19 Maggio 2020 - 16.33

La saga dei Governatori

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di Alessandro Cammarano

La vita ricomincia; con cautela, per qualcuno anche con certa qual paura – la clausura ha prodotto sulle persone effetti che tarderanno a sparire –, si esce dal bozzolo domestico nel quale ci siamo forzatamente dovuti rifugiare negli ultimi due mesi, ma forse ce l’abbiamo fatta.

In questo periodo a cui nessuno poteva essere preparato sui mezzi di comunicazione – a cominciare dalla televisione e più ancora il web – si è visto e letto tutto e il contrario di tutto: da “è solo un’influenza” a “moriremo tutti”, con la miriade di sfumature che stanno tra i due estremi.

Variegata – per usare una volta tanto un aggettivo bruttarello e abusato – la risposta e soprattutto la comunicazione dei Presidenti di Regione, che la stampa chiama “Governatori”, figura inesistente nell’Ordinamento italiano ma figlia di un’esterofilia provinciale e pure un po’ fantozziana.

Quello che segue non è né una classifica – ma forse un po’ sì – né tantomeno una valutazione politica. L’intento di chi scrive è quello di strappare un sorriso, magari accompagnato da qualche minuscola riflessione, al lettore; come nella Commedia dell’Arte, chiediamo preventivamente la comprensione del pubblico. Si scherza.

Partiamo da vicino, da casa nostra: Luca Zaia – il Decisionista – gode al momento della fiducia incondizionata del novanta per cento dei Veneti e non senza ragione. Capace di cambiamenti repentini nella conduzione dell’emergenza, conditi da qualche scivolone tipo quello sui “topi vivi” e una dichiarazione da virologo dilettante circa le prove dell’origine “sintetica” del Covid, si è comportato con l’abilità di un vecchio democristiano. L’iniziale scontro con il professor Crisanti si è rapidamente convertito in un salvifico abbraccio al luminare patavino; i successi si misurano coi fatti e seguendo i consigli di Crisanti il Veneto ha contenuto il contagio. Zaia poi si rivolge ai suoi corregionali con un’aria tra il burbero e il condiscendente, spesso scivolando nel dialetto e applicando il vecchio adagio “na onta e na ponta”. Al “ripartiamo” segue “se vi comportate male chiudo tutto di nuovo”, con chiosa di “se gavemo capii?”. In confronto agli altri “governatori” nordisti è un gigante, tenendo presente che la statura degli omologhi permetterebbe loro di entrare gratis al luna park a vita.

Inqualificabile il lumbàrd Attilio Fontana – il Grande Gonzo – che non ne ha azzeccata una che sia una e i risultati si vedono. Che fosse inadeguato lo si doveva capire già dal patetico video dove litiga con la mascherina; seguono in Lombardia la strage di ospiti delle RSA, le mancate zone rosse, l’ospedale milionario alla Fiera – con rapido intervento del redivivo Bertolaso che però è finito subito fuori combattimento e si è andato a far curare al “San Raffaele”, mica al “Sacco”–. E poi la pervicace rivendicazione dei risultati ottenuti – che cosa ci sia da essere fieri nelle lunghe file di camion militari che portavano via le bare da Bergamo è un mistero – e i dissennati “abbiamo contenuto l’emergenza” e “rifarei tutto allo stesso modo”, il tutto detto con la verve di un becchino; lo andasse a dire alle famiglie che piangono una o più persone care.

In Friuli-Venezia Giulia, regione miracolosamente risparmiata rispetto ad altre, regna Massimiliano Fedriga – il Diafano – che ha deciso di mettere gli anziani positivi al virus, e a Trieste di anziani ce ne sono parecchi, su traghetto – il GNV Allegra – che però è ancora ormeggiato a Napoli. I costi del noleggio della nave, da riattrezzare ad ospedale, sono di molto superiori a quelli di una riqualificazione di strutture precedenti. Un genio dei conti, il Diafano, che per giunta sembra sempre un fagiano abbagliato dai fari di un’auto.

Il Piemonte – fedele al suo sabaudo riserbo – tace, però parlano i morti, mentre in Liguria Toti – il Topone – può nel frattempo vantare la ricostruzione in tempi record del Ponte ex Morandi, riprogettato da Renzo Piano, ma non poche vittime.

Tanto di cappello a Stefano Bonaccini – il Condottiero – che in Emilia Romagna, massacrata dalla pandemia, ha lavorato molto e parlato poco, collaborando con tutti al di là di idee e schieramenti politici.

Scendendo lungo lo Stivale ci si imbatte in Luca Zingaretti – lo Sfigato –, discretamente fortunato sul piano della diffusione del contagio, capace di sembrare sempre a disagio, anche quando dice cose sensate, e costantemente attento a non ritrovarsi massacrato dal fuoco amico dei rivali di partito. Parla un po’ come Daffy Duck, ma con la lentezza di Droopy, il cane investigatore dei cartoni animati.

Su tutti però un solo giganteggia: Vincenzo De Luca – il Faraone – che potrebbe essere protagonista assoluto di un saggio di Umberto Eco. Istrionico, mediaticamente sovraesposto, dotato di una travolgente e affilata dialettica, quasi sempre eccessivo. Certo è che i suoi interventi in video sono fantastici nel loro costante “politicamente scorretto”. Non tutto ciò che dice è condivisibile, però in Campania ha arginato i contagi, anche attraverso colorite minacce, e questo è un fatto. Se non fosse un politico lo si vedrebbe bene a capo di una casa di produzione cinematografica, ma non di quelle attuali, una della Hollywood degli anni d’oro. Ne usciremo? Sì, ma con calma e un po’ di senno; altrimenti il Faraone viene a prenderci per le orecchie.

Alessandro Cammarano

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