12 Novembre 2020 - 11.02

Libera nos a Trump

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di Alessandro Cammarano

Qualcuno si ricorda di Teo, uno degli immortali caratteri di “Amarcord” interpretato da Ciccio Ingrassia? A chi non sovvenisse Teo era lo zio scapolo che gridava «Voglio una donna!» rifiutandosi di scendere dall’albero sul quale si era arroccato nonostante le preghiere e le minacce dell’intera famiglia.

Ecco, il novello Teo ha le fattezze pingui e aranciate dell’inquilino pro tempore della Casa Bianca che, pur a fronte di un risultato oramai inequivocabile, si rifiuta di ammettere la sconfitta tentando mille cavilli – tutti parecchio infondati – per cercare di rimanere in sella.

Donald Trump, “The Donald” per gli amici, è uno dal licenziamento facile – il ritornello del suo orrido reality show “The apprentice” era “you are fired” – cosa che si è vista anche in questi ultimi giorni con il siluramento di parte del suo gruppo di avvocati, gente che per inciso farebbe sfigurare un banco di piranha amazzonici, e del Segretario alla Giustizia, ritenuti dal “roscio” troppo morbidi.

Adesso vorrebbe togliersi dai piedi il vincitore legittimo, quel non brillantissimo ma rassicurante Joe Biden che il tycoon schifa da sempre e che in nome di una “normalità” tutta da ritrovare ha prevalso nel voto popolare e si è aggiudicato il numero sufficiente di grandi elettori per garantirsi l’ingresso al 1600 di Pennsylvania Avenue, ma l’impresa non è fortunatamente facile; a gennaio dovrà fare fagotto e tornarsene alla Trump Tower – che per inciso non è nemmeno sua – in quella New York che lo disprezza ma da dove cercherà vendetta e forse una ricandidatura nel 2024.

Intanto i vincitori restano fuori e nello staff di Biden cominciano a prendere forma piani più o meno diabolici per stanare il riottoso presidente in carica costringendolo a cedere lo scettro.

La prima idea – venuta pare ad un portinaio della West Wing la cui moglie avrebbe subito pesanti “complimenti” dal presidente – comporterebbe un cambio di tutte le serrature dello stabile, nonché dei codici di sicurezza degli ingressi esterni, approfittando di una delle frequenti assenze dello scomodo inquilino, che gioca a golf più spesso di Tiger Woods.

La seconda, decisamente più costosa, prevederebbe la costruzione in tempi rapidissimi di una copia esatta della Casa Bianca all’interno di uno dei suoi resort, in modo da fargli in qualche modo assorbire il trauma della sconfitta. Sarebbe anche non così costoso perché si userebbero gli abominevoli arredi con cui lui e Melania hanno riempito la resistenza che fu di Jefferson e di Lincoln: un’accozzaglia di ori e velluti che il caravan di Moira Orfei sembra la cella di un trappista.

La terza via presuppone un falso allarme termiti, con conseguente fumigazione allo zolfo capace di stanare non solo gli insetti ghiotti di legno ma anche l’altro scomodo occupante.

Il quarto scenario prevede, il giorno dell’ “Inaguration” di Biden, una rimozione coatta dell’intruso ad opera della SWAT con resistenza a oltranza e dopo trattative infruttuose.

L’unica cosa sicura è che Trump , nei giorni che gli rimangono da Commander in Chief smonterà lavandini, intaserà water con la carta igienica, romperà servizi di piatti e darà il diserbante al Giardino delle Rose; quelli come lui non fanno prigionieri.

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