19 Febbraio 2017 - 11.12

Le faide nel PD mettono a rischio la stabilità dell’Italia

L’Assemblea Nazionale del Partito Democratico, convocata per definire l’avvio del processo che porterà al prossimo Congresso, potrebbe sancire una definitiva spaccatura tra la maggioranza guidata dal segretario Matteo Renzi e le minoranze che si identificano in Pierluigi Bersani, Roberto Speranza e i governatori di Toscana e Puglia, Enrico Rossi e Michele Emiliano.
La scissione sembra evitabile solo se vi sarà un cambiamento di linea nel percorso delineato nell’ultima Direzione Nazionale, che prevede di accelerare i tempi per il Congresso, con l’intento di andare al più presto alle urne.
Un programma vissuto dai contrari come funzionale a zittire le opposizioni interne.
Andando oltre alle ragioni e ai torti nel merito delle questioni, oggi il Partito Democratico deve assumersi la necessaria responsabilità di considerare che le sue decisioni non riguardano solo se stesso e il suo futuro, ma l’intero Paese, perché una sua spaccatura produrrebbe uno scenario estremamente pericoloso.
La divisione del fronte di centro sinistra lascerebbe campo libero a forze come il Movimento 5 Stelle, che dimostra incapacità gravi di governo e di gestione del suo largo consenso (come commentato in altro articolo in pubblicazione ndr) e a quella parte politica guidata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, caratterizzata da forti inclinazioni nazionalistiche, anti europeiste e protezionistiche in termini economici e sociali.
Queste parti politiche, che trovano consenso nel populismo dilagante e nella rabbia di cittadini che si ritengono abbandonati dai partiti tradizionali, già stanno sfruttando l’arretramento progressivo di un centro destra moderato, europeista e costruttivo, prima unito da Silvio Berlusconi, ma poi da lui stesso bloccato per la mancanza di volontà e incapacità di indicare una leadership che gli succedesse.
Il centro sinistra resta l’ultimo baluardo verso le derive politiche che propongono Grillo, Salvini e la Meloni, tanto affascinate dalla costruzione di leadership forti, con tendenze autoritarie, come quelle che sempre più prolificano nel mondo occidentale e trovano riferimento in Trump negli Usa, in Putin in Russia e Marine Le Pen in Francia.
Oggi tutta la classe dirigente del Pd deve quindi smetterla di guardare il proprio ombelico e le sue beghe interne, ma ha l’obbligo di allargare lo sguardo al bene del Paese e dell’Europa, per continuare a poter essere protagonista autorevole nella costruzione di politiche sociali ed economiche sostenibili, che diano risposte credibili a cittadini delusi, di inclusione, in difesa dei più deboli, favorevoli all’Europa e soprattutto alla sua vocazione di dialogo tra i popoli e di inclusione, che sono alla base di un rapporto di pace tra gli Stati.
Il primo a doversi assumere questa responsabilità è il segretario del Pd Matteo Renzi, che ha il dovere di garantire la tenuta del Governo guidato da un esponente del Pd oggi indebolito dal suo stesso partito, con un processo incomprensibile agli italiani, e di fare sintesi tra le istanze di tutti.
Per farlo deve ergersi sopra le parti e trovare soluzioni condivise e percorribili.
Di fronte a questo passaggio tutti poi sarebbero chiamati a un passo indietro in nome di un accordo costruttivo che dia futuro al partito e al Paese.
Oggi il futuro dell’Italia passa dalle decisioni di donne e uomini chiusi a discutere in un salone e dai loro leader, che sono chiamati a essere prima statisti che politici appartenenti a un partito.
La storia democratica italiana li guarda con speranza e preoccupazione, consapevole che se scegliessero di dividersi il suo futuro sarebbe in serio pericolo.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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