12 Maggio 2020 - 12.44

Nuove figure da Coronavirus: i segregatori

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C’è chi dice NO

di Alessandro Cammarano

Italiani popolo di eroi, santi e delatori; in tempi grami di Covid-19 anche la retorica è costretta ad essere rivista, in peggio. Da una settimana circa è iniziata la Fase 2, agognata come il monsone umido dopo sei mesi di siccità, richiesta a gran voce, ma non da tutti.

Prima che scatti l’accusa di disfattismo qualunquista urge una spiegazione: la Fase 2 è sacrosanta, aiuterà a riacquistare una parvenza di normalità, chiamerà ciascuno di noi a comportamenti responsabili e ci permetterà di “riabbracciare” le persone care – congiunti o meno che siano –, di prendere un caffè al volo al bar e di berlo in solitaria, di andare a ritirare di persona le pizze che abbiamo ordinato al telefono.

Non è poco dopo due mesi di chiusura totale e sappiamo che, a fronte di condotte virtuose altre aperture, nel rispetto delle regole, seguiranno anche prima di quanto non si creda. Eppure c’è chi si lamenta; no, non della corsa selvaggia ai parchi e alle spiagge – più ipotetica che reale, dato che quasi nessuno è poi tanto fesso da mettere a repentaglio la propria salute – ma di qualsiasi forma di riapertura.

Alcuni sembrano essersi assuefatti all’isolamento, scoprendo che tutto sommato il bozzolo domestico è meglio – secondo loro – del mondo crudele e dissennato nel quale tutti noi vivevamo fino a metà febbraio scorso. Il problema non sussisterebbe, dato che ciascuno di noi è dotato del potere sommo di decidere su stesso, se i fautori dell’”iorestoacasa” ad oltranza non volessero che qualsiasi essere vivente si comportasse esattamente come loro.

Ecco dunque gli insulti – rigorosamente dal balcone di casa ma col ricorso a megafoni stile “Vota Antonio!” – nei confronti dei disgraziati runner, che in italiano forbito si chiamano “cascherini”, rei di portare una distrazione sotto forma di hamburger o un conforto mascherato da pizza a chi finora ha varcato la soglia di casa solo per andare a fare la spesa una volta ogni quindici giorni. Un minimo di disagio da solitudine è ammesso e comprensibile, ma infierire su chi lavora, tra l’altro per una paga da fame, è meschino. Peggio, anzi oltre la nausea, i paladini della lotta al contagio “fai da te” che lasciano biglietti nella cassetta della posta del medico o dell’infermiere che vive nel loro palazzo, scrivendo cose del tipo “Bastardo porti il virus a casa nostra! Io ho figli!”. In questo caso sarebbe necessario l’intervento di uno psichiatra che certificasse il disagio mentale di questi figuri laidi, insieme a quello di un frate esorcista. Non c’è bisogno di dire che i suddetti bigliettini – che talvolta sono rinvenuti anche sui parabrezza delle auto o postati via social – vantano una forma italiana miserabile. Altra categoria è quella rappresentata da coloro che escono forzatamente, magari spinti da un bimbo piccolo che ha bisogno di vedere, seppure da lontano e per brevi minuti, l’amichetto del cuore o un compagno di scuola. Qui la psicosi tocca vertici inarrivabili: attraversamenti di strada repentini alla vista di un altro essere umano che sopraggiunge in senso opposto; chicane – in veneto “schinche” – incrociando inavvertitamente un poveretto che cammina davanti, magari col bastone. La mascherina attutisce i commenti che, seppure ovattati, arrivano comunque e dolorosamente a destinazione; e non sono quasi mai teneri.

Pericolosissimi i fautori dell’apodittico “non si dovrà uscire mai più”, capaci di elaborare scenari apocalittici ed eterni, incapaci di concedere nulla alla ricerca scientifica e al buon senso delle persone. A costoro bisognerebbe rispondere che non tutti si possono permettere di segregarsi in casa per sempre: ci sono lavori da svolgere, attività da riprendere, genitori anziani da assistere, spesa fare e bollette da pagare; insomma ci si deve – sempre con responsabilità e gradualmente – rialzarsi e cominciare di nuovo a camminare. Un dubbio atroce sorge comunque: non è che tutti quelli che “guai a voi se uscite!” siano in larga parte percettori di redditi sicuri e costanti che a fine mese arrivano sempre, che si sia lavorato o no? O magari rientrino nella ristretta cerchia di chi si può dare il lusso di vivere di rendita? Pensare male è bruttissimo, ma purtroppo spesso ci si azzecca. Mettiamo il naso fuori di casa, magari senza esagerare e a chi ci dovesse insultare facciamo un sorriso da sotto la mascherina e un saluto guantato.

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