2 Gennaio 2020 - 10.51

La “Prescrizione” che divide il nostro Paese

Negli ultimi tempi su giornali, televisioni, siti internet, ha tenuto banco il termine “Prescrizione”.
Sapete tutti cosa significhi?  Beh, un rinfresco non fa mai male.
Sicuramente ne avete sentito parlare in campo medico (ad es. le prescrivo un analgesico). Oppure in campo giuridico relativamente ad una norma (ad es. il Prefetto ha emanato le seguenti prescrizioni).
Ma l’accezione del termine cui ultimamente si riferivano i media era relativa sempre al campo giuridico, ma più precisamente alla prescrizione nel diritto penale (tenete comunque presente che questo istituto esiste anche nel diritto civile).
Cosa si intende per prescrizione in campo penale?
Volendo usare un concetto chiaro per tutti, si potrebbe dire che la prescrizione è “la data di scadenza di un reato”.
Analogamente a quanto avviene per il cibo, che non è consigliabile consumare dopo la data indicata sulla confezione, così il decorrere del tempo fa sì che ad un certo punto un reato non possa essere più perseguibile, e di conseguenza l’imputato debba essere assolto.
Intendiamoci bene.  Non si tratta di una peculiarità del diritto italiano.
La prescrizione esiste con diverse modalità in tutti i Paesi democratici, sia quelli che applicano le leggi scritte, (es. Italia, Francia, Germania, Spagna ecc.) sia quelli (es. Inghilterra) in cui il diritto è fondato sulla cosiddetta common law, cioè sul “precedente”, nel senso di sentenza.
E’ un istituto posto a garanzia del cittadino, ed è presente nella cultura e nella tradizione giuridica occidentale fin dall’antica Grecia, dai tempi di Demostene per intenderci.
In cosa consiste?
Come abbiamo sopra accennato è un termine temporale, decorso il quale senza che si sia arrivati ad una sentenza definitiva passata “in giudicato” (ricordatevi che in Italia sono previsti due gradi di giudizio più eventualmente la Cassazione), lo Stato non può più perseguire l’imputato, e questo essenzialmente per tre ragioni:
·      Quando è passato troppo tempo dal momento in cui il reato è stato commesso, si presume che l’interesse dello Stato a vederlo sanzionato si affievolisca.  Ed infatti da sempre si prescrivono prima i reati meno gravi, mentre quelli gravissimi, tipo l’omicidio o la strage, non si prescrivono mai;
·      Qualora siano trascorsi troppi anni senza una sentenza definitiva, diventa difficile sia per l’accusa che per la difesa ricostruire come si siano realmente svolti i fatti, perché il tempo rende le prove e la memoria dei testimoni sempre più evanescenti;
·      Il termine della prescrizione è una sorta di “punizione” per lo Stato che non ha voluto o saputo arrivare alla fine di un processo.
E quindi capite bene perché vi ho detto che la prescrizione è una garanzia per ogni cittadino, che non deve trovarsi a rendere conto di un reato, anche lieve, magari quarant’anni dopo averlo commesso.  Cosa pensereste se, ad esempio, quando avete raggiunto i 60 anni, un Pubblico Ministero iniziasse un procedimento penale nei vostri confronti perché avete rubato le giuggiole nell’orto di un vicino quando avevate vent’anni?
Ma se le cose stanno così, e appaiono di una logica stringente, perché in Italia la classe politica si accapiglia da lunghi anni sul problema dei tempi della prescrizione?
Cercherò di rispondere a questa domanda con il solo obiettivo di mettere anche il Sior Bepi e la Siora Maria in grado di farsi un’opinione su questa problematica molto “tecnica”, che continuerà a dividere il Paese anche nell’immediato futuro. 
Senza cioè, per quanto possibile, prendere una netta posizione.  Sottolineo per quanto possibile, perché su un tema di questa portata restare “neutri” è molto difficile.
Per iniziare è fondamentale fissare il momento da cui parte il calcolo della prescrizione, che scatta nel preciso istante in cui il reato viene commesso.  E questo “orologio” della prescrizione penale finora continuava a correre durante il primo e il secondo grado del giudizio, compresa l’eventuale pronuncia della Cassazione.   Per quantificarlo giova sapere che questo termine si calcola sulla base del massimo della pena prevista per il reato, e risulta quindi proporzionato alla sua gravità, esclusi ovviamente i reati imprescrittibili.
Nel 2005 una legge, definita “ex Cirielli” ha dimezzato la prescrizione per i cittadini incensurati.  Cirielli in realtà aveva presentato la sua proposta di legge per aumentare la prescrizione in caso di recidiva.  Ma i soliti “giochini” parlamentari, allora si parlò di “emendamenti ad personam”, fecero sì che la norma si trasformasse in una sorta di mannaia su molti processi. Tanto che lo stesso Cirielli finì per disconoscere la sua riforma.
Nel 2107 è intervenuto un altro intervento legislativo, che ha sospeso per un tempo fisso (al massimo18 mesi) la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, e dopo la sentenza di appello.
Poiché ogni riforma che interviene sul diritto penale non può essere retroattiva,  e quindi si applica solo ai reati commessi dopo l’approvazione della stessa, va da sé che ad oggi nessuno può dire quali sarebbero stati gli effetti della riforma del 2017.
E arriviamo all’oggi. O meglio a ieri, quando il Movimento 5 Stelle inserì nel famoso contratto del Governo giallo-verde una ulteriore stretta sui termini della prescrizione. Forse per definire la riforma Bonafede sarebbe più giusto dire “sospensione sine die” della prescrizione, il cui decorso si fermerà dopo la sentenza di primo grado.
