6 Ottobre 2020 - 17.05

L’incubo dei messaggi vocali: un fastidio insopportabile

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di Alessandro Cammarano

Messaggi vocali… la fine della civiltà occidentale

C’erano una volta gli SMS, piccoli, carini, stringati – la brevità sta nella prima parola dell’acronimo: “short” ovvero corto – vera meraviglia dei primi telefoni cellulari GSM, quelli che per intenderci permettevano solo di fare e ricevere chiamate, niente altro. L’arrivo dello SMS fu salutato come una novità strabiliante, un passo avanti per l’umanità pari allo sbarco sulla luna; in effetti era esattamente così. La tecnologia dell’epoca permetteva l’invio di comunicazioni scritte stringatissime – un po’ come il primo Twitter, per intenderci – che costringevano a rimanere sul pezzo senza perdersi in frivolezze. Gli SMS “d’antan” erano “Tardo dieci minuti” o “Ci vediamo a casa”, o ancora “Quando torni vedi…”; semplici, pratici, essenziali.

Poi venne l’epoca dello smartphone e i programmi di messaggistica istantanea iniziarono a dilagare, con uno su tutti: Whatsapp.

Intendiamoci, il poter scambiare alla velocità di un click non solo parole, ma anche fotografie e documenti pure se ci si trova su un ponte tibetano a strapiombo su un crepaccio e si vogliono condividere gli ultimi istanti prima della caduta fatale, è comodissimo; purtroppo tutto degenera, per colpa degli utenti però, mica della applicazione.

I guai, quelli veri sono iniziati quando Whatsapp ha introdotto la funzione “messaggio vocale”: ora, il messaggio vocale esiste da quando il povero Fidippide si fece di corsa i quarantadue chilometri e passa tra Maratona e Atene per annunciare la vittoria contro i Persiani morendo subito dopo.

Oggi i ruoli sono ribaltati: a tirare il calzino non è il messaggiante, bensì il messaggiato costretto ad ascoltare obbrobri di ogni tipo.

Innanzitutto la comunicazione dovrebbe essere “short”, come quella dei messaggini GSM, non espandersi fino a diventare una cantica della Divina Commedia. Chissà come mai il telefono si trasforma, nelle mani di alcuni, in una specie di oggetto magico capace di trasformare chiunque nella versione prolissa di Cicerone.

È capitato a tutti di ricevere un Whatsapp da 5 minuti, vero? Dunque è ben nota la sensazione di panico orrificato da cui si è travolti. Cinque minuti, trecento secondi, un’eternità nella quale l’oratore di turno ci racconta tutto quello che ha fatto nel fine settimana, ora per ora. La tentazione di far schiacciare il telefonino dalle ruote di un autobus è fortissima, ma si resiste e spesso si ascolta a rate.

Variante malefica è quella del messaggio “incerto”: cinque minuti in cui il sadico che vi odia alterna una parola – non sempre di senso compiuto – a tossicchiamenti, sospiri, “mah”, “beh”, “ecco”, “diciamo”, tutto per non scendere sotto la durata minima della tortura verbale. Roba che in confronto pure gli interrogatori alla Pol Pot sembrano essere più gestibili.

Opposto al “logorroico” si trova l’altrettanto esiziale “parcellizzato”: la comunicazione si frammenta in invii infiniti di una – massimo due – sillabe ciascuno. Un banalissimo “Stasera andiamo tutti alla locanda dello Zozzone per una pasta e fagioli, abbiamo prenotato anche per te, dammi conferma” viene suddiviso in circa venti invii, naturalmente annunciati dal “bling” dell’avviso; i nervi saltano verso il quinto, al decimo si ha voglia di radere al suolo il quartiere di una città qualsiasi e alla fine si è pronti per distruggere il mondo.

Che dire poi di quelli che traducono dal dialetto con risultati terrificanti? “Buondì, sono Kevin Boarotto queo dea lavasecco, le comunico che i suoi capi che i iera da lavare, sono ora pronti per il ritiro” poi, credendo di aver terminato e inviato il testo aggiunge in fuori onda “gonti parlà ben? Vèro Katiusha?”

Interessante la categoria delle “voci impostate”, generalmente femminili ma non necessariamente.

Esempio: voce di donna che vorrebbe imitare il tono sexy-elegante di Kate Blanchett esibendosi in un languido “Sarei felice di incontrati stasera. Ai miei ho detto che esco con delle amiche”, svaccando un secondo dopo con una salita di due ottave con “Nonna! Non stare a rompermi i maroni, non so dove sia la dentiera!”.

Tremendo anche il “noncurante”, che mentre registra la sua filippica magari si fa anche due chiacchiere col conoscente che passa per caso, dicendo anche – al destinatario della missiva vocale – “abbi pazienza un attimo”, lasciando in sospeso l’ascolto; un po’ alla Samuel Beckett.

Il mio personale odio va ai lenti, quelli – o quelle – che già il “ciao” dura quanto un sonetto di Foscolo spalancando un baratro di terrore che mi rovina la giornata; di solito registrano tutto la notte, in modo da darti un buongiorno degno di American Horror History. Se c’è un inferno essi ci andranno e saranno condannati a scrivere SMS su un Nokia 8810, per l’eternità.

Alessandro Cammarano

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