanno combattute con tenacia e determinazione. Quella tenacia e determinazione che insegna lo sport, dove le nostre quattro ragazze infatti prevalgono, quale avventura umana meravigliosa che insegna a risorgere dopo un errore e a unire i popoli e le donne e gli uomini di buona volontà

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