15 Giugno 2019 - 9.21

Ma siamo sicuri che i mini-bot siano un affare per le imprese?

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di Umberto Baldo

Nonostante i pareri contrari della Banca Centrale Europea, della Banca d’Italia e del ministro dell’Economia, Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuano ad indicare nei cosiddetti “minibot” la soluzione del problema dei crediti delle imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione.

Per capire meglio la questione, a mio avviso bisogna mettersi dalla parte delle aziende.

Proviamoci.

Immaginate di essere un imprenditore, che chiameremo per comodità Toni, titolare di una ditta che opera nel campo dei lavori stradali, e che abbia completato un’opera per conto dello Stato, o di una qualsiasi altra Amministrazione pubblica, per un importo di 3milioni di euro.

Ovviamente il principale interesse del nostro Toni è quello di incassare il credito, visto che la sua impresa non è una Onlus. Anche perché quei soldi gli sono necessari per pagare stipendi e contributi dei dipendenti, oltre che i suoi fornitori; in altre parole per poter continuare l’attività senza correre il rischio di fallire.

Si tratta di una situazione che avviene sotto tutti i cieli del mondo, e sotto tutti i cieli del mondo viene regolata dal debitore, sa esso lo Stato o altre P.A, con un semplice accredito delle somme dovute, a fronte dell’emissione di una fattura.

Se passasse la proposta di Salvini, sostenuta anche da Di Maio, di liquidare questi debiti della P.A. con i cosiddetti “mini-bot”, cioè titoli “cartacei” di taglio compreso fra i 20 ed i 100 euro, la prima domanda che viene in mente è: ma quanti mini-bot servirebbero per pagare i 3 milioni vantati da Toni? 

Calcolo che sa fare anche un bambino delle elementari: se il pagamento avvenisse ad esempio con mini-bot da 100 euro, ne servirebbero 30.000. 

Si, trentamila!

Servirebbe un camion per consegnarli!

E immaginate quanti T.I.R comincerebbero a girare per le strade italiane, colmi di questi nuovi titoli, che i loro teorizzatori non vogliono spiegarci bene se sarebbero ulteriore debito pubblico o nuova moneta.

Quindi cosa succederebbe al nostro Toni se vedesse i propri crediti liquidati con mini-bot?

Per essere chiari, il mini-bot sarebbe un titolo (di piccolo taglio) che certifica un debito dello Stato nei confronti di chi lo possiede, con l’impegno, ovviamente dell’emittente, a saldare questo debito; esattamente come avviene per i Btp e gli altri titoli dello Stato. Con la differenza, rispetto agli “originali”, che questi mini-bot non avrebbero un interesse assicurato, non avrebbero scadenza, e, caratteristica peculiare, avrebbero una “materialità”, che da anni i Btp non hanno più. In parole povere mentre Bot e Btp “normali” sono ormai mere “espressioni contabili”, i nuovi mini-bot sarebbero molto simili alle banconote. Ed è proprio su questo “dettaglio” che casca l’asino! 

Non c’è dubbio che, rispetto ai Btp ordinari, i mini-bot sarebbero titoli di Stato di “serie B”.

E’ parimenti del tutto evidente che qui siamo di fronte ad un “ballon d’essai”, tanto per saggiare le reazioni di un’opinione pubblica, che Lega e 5 Stelle sanno bene essere contraria ad una fuoriuscita dall’euro.

Un problema analogo lo affrontò la Spagna nel 2012, quando chiese l’aiuto dell’Europa per evitare il collasso delle proprie banche e della propria economia. Poiché il regno di Spagna aveva debiti con le imprese per circa 27 miliardi di euro, e non aveva i fondi in cassa per saldarli, in accordo con la Ue mise una campo una colossale opera di certificazione di detti debiti, che decise di ripagare in 5 anni con una emissione straordinaria di “debito pubblico ordinario” (i Bonos) di pari importo. Tutto lineare, tutto trasparente, tanto che i mercati non ebbero alcuna reazione negativa.

In Italia si è invece pensato ai mini-bot. Una vera e propria genialata di finanza creativa!

Dietro la quale è evidente che c’è un retro-pensiero, quello di mettere in circolazione titoli di credito di valore analogo a quello delle banconote in euro, che potrebbero sostituire la moneta europea in caso di “fuoriuscita” dell’Italia dal sistema euro. 

Visto il precedente della Brexit, ancora in alto mare dopo tre anni, è chiaro anche ai nostri “apprendisti stregoni” che per uscire dall’euro serve uno “strappo”, una decisione secca presa nella notte, senza dibattiti in Parlamento e nel Paese. Che innescherebbero inevitabilmente una corsa dei cittadini agli sportelli bancari per ritirare i propri depositi in euro.

