31 Luglio 2016 - 11.07

Marta Marzotto, esempio di riscatto per il Paese

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È morta, dicono i famigliari, circondata dall’affetto dei cari, con il sorriso e lo sguardo allegro che l’hanno sempre contraddistinta.
Un addio sereno, che merita chi nel corso della sua vita sa costruire e ricambiare l’amore di parenti e amici.
Questo però è un pregio di molti e non può quindi essere quello che ha reso diversa e un po’ speciale Marta Marzotto e porta gli italiani, oggi, a riservarle il ricordo affettuoso dovuto a una persona che sembra di conoscere da sempre.
Era un esempio di stile ed eleganza, dicono le cronache.
Ed è vero. Quando la si ascoltava aveva sempre quel tono leggero, con cui però esprimeva pensieri acuti e intelligenti.
Quelli di una donna che nella sua vita aveva saputo farsi riconoscere come parte integrante del mondo dell’arte, della cultura, della moda e della politica, che ha frequentato per decenni e l’ha vista protagonista, ma così lontano dal paesino della Lomellina dove da ragazza faceva la mondina.
Un lavoro duro, faticoso, che la terrorizzava, diceva quando raccontava che si fasciava le gambe per proteggerle dai tagli delle piante e sentiva guizzare bisce e topi tra i piedi immersi nell’acqua.
Le mondine sono un esempio di quell’Italia contadina, povera, che ogni giorno vedeva madri e padri fare lavori pesanti dal punto di vista fisico e morale per poter sfamare la propria famiglia.
Così era anche quella della giovane Marta, nata a Reggio Emilia nel 1931, da padre casellante e madre operaia.
Quando lei era ragazza l’Italia era un Paese affamato, uscito dalla seconda guerra stremato e alla ricerca di una identità, ma finalmente orgoglioso di potersi presentare al mondo, libero dal giogo della dittatura e alla ricerca di un riscatto sociale ed economico, che a un certo punto arrivò, con uno sviluppo che consentì una crescita in termini di benessere prima impensabile e di dare sfogo anche ai tanti talenti intellettuali e artistici di cui il nostro Paese è sempre stato fucina inesauribile.
Era quella l’Italia del boom economico, in cui Marta Marzotto trovò un impiego a Milano come sarta nella casa di moda delle sorelle Aguzzi per poi diventare modella degli abiti che prima cuciva, grazie alla sua innata eleganza e bellezza.
Doti che insieme alla sua intelligenza la fecero assurgere a icona delle cronache mondane, ad animatrice dei salotti del jet set, ad amica di artisti, attori e politici di fama mondiale.
Le doti che fecero innamorare il conte Umberto Marzotto, vicentino di Valdagno, che la sposò e con cui ebbe 5 figli.
Un matrimonio travagliato, fatto di passioni e tradimenti, come quelli che videro la Marzotto amante del pittore Renato Guttuso e del politico e intellettuale Lucio Magri.
Amori travolgenti e intensi che comunque non spezzarono mai del tutto il legame con il primo marito, anche dopo il divorzio, tanto che lei portò per sempre il nome Marzotto.
E qui sta un po’ il senso di una vita da ricordare.
Era nata Marta Vacondio, è morta Marta Marzotto.
In mezzo a questo percorso ci sono stati 85 anni vissuti all’insegna della libertà, della generosità e dello stile, con la capacità di “camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente”, come per dedicare la sua esistenza a uno dei versi di Rudyard Kipling nella poesia “Se”, dedicata al figlio.
Un tragitto umano, che in quel cambio di nome vede il riscatto di una donna, la cui vita si identifica con la storia recente di un Paese riuscito a diventare tra i più industrializzati e ricchi del pianeta e a sedersi al tavolo con i grandi del mondo.
Un Paese che mentre muore una sua figlia così rappresentativa si trova oggi nel mezzo di un lento declino e deve trovare un nuovo risorgimento.
Se una vita serve come esempio, quella di Marta Marzotto lo sia per gli italiani, come dimostrazione che non ci si deve rassegnare a un destino che sembra già scritto, ma si può diventare altro, puntando al meglio, alla bellezza, allo sviluppo, grazie al sacrificio, all’impegno, al senso del dovere e alla responsabilità, in un progetto collettivo che ognuno deve sentire di poter contribuire a realizzare con il suo piccolo contributo.
Marta ce l’ha fatta e dobbiamo esserle grati di averci dimostrato che è possibile.
Anche questo è un segno della generosità che ha caratterizzato la sua vita.
Come averci di mostrato che quel riscatto è stato possibile senza perdere il sorriso.
Quello che lei ha sempre portato e che aveva anche nel momento in cui ha preso commiato per l’ultima volta.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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