9 Maggio 2020 - 11.25

Meno ombrelloni, più scuola

I sindaci e i prefetti lo fanno da sempre. Al primo avvicinarsi di un’emergenza, chiudono le scuole. L’effetto è semplice: al mattino successivo si ottiene, come per magia, una diminuzione almeno del 50% del traffico all’interno delle città, i servizi di trasporto pubblico locale si svuotano e si evitano, nelle ore di punta, le mamme al volante del Suv che parcheggiano in doppia e tripla fila per far scendere il pupo diretto a scuola. Nelle emergenze di carattere meteorologico si ottiene il risultato di svuotare le strade, diminuire drasticamente il rischio di incidenti, automobilisti imprudenti non rimangono incastrati in strada, generando poi la necessità di andare a soccorrerli, si liberano quindi spazi per far girare i mezzi di soccorso o quelli necessari per far fronte all’emergenza, come gli spazzaneve e i furgoni che spargono sale e ghiaino. I sindaci e i prefetti lo sanno e lo fanno da sempre. Al primo apparire dell’emergenza Covid-19, allora, ecco che la reazione è andata sulla stessa linea, e le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università, sono state chiuse. Scelta giusta, che ha dato ottimi risultati sul piano del contenimento del contagio e sicuramente necessaria. Ora però si pone in modo drammatico il tema della riapertura. Nei casi di emergenza meteo, alluvioni o grandi nevicate, oppure dopo un terremoto, le scuole rimangono sbarrate per qualche giorno e poi vengono riattivate. Se gli edifici sono integri, non c’è nessun problema, se le scuole dovessero aver subito danni si mettono in campo soluzioni di emergenza con altri edifici o con strutture formate da una serie di container collegati fra loro. Il problema scuole, insomma, offre vantaggi immediati e in genere viene risolto in breve. Se parliamo di emergenza virus i vantaggi arrivano comunque, ma la ripartenza appare molto più complicata. 
Il periodo di chiusuraLe scuole, quindi, sono chiuse e in questo tempo di sospensione si è cercato di far proseguire, in qualche modo, l’attività didattica. Si è registrata l’esplosione delle adesioni alle più disparate piattaforme di condivisione on-line, di programmi che permettono videoconferenze con partecipanti illimitati. Si è cercato, insomma, di ricorrere alla tecnologia per far arrivare nelle case degli studenti le lezioni dei loro insegnanti. Quali sono stati, però, i risultati? Non lo sa nessuno e le valutazioni di fine anno degli studenti non potranno rispecchiare fedelmente quello che i ragazzi avranno potuto apprendere. La realtà sembra essere molto differenziata e non esistono standard di giudizio. L’attività on-line vive della buona volontà o della preparazione tecnica dei singoli insegnanti, della loro capacità di trasferire conoscenze in un modo fino ad oggi sconosciuto. Si è dato per scontato che il Paese non conosca un “digital-divide” effettivo, che invece è reale. Non tutti i ragazzi hanno strumenti a disposizione, come personal computer o tablet, non tutte le famiglie sono attrezzate con piani di connessione efficaci e tariffe flat. Il problema si è presentato con particolare evidenza in quelle famiglie dove i genitori stavano lavorando da casa, in “smart working”, con i bambini e i ragazzi che avevano necessità di collegarsi – contemporaneamente – per ricevere le loro lezioni. Un computer a testa, con connessione in grado di reggere un simile traffico di dati è una realtà che in Italia non è frequente, anzi. L’esperienza di questi mesi, poi, ha dimostrato come l’efficacia della didattica a distanza sia direttamente proporzionale all’età degli studenti. Il grado di autonomia raggiunto dagli universitari, li ha messi nelle condizioni di seguire praticamente ogni tipo di lezione e finanche di sostenere esami complessi, pur