E poichè uno “strappo” del genere, qualora avvenisse senza avere a disposizione una valuta alternativa, creerebbe una vera e propria apocalisse nell’economia, l’unico modo per evitarla, o quanto meno contenerne gli effetti, è che ci sia già in circolazione un qualcosa che assomigli ad una moneta; nella fattispecie i mini-bot.

Ma torniamo al nostro Toni, che ha ricevuto il T.I.R. con i 30.000 mini-bot.

Cosa potrebbe fare?

Pagare i fornitori? La vedo dura che un soggetto terzo accetti dei pezzi di carta, senza avere la certezza che possano circolare, e siano rimborsabili a vista dall’emittente. E anche se decidesse di accettarli, per avere in pagamento mini-Bot invece di euro veri, lo farebbe soltanto pretendendo uno sconto di una cospicua percentuale sul valore nominale del titolo. In parole povere, per accettare dei mini-bot al posto di 1.000 euro di credito, il fornitore di Toni pretenderebbe di avere un controvalore in titoli ad esempio di 1.200/ 1.500 euro.

Si potrebbe pensare che per Toni sarebbe sempre meglio avere un titolo di Stato, per quanto di scarso valore, che nulla in mano. Ma già oggi un’impresa che ha bisogno di liquidità può farsi certificare il credito e depositarlo in banca o cartolarizzarlo, cioè venderlo a intermediari specializzati nel recupero crediti. Può anche utilizzare i crediti certificati per ridurre le tasse, come compensazione di debiti verso l’erario.

La verità e che i mini-Bot assumerebbero il ruolo di moneta cattiva, e poichè le leggi dell’economia dicono che la moneta cattiva scaccia la moneta buona, la conseguenza inevitabile sarebbe che tutti cercherebbero di liberarsi quanto prima dei mini-Bot per avere euro veri, con la conseguente perdita di valore di questi nuovi strumenti (altrimenti detta svalutazione). 

A meno che, come ventilato da qualche osservatore, dietro questa proposta ci sia anche l’inconfessata volontà di scaricare sugli italiani i debiti della P.A, con lo stesso meccanismo di quanto avvenuto negli anni ’70 con i mini assegni.

Chi ha qualche anno sulle spalle difficilmente ha dimenticato il fenomeno dei miniassegni, che furono utilizzati come sostituti delle monete circolanti. 

L’esperienza dei mini-assegni durò appena un paio d’anni. Fu una vera e propria invasione. Ne circolarono 835 tipi diversi, emessi da 33 banche, per un ammontare stimato in oltre 200 miliardi di lire e sicuramente fu un affare colossale per le banche, dato che moltissimi di questi pezzetti di carta andarono distrutti, anche a causa della pessima qualità del materiale, o finirono in mano ai collezionisti, o ancora dimenticati in qualche cassetto. Il 25 marzo 1976 la Procura della Repubblica di Perugia emise un provvedimento di sequestro su tutto il territorio nazionale degli “assegnetti” da 100 e da 150 lire, per violazione delle norme sulla emissione di biglietti di banca, per ingiusto profitto delle banche, e per violazione delle leggi sull’assegno bancario circolare. Di conseguenza, da quel momento i miniassegni furono considerati senza valore, tra lo scontento di moltissime persone che si ritrovarono tutti questi pezzi di carta tra le mani, ormai impossibili da cambiare in lire. Ma chi li aveva emessi e non li ha poi rimborsati, allora realizzò un bel guadagno, a scapito deli cittadini italiani, che furono tosati come le fantomatiche pecore.

E se con la scusa di abbandonare altre forme di estinzione dei debiti della P.A, alla fine prevalesse nello Stato l’idea di obbligare imprese e privati ad accettare i mini-bot?

Ci si troverebbe davanti ad una sorte di “patrimoniale” mascherata, nel senso che la svalutazione inevitabile dei mini-bot andrebbe a ridurre di fatto il valore dei crediti da incassare, e contestualmente del debito dello Stato o della P.A. Sarebbe una bella beffa per Toni, ed in generale per le imprese del Nord, che sono i maggiori creditori dello Stato.

In conclusione, poiché coloro che ci governano potranno anche non essere trasparenti, ma sicuramente non sono stupidi, c’è solo da augurarsi che quella dei mini Bot sia una trave gettata strumentalmente sulla strada delle trattative in corso per i nuovi assetti di Bruxelles. 

Come dire: si dice mini-Bot, e si legge nomine Ue!

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