Tenete presente che questa nuova normativa è entrata in vigore con il 1 gennaio 2020, anche se alcune forze politiche intendono sottoporre al voto del Parlamento una ulteriore revisione, fino ad ora rifiutata sdegnosamente da Bonafede e dai pentastellati.
Per amor di verità, va anche ricordato che l’approvazione della riforma Bonafede, che avvenne con il Governo Conte 1, fu a lungo avversata dalla Lega di Salvini.  Tanto per essere chiari, l’allora Ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, noto avvocato in quota Lega, si opponeva alla riforma con queste parole: «senza la tagliola della prescrizione non fisserebbero più le udienze, non ci sarebbero più appello e Cassazione perché non sarebbero più fissate le udienze». Allora la Lega mise sul tavolo alcune proposte, quali la possibilità di eliminare l’udienza preliminare per alcuni reati per abbattere costi e tempi, e l’eventualità per altri reati più gravi di allungare i tempi della prescrizione.  Alla fine però prevalse la logica del contratto di Governo, e la legge Bonafede venne approvata anche dai leghisti,
Ad oggi quindi la normativa vigente è quella nota come “riforma Bonafede”, cioè il “fine prescrizione mai”, e l’unica possibilità rimasta è che il Parlamento intervenga per emendarla.
Spero di essere stato abbastanza chiaro nella mia esposizione, per cui credo sia utile sviluppare qualche ulteriore ragionamento.
In sé la nuova normativa non si discosta molto da quella vigente nei principali Paesi europei.
Con una differenza sostanziale però; la durata dei processi.
In Italia la durata media di un processo civile è di otto anni, quella di un processo amministrativo 5 anni abbondanti, e quella di un processo penale 4 anni e 4 mesi.  Restando solo al penale, la media europea è di meno di un anno.
Capite bene che non è differenza di poco conto, e fino ad ora la prescrizione è servita in qualche modo a proteggere il cittadino dall’inerzia dello Stato, e da una giustizia che si distingue per lentezza e procedure complicate.
Quindi puntare sulla durata della prescrizione, perdendo di vista il punto dirimente della lunghezza dei processi, equivale a “guardare il dito anziché la luna”.
Questo non vuol dire essere a favore di corruttori e malversatori, ma essere razionali, e la ragione ci dice che, solo quando la durata dei nostri processi si allineerà alla media europea, sarà ininfluente per il cittadino togliere di fatto la garanzia della prescrizione.  
E che la giustizia non funzioni al top lo dimostra il fatto che circa  il 60%  delle prescrizioni interviene prima dell’udienza preliminare, e su questo con la Bonafede nulla cambia. Un ulteriore 15% si prescrive prima della sentenza di primo grado, e anche su questo nulla dice la legge, che quindi incide solo su un 25% delle prescrizioni.E poiché anche quel 25% dei cittadini ha diritto di non rimanere appeso ad un processo senza termine, questa anomalia non si supera intervenendo sulla prescrizione, bensì sull’organizzazione dell’apparato giudiziario, e sull’ordinamento del processo penale, ormai pieno di passaggi privi di senso.
Prevedere, come si è fatto, un prolungamento infinito della prescrizione forse basterà a placare gli ardori dei giustizialisti nostrani, ma non solo non risolve alcun problema, ma addirittura urta contro il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.  Per non dire che la condanna di primo grado non equivale certo ad una sentenza definitiva.
Concludendo il nostro ragionamento, sulla giustizia penale da sempre si scaricano tensioni politiche fra garantisti e giustizialisti, ed è indubbio che la farraginosità del processo penale si presti ad utilizzare l’allungamento dei tempi processuali, tramite meccanismi dilatori e impugnazioni strumentali, per raggiungere l’obiettivo del proscioglimento per prescrizione.  E in questo senso la prescrizione come strategia difensiva diventa uno strumento processuale usato soprattutto da imputati che possono permetterselo economicamente. E fra questi anche i politici, e qui sta la vera ragione per cui si è introdotta la Bonafede.
Ma d’altro canto con lo stop definitivo della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, così come previsto dalla riforma Bonafede ora vigente, si potrebbe determinare un allungamento dei tempi in Appello ed in Cassazione per il venir meno della “spada di Damocle” che oggi spinge lo Stato ad accelerare e a scegliere corsie preferenziale per i processi prossimi alla scadenza.
E’ evidente che fino a che il sistema giudiziario non verrà messo in condizione di operare con maggiore celerità, in primis mediante una seria riforma del processo penale, tutti gli interventi saranno solo degli inutili palliativi.
Come pure è prevedibile che, se la riforma Bonafede non verrà “temperata” dal Parlamento, alla fine sarà tirato in ballo il classico “giudice a Berlino”, che dalle nostre parti si declina con “Corte Costituzionale”.
Quindi anche se all’apparenza il tema della prescrizione può sembrare una questione da addetti ai lavori, da “azzeccagarbugli”, e quindi lontana dal nostro vivere quotidiano, non va sottovalutata, perché prima o poi, nel caso in cui dovessimo essere accusati di aver commesso qualche reato (e non pensate all’omicidio, perché in Italia un po’ tutto è penale) potrebbe vederci inaspettatamente protagonisti di questo nuovo “ergastolo processuale” di marca grillina.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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UNICHIMICA

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