a distanza e con l’ausilio del computer. Un grado diverso di efficacia si è registrato per tutti i giovani della scuola superiore, provati da cinque o più ore di attenzione a lezioni frontali, impartite attraverso una piattaforma di condivisione. Il vero e proprio dramma, invece, è quello dei bambini della scuola primaria. Il racconto che ho ascoltato è quello del papà di un bimbo che frequenta la terza elementare e che si è ritrovato a dover imparare a fare le divisioni seguendo la spiegazione della sua insegnante che parlava al computer. Ora, possiamo anche illuderci, o credere che i nativi digitali siano in grado di utilizzare la tecnologia in maniera istintiva, ma non è vero. Un bimbo di terza elementare ha voglia di giocare, di correre, di andare in bicicletta, di tirare calci ad un pallone. Non ha voglia e non è in grado di stare ore davanti allo schermo di un pc. In molti casi è difficile fare in modo che presti attenzione mentre è in aula, figurarsi se è a casa. Sarà capace di accendere il computer, collegarlo nel modo corretto, seguire con profitto? Ovviamente no, e se lo ha fatto in questo periodo è perché gran parte del peso è stato scaricato sulle famiglie. Mamme e papà si sono messi al computer con i figli di fianco, hanno seguito insieme le lezioni, cercando in qualche modo di costringere, blandire, illudere il pargolo con premi e promesse. Gli stessi genitori si sono poi seduti al tavolo della cucina e hanno fatto fare i compiti, rispiegato le divisioni e provato a vedere quanto fa 20:5. Oggi tutto questo diventa ancora più difficile, dal momento che la “Fase 2” ha riportato i genitori al lavoro senza prevedere alcuna rete di salvataggio per i bambini rimasti a casa da soli o affidati ai nonni che, mi par di vederli, dovranno mettersi a loro volta davanti al computer per aiutare il ragazzino di terza elementare a seguire le lezioni on-line. 
La ripresa, lo scandalo maturitàIl primo, timido, segnale di un ritorno alla normalità offre già il segno della confusione che regna sovrana. Si tratta dell’esame di maturità. Sarebbe stata, questa, l’occasione per una riforma duratura e coraggiosa. L’esame di maturità ai nostri tempi è quanto di più inutile si possa pensare: non esiste più una professione alla quale si possa accedere direttamente dopo la scuola secondaria superiore, quindi l’accertamento attraverso l’Esame di Stato delle eventuali competenze dello studente è altrettanto irrilevante. Era l’occasione per cancellare la maturità dall’orizzonte formativo degli italiani per passare ad uno scrutinio dei risultati e delle competenze, licenziare tutti gli studenti con un voto o una serie di voti e cominciare a concentrarsi sulla necessità di formare i ragazzi per affrontare gli esami di ammissione alle facoltà universitarie. Non si è colta l’occasione e pazienza. Per settimane il ministro Azzolina ha tentennato: l’esame si fa se si torna a scuola entro il 18 maggio. Si fanno scritti e orali, no si fanno solo gli orali, con la commissione normale, no con i professori interni, si fanno da casa, no da scuola. L’ultima descrizione dell’esame sembra essere questa: si comincia il 17 giugno, gli scritti sono cancellati (in base a cosa poi lo dovremo spiegare a tutti quelli che si sono guadagnati la stessa maturità spaccandosi la schiena su tre scritti), la commissione è composta dai professori interni (che quindi non hanno nessun bisogno di un esame per poter valutare studenti che conoscono – in alcuni casi – da cinque o più anni) con l’aggiunta di un presidente esterno (e così, in barba al principio di precauzione, spostiamo insegnanti da una parte all’altra del Paese), l’interrogazione avverrà a scuola (ed era l’unica cosa che si poteva fare benissimo da casa con l’ausilio di un computer) e durerà un’ora. 
