7 Giugno 2019 - 11.30

La musica latina ha veramente rotto!

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di Alessandro Cammarano

“Abbasso il Latino!”. No, tranquilli, nessuno si agiti; non è il grido di rivalsa di uno studente che rischia di vedersi rimandato a settembre con conseguente studio estivo della lingua di Cicerone.

Questo è l’urlo disperato di chi non ne può più dell’ammorbante ondata di musica “latina” che quotidianamente perseguita le nostre orecchie, scendendo lungo il corpo sino a causare frequenti e spesso gravi casi di orchite traumatica.

Intendiamoci, la musica dell’America Latina ha prodotto e produce capolavori; si pensi a Chavela Vargas o a Gilberto Gil e giù fino a Piazzolla, ma anche a Celia Cruz, con la sua grande orchestra cubana e le parrucche baraccone. Quello che però “passa” di più, tristemente, è robaccia di facile ascolto e di valore nullo.

Partì in sordina l’invasione del “ritmo latino”, fra un trenino di Capodanno – pratica che andrebbe vietata universalmente con risoluzione vincolante delle Nazioni Unite – e un ballo di gruppo estivo: dal “meo amigo Charlie” alla macarena, passando per il rivoltante meneaíto si è arrivati, alla velocità della luce, ai tormentoni estivi di una serie di bellocci plastificati e di bonazze da riviera che non lasciano scampo e intasano i programmi delle principali emittenti radiofoniche.

Campione indiscusso tra i maschietti è Enrique Iglesias, che puntuale ad ogni inizio estate se ne esce con la canzone dell’anno precedente, che è identica a quella dell’anno prima, alla quale cambia solo qualche parola e l’arrangiamento. Negli ultimi anni si fa affiancare da un qualche ipertatuato, spesso simile ad un sacerdode Vodoo, che sgranocchia ritornelli in pseudo-caraibico.

Segue a ruota Álvaro Soler, carinetto che lascia sempre un po’ interdetti perché non si capisce se stia guardando te o il gatto del vicino che ruba il pesce dal tavolo della cucina; il Soler predilige testi soft, tipo Zecchino d’Oro panamense, limitandosi a “velati” doppisensi. La palma va comunque a Luis Fonsi, quello di “Despacito” per intenderci, che è riuscito a mandarci in malora serate potenzialmente promettenti.
Tutti costoro prediligono la tequila e il sesso in spiaggia, oltre al movimento “de cintura”: lo squallore.

Tra le donne Shakira la fa da padrona assoluta. Già andrebbe sanzionata per aver sdoganato alla micidiale vuvuzela durante i Mondiali di Calcio del Sudafrica; se non bastasse si propone sempre con testi che includono necessariamente la parola “loca”, perché d’estate, si sa, siamo tutti un po’ più matti.

Da qualche anno è sbarcato in Europa l’agghiacciante reggaeton, terrificante mistura di reggae giamaicano e ritmi latini; roba che al terzo minuto di ascolto viene voglia di dare fuoco alla consolle del DJ.

Anche Madonna, questa volta tradita dal suo solitamente infallibile fiuto per le tendenze vincenti, si è fatta irretire, proponendo un orrore sonoro che canta vestita da nonna-cyborg e in compagnia di tale Maluma, bonazzo tamarro le cui doti devono necessariamente esulare da quelle canore.

Per non farci mancare nulla – in fondo negli anni Ottanta spopolavano i nostranissimi Fratelli Righeira  e il vicentino Borillo – negli ultimi tempi abbiamo partorito anche prodotti nazionali, uno su tutti Baby Kay, che è un incrocio tra Maria Giovanna Elmi e Barbie dei Poveri. La pupazzetta in questione se ne esce ad ogni estate con una canzoncina piena di “Andale andale” che manco fosse la sorella di Speedy Gonzales.

Ultima a cedere al fascino perverso del Latino è la versione horror della Fata Turchina, ovvero Loredana Bertè, che ci regala un obbrobrio in rima baciata trasmesso in heavy rotation da qualunque radio, compresa Radio Maria.

Coraggio! Sarà una lunga estate.

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