La ripresa, serve un pianoQuesto anno scolastico è andato così, facciamocene una ragione. La Scuola, però, scritta non a caso con la lettera maiuscola, è funzione fondamentale in uno Stato che voglia a sua volta essere scritto con la lettera maiuscola. Non è un di più, non è qualcosa cui si possa rinunciare. Formare e istruire, passare la conoscenza alla giovani generazioni è un obbligo e quindi bisogna avere un piano per tornare a scuola. La sensazione, purtroppo, è che questo piano sia visto come lontano nel tempo e nello spazio e che nessuno ci stia pensando, che tutti siano molto attenti a come dovremo disporre gli ombrelloni in spiaggia, a come dovrà esserci servito il caffè e non vediamo l’ora che ci taglino i capelli, ma agli studenti non pensa nessuno. Il piano va fatto adesso, invece, perché i problemi da risolvere sono enormi. Poniamo il caso che a settembre il virus sia stato sconfitto e che vi siano evidenze scientifiche che se ne sia andato naturalmente, come hanno fatto la Sars e la Mers prima di lui. Tutto a posto e si ritorna come prima. Poniamo però il caso che il virus non sia sparito e che sia rimasto in agguato, come molti sostengono, pronto a riprendere la sua diffusione mortale con il ritorno della stagione autunnale e invernale, che coincide proprio con l’eventuale ripresa della scuola. A questo punto sarà giusto compiere una riflessione circa il fatto che i bambini e i ragazzi sono stati descritti come i soggetti che meno si sono ammalati con il Covid-19. Questo però non corrisponde a dire che i ragazzi non vengono contagiati e non sono in grado di trasmettere la malattia. A questo proposito vi propongo la lettura di un articolo specifico che trovate a questo link: https://www.medicalfacts.it/2020/05/03/coronavirus-nei-bambini-replica-come-negli-adulti/
Tento una rapida sintesi: i bambini e i ragazzi vengono contagiati esattamente come gli adulti. Hanno la fortuna, soprattutto nelle fasce di età più verdi, di sviluppare la malattia con sintomi più blandi, ma sono perfettamente in grado di trasmettere il virus. Ricordate tutti i tempi della vostra gioventù, remota o recente? Ricordate l’afrore di corpi poco avvezzi al sapone che si respirava dentro l’autobus che vi portava a scuola? Ricordate la sensazione di soffocamento, l’alito degli altri sulla faccia, i corpi che sarebbero rimasti in piedi anche in caso di svenimento, tanta era la compressione fra l’uno e l’altro? Questa sarebbe la cultura virale che si verrebbe a creare il prossimo settembre con la riapertura delle scuole: i ragazzi sarebbero il perfetto veicolo del virus che circolerebbe velocissimo fra autobus e aule per poi atterrare su professori, genitori e nonni una volta a casa. I ragazzi magari continuerebbero ad ammalarsi poco, i nonni, i professori e i genitori potrebbero tornare a popolare le terapie intensive e i cimiteri. In questi giorni sono stato a Roma e ho ascoltato l’autista dell’autobus urlare: “Signò, io più di 18 persone non le posso fa’ salì. O scende o il mezzo da qui nun lo movo”. Ma si potrà litigare così ogni mattina? E quando l’ultimo autobus utile sarà colmo e l’autista non vorrà far salire più nessuno, ve l’immaginate la reazione dei cento ragazzi rimasti sul marciapiede? Ogni anno, puntualmente, alla ripresa delle lezioni scriviamo pezzi al veleno sul sovraffollamento dei mezzi pubblici, sulla mancanza di corse. In assenza di un piano serio, la situazione è destinata ad esplodere, anche dal punto di vista economico. Mettere in strada abbastanza mezzi pubblici per trasportare gli studenti in sicurezza significa porre le società del trasporto pubblico in fallimento nel giro di un paio di settimane: non ci sono macchine sufficienti e nemmeno abbastanza autisti. E’ questo il momento di mettere a punto un piano, però, anche per quello che riguarda le aule: si potranno tenere trenta ragazzi dentro la stessa stanza? E’ presumibile di no. Si potranno dividere in diverse stanze dello stesso istituto? Il calo demografico sempre più marcato dovrebbe consentire di recuperare spazi, che nel frattempo si sono svuotati, ma rimangono ancora scuole della provincia che denunciano l’insufficienza delle aule. Orari differenziati di ingresso e uscita dalle scuole? Ci abbiamo provato per anni, proponendo scostamenti anche minimi, nell’ordine dei 15 minuti e non ci siamo mai riusciti. Magari adesso potrebbe essere la soluzione, spalmando l’orario non solo al mattino ma anche al pomeriggio, sempre che gli insegnanti siano disponibili. 
Non so se sono stato in grado di dare la misura della complessità di un tema fondamentale e irrinunciabile, quello che sostengo è che arrivato il momento di pensare un po’ meno agli ombrelloni e un po’ di più alla scuola. Ah dimenticavo. Fatemi stare tranquillo. Se qualcuno dovesse avere notizie del ministro dell’Università Gaetano Manfredi, fatemi sapere. Non ricordo di averlo visto o sentito intervenire da quando è iniziata l’emergenza.
VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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